L'AGRICOLTURA PIEMONTESE

IlI

La coltura dei cereali nell'ultimo quarantennio

     I° - FRUMENTO - stando ai dati delle statistiche ufficiali che possediamo la produzione del frumento avrebbe variato secondo le cifre seguenti:

Area coltivata

Quantità prodotta

Prodotto unitario

Ha.

Ql.

Ql.

Media del quinquennio

1879-1883   

235.260

2.276.470

       9.67

"                 "

1890-1894   

276.294

2.867.852

    10.37

"                 "

1901-1905(1)

  -  

3.399.630

       -  

Media del sessennio

1909-1914(2)

315.000

4.000.000

   12.7

"                 "

1915-1920(3)

328.800

3.815.000

     11.78

 

     Qualche commento intorno a queste cifre è necessario.

     Da esse risulterebbe che la superficie coltivata a grano è andata via via crescendo, come pure, anche più rapidamente, se si eccettua l'ultimo sessennio, la relativa produzione. Quali le cause di tali aumenti; Prima di discutere quelle che gli studiosi hanno indicato è necessario, per quanto concerne il Piemonte, portarsi un pò più addietro nelle indagini.

     Per l'attuale regione piemontese l'annuario statistico del 1853 dà una produzione di frumento di circa 3.690.000 quintali mentre le rilevazioni del periodo 1870-1874 danno una produzione media di meno della metà, e quelle successive danno cifre sempre inferiori a quelle dell'annuario 1853 - salvo le più recenti della nuova statistica che, la sorpassano ma non di molto. - Come spiegare così enormi sbalzi se non con gravi errori di rilevazione? E come non rimanere assai dubbiosi di fronte alle illazioni che dall'esame delle statistiche relative agli ultimi decenni furono tratte, per quanto caute esse siano e per quanto calcolo si sia tenuto dei diversi metodi di rilevazione adottati dalla nuova statistica instaurata nel 1909 e quella precedente?

     E la diminuzione non si verifica solamente per il grano ma anche per gli altri cereali e per il vino (lasciando da parte gli altri prodotti), senza notare che le differenze appaiono anche più notevoli, e nello stesso senso delle prime, coi dati dell'annuario del 1864. - Non si può negare che la cifra dell'annuario 1853 sia esagerata tanto più se confrontata colle medie dei decenni precedenti con la cifra dell'annuario 1864, ma la differenza resta pur sempre grandissima. Né si può dire che le statistiche Piemontesi fossero fatte con negligenza: l'annuario del 1853 (diretto dal Maestri) fu compilato con gli stessi criteri con cui, per opera del Correnti e del Maestri si preparò quello del 1864 che fu assai encomiato dal Valenti per la base territoriale che vi si dette alla rilevazione della produzione agraria e per la cura con cui le rilevazioni furono fatte.





     E se anche si debbono ritenere esagerate le cifre dei varii annuari comparsi prima del 1863 - mi pare che almeno per il Piemonte, esse siano assai più attendibili che non le cifre delle statistiche successive (4) - riflettendo che i principali compilatori, forniti di esperienza e dottrina, potevano indagare direttamente in un campo più ristretto, per cui era maggiore la loro competenza, erano più controllabili le informazioni e potevano giovarsi di indagini ufficiali fatte da parte di un Governo che sopra il Piemonte poteva con più facilità e sicurezza che per altre regioni esplicare la sua azione amministrativa.

     Perciò ritengo che, se si vuole istituire confronti per la nostra regione ciò si possa fare, colle debite cautele e senza pretesa di trarne conclusioni irrefutabili, tra le cifre degli annuarii citati e quelle che periodicamente ci dà la nuova statistica agraria a partire dal 1909 (5).

