L'AGRICOLTURA PIEMONTESE
Questo studio del nostro Giovenale è una monografia completa sull'agricoltura piemontese. I singoli capitoli possono venir letti parzialmente, ma uniti costituiscono il filo logico di un bel libro, tessuto di osservazioni originali e talvolta di note semplicemente divulgative, che si potrà leggere tuttavia con profitto. I.Caratteri generali.I. - Tutta la regione piemontese che si trova alla sinistra del Po, e quella che comprende i bacini della Vraita e della Maira e in parte del Tanaro, si trovano in ottime condizioni idrografiche perché i fiumi che le percorrono, alimentati dai ghiacciai, dalle nevi perpetue, che coprono le alte creste alpine e da frequenti piogge, hanno un regime regolare e una notevole portata e sono quindi assai importanti per la produzione della energia elettrica, per l'irrigazione e anche per la navigazione. Molto meno buone sono invece le condizioni idrografiche in quasi tutta la regione piemontese a destra del Po, percorsa da affluenti di questo fiume, che scendono dall'Appennino con un corso breve, un regime torrentizio, e rimangono asciutti per buona parte dell'anno. Questi affluenti hanno quindi un'importanza economica assai inferiore a quella degli affluenti che scendono dalle Alpi. Il clima del Piemonte è del tutto continentale, con forti differenze di temperatura tra l'estate e l'inverno; la massima escursione termica si nota ad Alessandria. La media di pioggia è alquanto inferiore a quella del resto del gran bacino del Po, non di meno le precipitazioni sono abbondanti (dai 600 ai 1300 mm.), sovente impetuose e anche dannose negli alti monti; con massimo principale in ottobre e minimo in febbraio. "Dannosissime sono le grandini che tra il marzo e il settembre, cadono frequenti nel Monferrato. Le nevi invernali sono abbondanti, specialmente nelle valli alpine: le nebbie, non frequenti nè durature, sono esclusive della regione fredda; non rare invece, sono le brinate primaverili". (Gribaudi). II. I relatori dell'inchiesta agraria considerarono il territorio piemontese suddiviso in tre zone: montagna, collina, pianura: mettendo in rilievo la particolare fisionomia agricola di ciascheduna. Anche ora si può accogliere senza altro la loro distinzione. A) Montagna. - Dopo la regione dei ghiacci perpetui ed inaccessibili, discendendo, si trova: a) la regione dei pascoli estivi; b) la regione delle foreste, prima con alberi aghifoglia e poi con alberi latifoglia; (C'è da avvertire che i passaggi dall'una all'altra di queste zone sono molto imprecisi e non avvengono sempre alla stessa altitudine: più spesso si ha un'alternanza di boschi, pascoli, rocce nude, burroni, ecc. Avvertenza conforme e da farsi per le suddivisioni che seguono). c) la regione del castagno; a cui segue una regione veramente agricola, dove coltivansi i cereali, le piante da frutto, il gelso, la vite, i foraggi. Qui, il fattore della produzione che predomina in modo assoluto è l'immenso e costante lavoro dell'uomo. Predomina la grande proprietà; soprattutto comunale, nella regione dei pascoli e delle foreste. Nella regione agricola delle valli invece la proprietà è straordinariamente divisa. "Questo stato di cose è causa immediata ed inevitabile di emigrazione, sia temporanea che definitiva". (Inchiesta). B). Collina. - Predomina in questa zona la cultura della vite, quantunque molto notevole sia pure la cultura delle piante erbacee, e, specialmente ora, quella irregolare degli alberi da frutto. La media e la piccola proprietà, fatta valere direttamente, o per mezzo della mezzadria, e, meno frequentemente, dell'affitto, è predominante. II lavoro dell'uomo come fattore di produzione è in prevalenza: si può tuttavia notare un impiego di capitali abbastanza largo, favorito dalla cooperazione via via più intensa, e illuminato da una certa istruzione tecnica, che, sebbene con molta lentezza, va sostituendosi al vecchio empirismo tuttora predominante. C) Pianura. - Si nota che, in tutta la pianura padana, gli affluenti alpini per la diminuita tendenza del loro corso, trasportano "detriti sempre meno grossi man mano che si avvicinano al Po; perciò nella pianura padana si possono distinguere due zone: a) l'alta pianura, limitrofa alle Alpi, è costituita di detriti grossolani ed è la sede delle correnti fluviali antiche e soprattutto degli ammassi morenici. Il terreno quindi è in generale sassoso e asciutto, e per divenire suscettibile di cultura ha bisogno di essere irrigato. In questa zona s'incontrano vaste estensioni di terreno del tutto incolte, che, a seconda delle località, prendono il nome di vaude, barraggie, brughiere e groane; b) la