RASSEGNA SINDACALE

Verso la gestione operaia dell'Ansaldo?

    Fra i grandi organismi industriali sui quali con maggior violenza esercita la sua azione apparentemente demolitrice la crisi economica postbellica, che sta compiendo una spietata ma utile selezione, van poste in primo piano le officine Ansaldo, oggi in liquidazione, il cui nome ricorre nella storia della nostra guerra come l'affermazione di uno strenuo sforzo produttivo che fu pur capace di creare nel momento più tenebroso della passione italica i mezzi che alla Nazione hanno permesso di riprender lena dapprima e di risolvere poi l'epica battaglia con la sua dura ma fulgida vittoria.

    L'Ansaldo va oggi progressivamente sospendendo la sua già ridotta attività e dai cantieri che udirono lo strepito dei magli e videro sfavillare mille colate una fitta schiera di lavoratori esce ad ingrossare quelle dei disoccupati; l'ampiezza raggiunta dal fenomeno cui sembrano inadeguate le misure tendenti a lenirne le dolorose conseguenze ha spinto gli operai a chiedere per bocca delle loro organizzazioni sindacali di assumere la gestione cooperativa della morente azienda nell'intento di ridar vita alle silenti officine.

    Prima di esaminare su quali basi la richiesta operaia è stata impostata dobbiamo rapidamente ricordare per sommi capi quali furono le cause determinatrici della rovina della società grandiosa e complessa che se ha dovuto subire e subisce l'influsso degli eventi succedentisi nel mondo economico esterno è stata pure minata dai profondi errori accumulatisi nel suo ordinamento interno, tecnico amministrativo e finanziario.

    Non può essere, a nostro giudizio, ascritto a sua colpa lo sviluppo rapido e quindi necessariamente disorganico raggiunto durante il corso della guerra. Le impellenti necessità dell'azione militare che solo dal sussidio di potenti mezzi tecnici poteva ricevere il voluto impulso impedivano di scorgere esattamente i limiti segnati da una prudente valutazione dell'avvenire che si presentava anche ai più inesperti come una incognita oscura ed impenetrabile o meglio come la visione falsamente allettatrice di una rapida progressiva era di ricostruzione.





    D'altronde, cessato il consumo di materiale bellico, la trasformazione dell'impresa per adattarla alla produzione di pace (già resa difficile dal fatto che buona parte degli impianti era nata ed era stata attrezzata specialmente pel primo per cui non si trattava, come nel caso di altre vecchie aziende, di un ritorno a condizioni almeno in parte preesistenti ma bensì di una vera e propria radicale ricostruzione che di ben scarsi elementi tra quelli di azione poteva valersi), è stata ostacolata:

    a) dalla crisi generale che ha notevolmente contratto il consumo arrestando all'inizio tanti arditi progetti mentre risorgeva minacciosa la concorrenza tedesca;

    b) dalla politica fiscale che per soddisfare le voglie di una stolta demagogia le toglieva proprio nel momento tipico della tentata trasformazione, i mezzi finanziari all'uopo necessari nel precedente periodo accumulati.

    Queste, ripetiamo, le principali cause esterne. Le interne sono numerose e di varia indole ed importanza. Molte di esse potrebbero essere raggruppate sotto l'indicazione di deficienze nell'organizzazione tecnica dell'impresa.

    Non crediamo sia indispensabile discorrerne a lungo ché solo competenti in materia potrebbero giudicare se la creazione degli impianti e la loro smobilitazione sia stata fatta con esatti od errati criteri, se esistesse o meno un logico equilibrio fra personale dirigente e subalterno, tra acquisti e bisogni di materie prime e di strumenti, se la distribuzione infine delle lavorazioni avvenisse in cicli razionali o non; maggiormente ci interessano le cause di natura diversa puramente economica e finanziaria: anzitutto l'azienda legata ad un organismo bancario rivelatosi debolissimo dal crollo di questo ha ricevuto l'urto demolitore finale ma nel contempo non va dimenticato che il finanziamento dell'Ansaldo stessa fu a sua volta una delle cause più attive fra quelle che hanno portato la B. I. S. all'orlo del fallimento. Gli è che l'organismo industriale nel movimento generale della Società era andato successivamente perdendo d'importanza in rapporto a quello finanziario giacché la necessità di disporre di sempre più vasti capitali poteva venir soddisfatta solo allettando i risparmiatori con la promessa di altissimi eccezionali profitti alla creazione dei quali si provvedeva speculando su partecipazioni di ogni sorta in imprese industriali e commerciali non sempre chiaramente impostate e giustificabili.