     Orbene possiamo ammettere sicuramente che il protezionismo abbia contribuito notevolmente all'aumento di produzione granaria nella nostra regione? L'Avanzi nella già citata opera afferma che nel quinquennio 1890-91 si nota una forte depressione generale nella produzione agraria italiana, "la quale si può mettere in rapporto col disagio economico di quel tempo e con i metodi di rilievo adottati " (pag. 251). Aggiunge che si rileva anzitutto una riduzione per la coltura del grano sia riguardo alla superficie, come rispetto alla produzione complessiva, ma che tale riduzione non avviene nell'Italia settentrionale. Negli anni successivi la produzione e l'area coltivata sono in aumento e nell'Italia settentrionale "la maggiore produzione unitaria, sono state più rilevanti che nelle altre parti del territorio nazionale" (pag. 231). E più in là seguita: "Dopo aver riscontrato il grande progresso della granicoltura nell'Italia settentrionale, dobbiamo veramente concludere che la protezione non vi abbia influito? Dobbiamo giudicare alla stessa stregua l'industre agricoltore settentrionale ed il pigro latifondista del Mezzogiorno? Non è logico ammettere che gli agricoltori più intraprendenti abbiano saputo sfruttare il premio concesso dal Governo, tendendo ad ottenere alte produzioni unitarie, con l'ausilio delle macchine, di concimi, e dì buone pratiche culturali?". E ritenendo che sia logico, egli conclude che nell'Italia settentrionale gli agricoltori, a differenza di quelli dell'Italia meridionale, poterono e seppero trar profitto dalla protezione (pag. 238). L'autore, che procede sempre con grande circospezione per trattare il problema colla massima obbiettività, fa qui un ragionamento che fila diritto e sicuro, ma che io non oserei applicare all'agricoltura piemontese dopo l'esame di statistiche tanto contraddittorie. E per conto mio non credo che l'area coltivata a frumento sia stata estesa: tutt'altro.





     L'annuario del 1853, per l'attuale regione piemontese indica:

     terreni aratorii (compresi i vigneti) ha. 1.170.081

     Prati naturali e artificiali    .     .    .    .      "     304.508

     Boschi    .    .     .    .    .   .     .    .    .   .      "     335.588

     Dalle nuove statistiche si desumono i dati seguenti:

     terreni aratorii (compresi i vigneti          ha.     891.000

     prati naturali e artificiali (esclusi

     gli erbai)    .    .     .    .    .   .     .    .    .      "      557.360

     boschi    .    .     .    .    .   .     .    .    .   .      "      496.899

      

     avvertendo che nel computo non si tenne conto delle risaie e che i dati dell'annuario 1853 poco differiscono da quelli dell'annuario 1864.

     Se è da escludersi un anniento di superficie forestale per le contrarie informazioni che possediamo, qualunque sia il valore delle cifre riportate (cifre la cui rilevazione è sempre difficile ed imprecisa), si potrà accogliere con maggiore fiducia il risultato delle altre cifre, vecchie e recenti, che hanno un fondamento egualmente sicuro e sono state raccolte da persone diligenti e coscienziose; almeno egualmente nelle due epoche.

     Da queste cifre si può indurre che, in linea di massima, la coltura dei cercali si è ristretta a vantaggio della coltura foraggera e vitifera, (per quanto quest'ultima si sia estesa pure in sostituzione del bosco).

     E che le colture foraggera e vitifera si siano estese sarebbe, del resto, confermato dal grande successo avvenuto nell'allevamento del bestiame, e dalla produzione vinicola fortemente accresciuta. Dal fatto della restrizione della coltura dei cereali non si può senz'altro argomentare per concludere che anche l'area coltivata a grano è diminuita, ma non si può certo affermare che sia aumentata, e, d'altra parte, l'aumento un po' esiguo della produzione durante oltre mezzo secolo indicato dalle statistiche non si può nemmeno mettere in rapporto cogli innegabili progressi tecnici avvenuti in tale periodo (6).

     Si aggiunga che è grande in Piemonte il numero degli agricoltori proprietari, specialmente piccoli proprietari assai più che non in altre regioni, che molti dei giornalieri erano, e sono tutt'ora, parzialmente pagati in natura, che i fittavoli potevano facilmente compensarsi del basso prezzo del grano, facendone cadere la conseguenza sui fitti, che pagavano, senza essere costretti a intensificare la coltura.





     Ora, una grande parte del grano prodotto, è tutt'ora consumato da costoro e dalle loro famiglie, ed è soltanto sopra una parte generalmente piccola che si fanno sentire gli effetti dei prezzi correnti. Questa circostanza e la difficoltà con cui i piccoli coltivatori si inducono a mutare l'equilibrio culturale delle loro aziende non permette di credere che il protezionismo abbia esercitato un forte stimolo ad estendere la coltura del frumento.