bassa pianura si può suddividere in due sottozone la prima costituita da sfasciume più o meno grossolano, che forma un suolo molto permeabile, la seconda più in basso, formata di detriti più fini e con un suolo poco permeabile. Le acque sotterranee della pianura sottozona, compaiono all'inizio della seconda nella cosiddetta linea dei fontanili (Lombardia) o linea delle risorgive (Friuli). La sottozona dei fontanili ha una eccezionale importanza per la coltivazione del suolo, perché quasi dovunque, coteste masse d'acqua sgorganti dal suolo sono raccolte e per mezzo di una fitta rete di canali e rigagnoli, vengono distribuite a tutto il territorio, che rappresenta la regione classica delle risaie e delle marcite" (Gribaudi). In particolare la pianura piemontese si può distinguere in tre sottozone: a) La pianura asciutta che si riscontra in gran parte della provincia di Alessandria, in cui si coltivano i cereali, il gelso, la vite, i foraggi. La limitata produzione di questi ultimi e la mancanza di pascoli fanno si che l'allevamento del bestiame non può prendere un grande sviluppo; tuttavia esso non ha piccola importanza, specie per l'allevamento dei buoi, veramente notevole. Vi predomina la media proprietà. Là dove è scarso il concime naturale, i concimi chimici hanno un largo impiego. b) La pianura con acqua. In questa, nelle provincie di Cuneo e di Torino, di cui occupa una gran parte, esiste una grande quantità di prati naturali, e 1'irrigazione è molto praticata mediante l'acqua dei principali tributari del Po. La proprietà vi è piuttosto frazionata; specialmente a pie' dei colli e delle montagne, dove predomina la piccola cultura. L'agricoltura è prospera in queste località; i capitali vi sono impiegati con notevole larghezza e i suggerimenti della tecnica vi sono sempre più accolti. Nella provincia di Novara, e precisamente nella bassa pianura novarese l'irrigazione artificiale, del pari che in Lombardia è il fatto agronomico "predominante ed essenzialissimo". "L'acqua abbondantemente adoperata per gli usi agricoli, crea quivi caratteri speciali, fenomeni di produzione particolari, una fisionomia insomma tutta propria e ben diversa per le condizioni della proprietà e dei coltivatori da quella delle altre regioni su menzionate". "Qui è frequente la grande proprietà e non meno; anzi più importante assai del lavoro sono la intelligenza ed i capitali come fattori economici di produzione". "Il terreno di per sé è in generale poco fertile: l'irrigazione lo aiuta. "La produttività in questa zona è artificialmente creata e mantenuta mediante capitali vistosi che tuttodì vi s'impegnano" (Inchiesta). "Il fatto dell'irrigazione è naturale eserciti una speciale e grande influenza su tutto l'organismo agrario di questa zona. Si esplica principalmente nelle maniere seguenti: 1° Sulla proprietà, rendendo utile e quasi necessaria l'ampiezza dei poderi; o, quanto meno, l'associazione dei piccoli proprietari, quando i poderi sono ristretti. 2° Sulla coltivazione, che diviene indispensabilmente grande ed intensiva. 3° Sull'indole dei contratti agrari, costringendola a preferire quella dei grandi affittamenti. 4° Sulle condizioni economiche ed igieniche dei lavoratori aumentando pur anco il numero degli avventizi. In tutta la pianura la conduzione diretta e l'affittamento - quest'ultimo specialmente per la media e la grande proprietà - sono i modi prevalenti con cui si esercita la coltivazione. A complemento di questa rapida esposizione può essere utile l'esame della tabella seguente (1):
La superficie improduttiva comprende i terreni di fabbricati e adiacenze, acque e strade, ed i terreni sterili per natura. III. - Molti ad arte affermano e moltissimi per ignoranza credono che in Italia esistano vaste estensioni di terre incolte. Ora, "l'esistenza di vaste plaghe di terreni inutilizzati, capace di dare ricchi raccolti, sol che ad essi si applicasse lavoro, e si vincesse l'inettitudine dei proprietari, non è che frutto di una illusione". E in quanto a quei terreni che le statistiche chiamano incolti produttivi, si tratta in prevalenza di rupi boscate, zerbi, brughiere, valli da canna e da strame. "Una parte di essi potrebbe essere destinata alla coltura, ma bonificandoli con opere costose". (Valenti). Giova richiamare queste osservazioni perché durante la guerra, e dopo, e anche in questi giorni più vivamente che mai, assai si è chiacchierato di terre incolte con quegli stravaganti criteri che altri già fece notare. E un'agitazione sempre più viva che si fece per attribuire tali terre ai contadini combattenti o non combattenti culminò nell'agosto 1919, soprattutto nel