    La conclusione ad ogni modo è assai amara: 1'Ansaldo incapace di continuare il lavoro si pone in liquidazione e al grave danno arrecato all'economia nazionale fa doloroso riscontro la situazione precaria nella quale sono caduti e vanno cadendo quelli che furono già solerti collaboratori dell'opera grandiosa. Essi, ripetiamo, esprimono il desiderio di assumere dell'impresa la gestione: sin qui, nulla di male; pur personalmente convinti che l'impresa cooperativa non possa specialmente in grandi complesse aziende, dar risultati economici superiori a quelli dell'ordinamento attuale, riteniamo che se collettività di operai e di tecnici si sentono o si credono capaci di tentare la produzione assumendone ogni rischio nulla sia lecito opporre alla realizzazione di siffatto desiderio, giacché si può riconoscere che la forma di produzione cooperativa può essere suscettibile in determinate condizioni di dare in singoli casi ottimi risultati e quindi meriti di coesistere a tante altre svariate anche se non condividono le speranze di certi cooperatori che ne vorrebbero fare un mezzo capace di rivoluzionare l'intera società.

    Solo crediamo formulare tutte le nostre riserve anzi negare che l'esperimento operaio possa dar luogo a risultati positivi quando si tengano presenti le basi sulle quali il tentativo vorrebbe essere impostato.

    Vediamo infatti che al convegno di Sampierdarena tenutosi fra i rappresentanti delle organizzazioni sindacali liguri e dei comuni socialisti della regione venne nominata una commissione perché prospettasse al Governo la necessità di lenire la crescente disoccupazione fra i metallurgici della zona dando l'appoggio necessario alla realizzazione della progettata assunzione dell'esercizio dell'Ansaldo da parte degli operai intervenendo con provvedimenti capaci di assicurare la continuità del lavoro. Tale intervento dovrebbe concretarsi in:

    abbandono o condono di imposte;

    finanziamento da parte di Istituti di emissione o di credito controllati dallo Stato;

    assegnazione di adeguate commissioni di lavoro.





    Ancora una volta la soluzione di un problema gravissimo viene cercata aspirando dal bilancio dello Stato (leggi tasche dei contribuenti) le somme occorrenti all'attuazione del progetto ideato e ciò dimostra in ultima analisi come tutti i profeti della nuova civiltà abbiano una visione di quello che sono gli equilibri economici limitati alla circoscritta sfera del microcosmo in cui vivono, come essi siano incapaci di capire per quale catena di stretti rapporti attraverso un nuovo aggravio dei contribuenti si possa giungere a vieppiù danneggiare quei lavoratori che si crede di salvare da una penosa situazione. Con metodi siffatti tutt'al più si raggiunge un semplice spostamento (ricco di attriti e quindi dannoso) per cui la ripresa del lavoro in Liguria sotto l'egida dello Stato e a carico dei contribuenti si traduce nella disoccupazione di lavoratori impiegati in altre regioni presso altre aziende che, sia perché vecchie e già ammortizzate, sia perché più razionalmente ordinate e sviluppate, sono tutt'ora in attività.

    La gestione operaia potrà, è vero, assicurarsi, con l'intervento del governo, lavoro e commissioni, ma non possiede la taumaturgica capacità di aumentare il fabbisogno dei propri prodotti, sì che le ordinazioni preferenziali che si vuole lo Stato garantisca hanno tutti i caratteri dei lavori pubblici concessi a lenimento della disoccupazione e che, attirando traverso l'emissione di buoni del tesoro lo scarso capitale disponibile in una sfera improduttiva, inaridiscono le fonti alle quali dovrebbero poter attingere quelle aziende che si dedicano alla produzione di beni il cui bisogno è veramente sentito. Si delinea quindi subito la natura parassitaria della nuova impresa ideata, destinata a stringere il circolo vizioso nel quale l'industria si muove giacché, ammesso anche che la gestione operaia riesca ad eliminare le cause di ordine interno che hanno contribuito alla rovina della precedente società, non potrà eliminare quelle esterne che tendono a riportare l'Ansaldo ad una più razionale proporzione in rapporto ai bisogni del mercato italiano.