     A completare queste sommarie congetture riporterò un passo dell'articolo del Lissone: "Io ho sotto gli occhi un quadro della produzione granaria nel Piemonte dal 1710 in poi. Ora la produzione si mantenne intorno agli otto o nove ettolitri per ettaro sino al 1560, epoca in cui, per merito speciale di Camillo Cavour, si introdusse il guano, al quale seguirono i concimi chimici. Salì allora il prodotto a circa 12 quintali per ettaro, e purtroppo bisogna constatare che da oltre un ventennio la produzione del grano è stazionaria, quindi o le statistiche ufficiali sona errate, o ha ragione l'on. Camera nei suoi apprezzamenti intorno alla efficacia della propaganda teorica".

     Distribuendo per zone granarie le cifre della produzione granaria per il decennio 1909-20 avremo:


Area coltivata

Quantità prodotta

Prodotto unitario

Ha.

Ql.

Ql.

Montagna

   17.400

   153.000

    8.80

Collina

147.600

1.702.000

11.5

Pianura

155.600

2.048.000

13.1

_______

________

______

Totale

320.600

3.903.000

12.2


     Confrontando questi dati con quelli corrispondenti delle altre regioni dell'Italia settentrionale, si rileva che il Piemonte ha la produzione unitaria più bassa, quantunque superiore a quella delle restanti regioni italiane. Dalle statistiche si rileva inoltre che l'area occupata dal frumento in confronto con quella occupata dai prati artificiali è anche più ampia che nelle altre regioni vicine.

     La località che ha una produzione unitaria maggiore è la pianura di Marengo presso Alessandria, e la provincia che ha la produzione unitaria minore è quella di Novara.





     Le cause di questa produzione unitaria non molto elevata sono da ricercarsi nella natura del terreno non dappertutto adatto alla produzione di questo cereale anche se più o meno largamente vi si coltiva; in condizioni di clima sovente sfavorevoli a cui è soggetta tutta la pianura padana, e più particolarmente nelle pratiche colturali e nelle rotazioni, tutt'ora difettose, nonché nella scarsa concimazione; ma di queste cause particolari avrò occasione di parlare più in là.

     Durante la guerra l'area coltivata a frumento si è estesa nella nostra regione, come dimostrano i dati raccolti nello specchietto all'inizio della trattazione di questo argomento, e dalla recente e più volte citata statistica del Zattini, risulta che l'accrescimento coincide coll'epoca del decreto 10 maggio 1917, specialmente nelle provincie di Novara di Alessandria e di Cuneo. Ma la statistica medesima rivela che, ciononostante tanto la produzione unitaria quanto quella complessiva sono diminuite, come pure è diminuita la superficie coltivata degli ultimi due anni. Le cause della crisi si riscontrano facilmente nella più scadente lavorazione e nella più deficiente concimazione cagionate dalla scarsezza di mano d'opera e di concimi, specialmente artificiali, durante la guerra. Ed a queste sfavorevoli circostanze è da aggiungersi la politica granaria seguita dal governo, con sistemi di requisizione e di prezzi d'imperio inferiori al costo, regolati da decreti portanti quasi sempre illusorie disposizioni per incoraggiare la coltivazione del cereale che costituiva l'incubo dei nostri reggitori (fu chiamata l'ossessione del grano) al punto da stimolare ed agevolare mercé il sullodato decreto 10 maggio 1917 il dissodamento dei prati da parte dei conduttori di fondi con infrazione dei patti stipulati nei contratti d'affittamento.

     L'insufficienza della produzione nazionale al fabbisogno del Paese e le conseguenze da essa prodotte durante e dopo la guerra, sul bilancio dello stato, in connessione col prezzo politico del pane e l'altezza dei cambi e dei noli, conseguenze assai note per le conseguenze e le polemiche sorte in occasione della legge sull'aumento del prezzo del pane; hanno reso più attivi e frequenti gli studi e le proposte per aumentare la produzione del frumento nel nostro Paese. In sostanza si è tutti d'accordo nel ritener che la coltura del grano non debba estendersi in superficie, essendo anche già estesa in modo eccessivo.