Lazio, con un'arbitraria e violenta invasione di terre, mal coltivate e, con assai maggior preferenza da parte degl'invasori, ben coltivate, invasione che ebbe la triste sanzione del decreto Visocchi, e di cui avemmo echi anche qui in Piemonte nel Canavese. Di solito per terre incolte si intendono terre non soggette a certe colture, a cui si limitano le considerazioni dei politicanti; ora talune di queste terre (agro romano, latifondo siciliano) su cui particolarmente cadono i discorsi di costoro, hanno un sistema di coltura razionale che abbisogna di intensificazione ma non di radicali mutamenti (2). Secondo i calcoli del Piola, verso il 1840 esistevano in Piemonte 128.500 giornate (48.300 ha di terreni incolti), "e i territori dove più abbondavano erano pure quelli da cui in maggior numero si dipartivan cacciati dalla miseria, gli emigranti. In tutto lo Stato di terraferma, l'estensione dei terreni improduttivi eccedeva le 400 mila giornate, mentre oltre 720 mila non si utilizzavano fuorché per un disordinato pascolo". (3) Ma dalle indicazioni dell'inchiesta agraria si rileva che nel 1880 i terreni incolti non occupavano grande estensione: quelli che vi sono indicati come tali generalmente meglio si possono ascrivere alla categoria degli incolti produttivi. Del resto il Piola stesso nota già la forte tendenza ad utilizzare gl'incolti privati, e poi, per alcune località sappiamo da studi particolari che le terre che erano incolte intorno al 1830, si trovano in tutto o in gran parte coltivate intorno al 1880. L'inchiesta, ad ogni modo, attribuisce 12.000 ha. di terreni incolti alla provincia di Cuneo (pag. 62), 126.717 alla provincia di Torino (pag. 64), non dà nessun dato. preciso sulla provincia di Alessandria e fa una lunga descrizione di terreni non posti a coltura nella provincia di Novara; accennando però in quest'ultima a varie iniziative intese a diminuire la loro estensione (pag. 60). Attualmente sappiamo che in provincia di Torino esistono:
Queste due ultime categorie non sono comprese nel computo dell'Inchiesta Agraria; ne conseguirebbe che i 126.717 ha. di incolti ivi indicati sono diminuiti notevolmente. Nel Novarese mi consta da informazioni assunte che a molti terreni incolti fu estesa la coltivazione nell'ultimo quarantennio. Rimarrebbero, secondo i dati più recenti, 20.000 ha. di terreni aventi i già accennati caratteri degli incolti produttivi. Iniziative che nel 1918 sorsero per ridurli a coltura, facendo le necessarie ingenti spese di bonificazione nei Comuni di Masserano, Brusnengo, Castelletto Cervo, e che grande vantaggio avrebbero arrecato ai bilanci dei Comuni medesimi, s'infransero contro la violenta opposizione delle locali popolazioni che temevano di essere danneggiate per l'eventuale privazione di magre quantità di legna, fieno, stramaglie che erano abituate a godere. Simili opposizioni incontrarono tentativi analoghi due secoli fa. Altre iniziative però, in varie località stanno svolgendosi con miglior frutto, ma quanto ad alcuni tentativi di dissodamento e coltura fatti durante la guerra coll'ausilio dell'opera militare, non pare abbiano dato favorevole risultato. D'altronde sulla convenienza economica di tali dissodamenti non sempre si hanno precise nozioni; e poi, dato che si tratta di terreni appartenenti in massima parte a Comuni e su cui le popolazioni godono certi benefizi, vi è sempre l'ostacolo fortissimo frapposto dall'avversione delle popolazioni stesse ad ogni dissodamento. Non sappiamo quale azione potrà svolgervi l'Opera Nazionale per i Combattenti. Al patrimonio di questo Istituto sono passate le tenute Casanova e Molinasso, situate fra Carmagnola e Poirino, dell'estensione complessiva di 2816 ettari. Sono note le miserevoli condizioni in cui versava la coltivazione di questi terreni, fino a poco tempo fa appartenenti al demanio patrimoniale dello Stato. All'Opera non mancano certo i mezzi per compiervi i molti miglioramenti necessari, e la sua azione, se ben indirizzata, potrà essere molto benefica specialmente se fatti i miglioramenti, agevolerà il passaggio della proprietà dei terreni in convenienti lotti alle singole famiglie di coltivatori. Malgrado le caratteristiche eccessivamente burocratiche che l'Istituzione riveste, l'azione attiva e poderosa che essa ha già cominciato a svolgere in altre regioni colla potenza dei suoi mezzi, ci sono cagione a bene sperare anche per l'opera sua in Piemonte. BERNARDO GIOVENALE.
(3) Cfr. PRATO: "Fatti e dottrine economiche alla vigilia del 1848. L'Associazione Agraria Subalpina e Camillo Cavour". Torino, 1920, pag. 269.
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