    Ma è necessario anche giudicare della possibilità di vedere eliminati gli errori interni della gestione, e per questo non possiamo che riferirci agli unici elementi di paragone che ci è dato possedere, a quanto sino ad oggi forse in limiti più modesti, è stato fatto in Italia pur senza riportarci al periodo di occupazione delle fabbriche, che, caratterizzato da un insigne disordine, non può essere preso a modello della capacità tecnica degli operai di condurre un'impresa. Neppure vogliamo ricordare le vicende russe che hanno nella loro fantasmagorica successione riaperte le officine all'iniziativa individuale ammantata di trasparenti formule incapaci di nascondere l'intima sostanza; vogliamo solo chiederci se gli organizzatori socialisti e popolari che presiedono alle numerose cooperative di lavoro o non e che coltivano con cura il credo collettivista nelle masse siano disposti a smentire quanto nelle relazioni finali vanno constatando e cioè che il sentimento cooperativistico è assolutamente embrionale (si è giunti sino allo sciopero dei soci lavoratori contro la cooperativa di lavoro); che la moltiplicazione dei controlli nelle aziende sociali sono indispensabile ma insufficiente correttivo all'allentamento della produttività; che infine nulla il lavoratore sa della gestione collettiva alla quale presta l'opera sua così come accade nella individuale che però nella ricerca di un profitto, che solo in ferme leggi economiche trova un limite razionale, va costituendosi le ragioni del funzionamento avvenire mentre la collettiva nel disdegno del profitto stesso (che non viene evitato ma rapidamente assorbito di mano in mano che se ne scorge la formazione) si crea la necessità di ricorrere pur sempre ai contribuenti per rinnovare ad ogni esercizio la possibilità di nuova vita. Qui sta infatti il segreto di certe cooperative di lavoro che possono oggi presentare una situazione economica apparentemente florida e brillante solo perché basata sul credito di favore del quale godono.

    Dagli elementi di giudizio posseduti sui tentativi di gestione operaia delle industrie, pur senza poter negare che in diverse condizioni di educazione economica delle masse si possano ottenere risultati positivi, crediamo poter arguire che la proposta avanzata dai metallurgici liguri sia solo capace, se attuata, di realizzare la creazione di un organismo il quale, gravando inizialmente e in procinto di tempo per somme enormi sul pubblico bilancio, può avere ed avrà senza dubbio una grave ripercussione nel paese neutralizzando quei fermenti che devono stimolare la resurrezione della economia italiana.





    Se si crede di dover ostacolare 1'inflazione degli operai, pur senza speranze soverchie di veder prevalere la ragione in questi tempi di politica demagogica, non si può onestamente gridar contro di essi il crucifige quando si debba ogni giorno constatare come da parte dei privati imprenditori 1'assalto alle casse dello Stato, ai denari dei contribuenti sia organizzato quasi spudoratamente. Si tratta di fatti da tutti conosciuti che ci dispensano dallo spender soverchie parole in proposito; ma ben hanno diritto coloro che vedono il pericolo di questa schematica spogliazione, di questo continuo attentato alla ricchezza nazionale, e, ciò che più importa, alle fonti della nostra vita economica di domani, di dire basta affinché si cessi di chiedere a Roma i mezzi per dar vita o mantenere in vita aziende che non devono essere salvati e con procedimenti artificiosi i quali scavano sempre più profondamente l'abisso verso cui pare si voglia sospingere l'Italia.

    Il fenomeno della disoccupazione che accompagna la crisi attuale è fra i più dolorosi e tristi; esso può avere gravi ripercussioni sociali capaci di intossicare per lunghi anni la vita della Nazione per cui appare assolutamente necessario porvi un argine. L'assicurazione ed il sussidio giornaliero sino ad ora, purché non dian luogo ad inique distribuzioni, possono essere reputate sufficienti misure atte a lenire gli effetti, ma la soluzione radicale del problema solo sta nel ripristino di un regime di vera libertà economica che sacrificando senza tema le male erbe generate dagli eventi di un periodo di eccezione permetta ai più sani germogli di raggiungere nel campo produttivo quello sviluppo che non può mancare di mano in mano che la vita delle nazioni pur tra incertezze e difficoltà somme si va orientando verso un pacifico assetto. Ogni altro mirabolante sistema tendente alla creazione di un ambiente artificioso nel quale le imprese industriali possano vivere rubando, è la parola, il necessario alimento conduce fatalmente a soluzioni in apparenza più umane ma che si risolvono in realtà in un vero attentato alla vita stessa dei lavoratori.

    Milano, aprile 1922.


Dott. RICCARDO BAUER.