     Piuttosto si invoca di intensificare questa coltura con un impiego adeguato di concimi chimici, dei quali il Governo dovrebbe agevolare la provvista agli agricoltori, congiunto a migliori pratiche colturali e a più progredite rotazioni secondo il noto sistema Solari. "È da augurarsi - scrive l'Azimonti - che la successione del frumento alle leguminose da foraggio, con tutte le norme razionali che la devono accompagnare, si diffonda per tutta Italia, e allora soltanto si raggiunga il desiderato aumento della produzione granaria, con vantaggio degli agricoltori e del paese". In Piemonte siamo ancora lontani da siffatte condizioni, più ancora che nelle altre regioni dell'Italia settentrionale, come già ho rilevato in parte.

***

     RISO - Nel sessennio 1909-14 l'area coltivata a riso occupò in media ha. 68.000, dando una produzione complessiva di quintali 2.150.000 contro ha. 145.000 ed una produzione media di circa 4.900.000 quintali in tutta l'Italia.

     Secondo le statistiche ufficiali degli anni 1870 e seguenti, la superficie coltivata a riso in Italia da ha. 145.000 indicate dal Maestri nell'annuario del 1864 sarebbe passata nel quinquennio 1970-74 nientemeno che ad ha. 23 2.000 per poi continuamente ridursi di nuovo al limite primitivo nell'ultimo decennio.

     Ma di fronte a statistiche indicanti così forti variazioni in breve volgere di anni gli studiosi restano un po' perplessi, a quel che pare; e non si direbbe che vi prestino una fede cieca, quantunque sembri, per la limitata estensione della coltura risicola, che le statistiche stesse non dovrebbero contenere cifre troppo lontane dal vero.

     Ed è per quest'ultima ragione che ritengo le cifre stesse atte ad essere accolte come indici di un movimento realmente avvenuto.

     Il quale però, in Piemonte, non è andato di pari passo con quello di altre regioni. Da noi la superficie si estendeva quando in altre regioni già appariva in diminuzione (7), né quest'ultima, avvenuta specialmente nel decennio prima della guerra, fu così forte come in Lombardia, nel Veneto e nell'Emilia, dove l'area coltivata è scesa parecchio al disotto di quella. indicata nell'annuario 1864, poiché in Piemonte l'annuario stesso notava 4.429 ha. di risaie mentre la superficie di esse nel sessennio 1909-14 fu di 68.000 ettari.





     La produzione indicata dal Maestri per il Piemonte si può ritenere all'incirca di 800.000 quintali di risone, con un prodotto unitario di quintali 19 per ettaro. Nell'ultimo ventennio la coltivazione si è molto intensificata. Una sensibile tendenza a volgersi verso forme di coltura più razionale e più redditizia si manifesta verso la fine del secolo passato, con migliorate rotazioni, concimazioni più adatte, con maggior impiego di concimi artificiali e restrizioni nella coltura stessa, là dove appaiono necessarie.

     L'intensificazione è progredita continuamente dal 1900 in poi sotto lo stimolo delle agitazioni sempre più minacciose e sempre più esigenti dei contadini favoriti dal progressivo scemare della mano d'opera disponibile. Proprietari e conduttori hanno costituito forti e disciplinate associazioni volte non meno a frenare la violenza dei lavoratori che a rendere più limitato il bisogno di mano d'opera, mediante l'introduzione di macchine più perfezionate, ed a rendere con nuove applicazioni sempre migliore la coltivazione onde fronteggiare con aumentati prodotti il costo via via più grave della mano d'opera.

     Il progresso avvenuto si misura dalla accresciuta precauzione unitaria. Questa che al principio del secolo attuale, non superava generalmente i 25 quintali per ara, è ora di quintali 31,6 (1909-14) cifra che per altro è inferiore a quella della Lombardia (36,9) e dell'Emilia (37,5), benché superiore a quella del Veneto (26,4).

     Il Piemonte è la regione che dà il massimo contingente alla produzione nazionale. La coltivazione è concentrata quasi tutta nella pianura irrigata dalla Provincia di Novara, salvo un breve tratto in quella di Alessandria (circa 2000 ha.): non si coltiva il riso nella provincia di Torino.

     Ormai le condizioni di questa coltura si sono fatte migliori: si è riuscito a rendere minima l'influenza delle malattie che, un tempo, infestavano la produzione; le concimazioni e gli avvicendamenti si vanno facendo secondo le norme più recenti, ma 1'impiego di macchine agricole è ancora piuttosto lontano dalle proporzioni in cui dovrebbe essere fatto.





     Durante la guerra superficie coltivata e produzione sono in forte aumento ristretto alle medie del sessennio 1909-14; basti dire che per un continuo accrescimento esse hanno toccato un massimo di 74.500 ettari e 839.900 quintali nel 1915.

     Anche la produzione unitaria è in questi anni notevolmente maggiore della media calcolata nel sessennio precedente: essa oscilla intorno ai 38 quintali per ha. Anzi l'aumento appare fortissimo, se non sono errate le cifre cavate dalle statistiche. Quindi si può dire che la guerra non abbia esercitato un'influenza sfavorevole sulla coltivazione del riso: le cifre indicano il contrario; ed è certo che se la produzione non avesse trovato un esito particolarmente conveniente non avrebbe avuto un così sensibile incremento.

     Nel 1919 l'area coltivata fu di ettari 70.700 e la produzione di quintali 2.654.000, cifre inferiori di parecchio a quelle dell'anno precedente.

     Ma la diminuzione si rileva fortissima nel1'anno 1920. È dovuto, il fatto, alle agitazioni dei lavoratori nella primavera del 1920, che ritardarono i lavori di semina, tuttavia se le cifre rispondono a verità, esse non diedero luogo a diminuzione di prodotto unitario: notiamo anzi un aumento dovuto forse alle cure con cui si è cercato di riparare il danno accennato.

     In questi anni le sorti non pare volgano molto propizie ai proprietari ed ai conduttori delle risaie. Il crescente costo della mano d'opera derivante da aumentati salari e da diminuito rendimento colla introduzione di orari più brevi e l'obbligo assunto dagli agricoltori di impiegare una determinata quantità di lavoro in ragione di perticato; gli aumentati prezzi degli altri fattori di produzione; e la scarsità degli sbocchi della produzione minacciano gravemente il tornaconto degli agricoltori stessi, e tendono sempre più a diminuire l'estensione delle risaie la cui coltivazione diventa passiva.





     E nulla meglio può valere a precisare l'odierna situazione che quanto scrive il Comm. Voli: "L'economia agraria della zona risicola è gravemente compromessa: si sta operando una notevole trasformazione; il frazionamento dov'è possibile ed il subaffitto con i contratti in compartecipazione ed esperimenti d'affittanza collettive si rendono necessari per superare l'attuale periodo di assestamento sociale: ciò diminuirà senza dubbio la produzione di quelle terre feconde ed ubertose, che una benemerita classe di proprietari e di conduttori resero tali con enormi sacrifici, per bonificare, migliorare ed estendere 1'irrigazione, ma talvolta occorre servirsi di rimedi dolorosi per ritornare allo stato normale". Né ci è dato di sapere come si risolverà l'attuale fase di incertezza. Mutate condizioni politiche ed economiche hanno reso meno pesante il problema della mano d'opera; ma in complesso è certo che per ora degli indizi buoni non ce ne sono.

***

     GRANOTURCO - Dall'annuario del 1864 si può desumere che la produzione di questo cereale per l'attuale territorio piemontese fosse calcolata di quintali 2.800.000.

     Le statistiche recenti stabiliscono pel quinquennio 1909-14, una media produzione di quintali 2.500.000, sopra un'area di ettari 150.000. Anche qui le statistiche ufficiali degli anni 1870 e seguenti, presentano lo stesso andamento di già osservato per il grano, cioè grande differenza in meno per gli anni 1870-74 rispetto ai dati dell'annuario 1874, e poi ascesa di superficie coltivata e anche più di produzione complessiva.

     Per tutta la penisola invece la media produzione del 1870-74 è enormemente superiore a quella indicata dall'annuario (anche per la produzione del frumento si nota la stessa cosa) e questa produzione va crescendo ancora fino a prima della guerra europea mentre invece la superficie complessiva dal 1870 è in notevole diminuzione.





     Da ciò l'Avanzi inferisce logicamente che grandi miglioramenti sono avvenuti negli ultimi decenni in questa coltura; miglioramenti che hanno permesso di restringere la superficie destinata a granoturco pur con aumento della produzione complessiva. Per il Piemonte tuttavia, si può credere, dalle cifre che possediamo, che sia diminuita la superficie coltivata ma anche la produzione complessiva. Non sappiamo a quanto si estendesse la superficie a granoturco tra il 1860 e il 1870, non di meno possiamo studiare abbastanza bene il movimento di questa coltura nella provincia di Cuneo, per la quale possediamo dati attendibili. Dai calcoli del Casalis e del Lissone, si rileva che in questa provincia, intono al 1880, l'area coltivata a granoturco saliva a ettari 44.551 con una produzione di ha. 980.178; di ettolitri 22,23 per ettaro pari quintali 16,45. Ora, la media produzione unitaria del sessennio, 1909-14, per la stessa provincia è calcolata di quintali 19, e quella complessiva di quintali 595.000 (uguale ettolitri 84.054) sui un'area in media 31.000 ettari.

     Come si vede, assistiamo ad una diminuzione notevole di superficie e ad una diminuzione pur non trascurabile di produzione complessiva sebbene sia aumentata la produzione unitaria, indice di progressi avvenuti. Questa conclusione potrebbe essere contestata. qualora fossero messi in dubbio i dati prodotti per gli anni della Inchiesta Agraria, ma c'è da osservare che i citati autori avevano piena conoscenza del territorio su cui fecero le loro indagini; che queste indagini furono fatte con grande diligenza e che perciò le cifre riportate sono degne di fiducia, e almeno quanto quelle della statistica ufficiale d'adesso.

     La riscontrata diminuzione della produzione complessiva in provincia di Cuneo collima colla diminuzione della produzione stessa in tutto il Piemonte rispetto a quella indicata dall'annuario 1864. In conclusione, per tutto quanto ho detto credo di non essere in errore riaffermando che non solo la superficie è diminuita in Piemonte ma anche la produzione totale pur con notevole aumento della produzione unitaria. La diminuzione, che va crescendo, è da attribuirsi all'introduzione di altri avvicendamenti che quello grano-granoturco, tuttora non poco seguito; e specialmente "alle migliorate condizioni economiche della popolazione in genere, e di quella rurale in ispecie, la quale va gradualmente sostituendo nell'alimentazione il grano al granoturco" (Avanzi).





     SEGALE - Farò appena un cenno di questo cereale la cui coltivazione in Piemonte è notevolmente più estesa che nelle altre regioni. Per esso 1'annuario del 1864 indicherebbe una produzione di circa un milione di quintali; le statistiche successive segnano il movimento già illustrato a proposito del granoturco e del frumento rispetto alla cifra del 1864; e precisamente indicano una progressiva diminuzione di superficie accompagnata da un lento movimento ascendente della produzione complessiva.

     Ora la superficie coltivata ascende a 50-55 mila ettari e la produzione oscilla intorno a 600.000 quintali. Io, dando come al solito la preferenza alle cifre dei vecchi annuarii, ritengo che questa coltivazione sia diminuita e per superficie e per produzione complessiva; mentre la produzione unitaria, non può non essere aumentata per i progressi fatti dall'agricoltura negli ultimi decenni.

     A spiegare l'avvenuta diminuzione valgono le ragioni già addotte parlando dello stesso fatto per il granoturco, e non è qui il caso di ripeterle.

BERNARDO GIOVENALE

     Ai prossimi numeri: IV e seguenti.


(1) Questi primi tre gruppi di dati sono desunti dalle tavole che l'Avanzi compilò e riportò in Appendice ad un suo libro. Cfr. "Influenza che il protezionismo ha spiegato sul progresso agrario in Italia" - Pisa, 1917, Tav. III.
(2) Cfr. VALENTI: "L'Italia agricola dalla costituzione del Regno allo scoppio della guerra europea" - Tavole statistiche in appendice, nel fascicolo I° dell'opera "L'Italia agricola e il suo avvenire" - Roma; 1908 - Pagg. LXVI e seguenti.
(3) Cfr. ZATTINI: " La potenzialità attuale della produzione del frumento in Italia in base alla statistica del dodicennio 1909-1920 in Notizie periodiche di statistica agraria" - Settembre 1920.
(4) Sul valore di queste statistiche Cfr. VALENTI: "L'Italia agricola nel cinquantennio" passim, in "Studi, ecc." ed anche EINAUDI "Logica protezionista", in "Riforma sociale", dicembre 1913.
(5)  Sulle quali non si può giurare: tutt'altro.
(6) Da ricerche fatte in vari luoghi risulta che la protezione unitaria è generalmente più alta di quella indicata al solito.
(7) Cfr. PINOLINI: "Il riso e la sua coltivazione" - Milano, 1900 - Pag. 6