PROBLEMI ITALIANI
Disegno di legge sul latifondo.Giuseppe Bruccoleri nei "Problemi Italiani", esamina il disegno di legge Drago per il latifondo; il quale presenta come essenziale caratteristica lo squilibrio radicale fra le premesse teoriche della relazione e i provvedimenti effettivi per realizzare le tendenze in quelle espresse. Come premessa, si riaffermano i principii ormai ben noti: Impossibilità di una soluzione unica nei tempi e nei luoghi. Fondamentale importanza delle necessità naturali che hanno imposto e impongono la grande unità culturale pastorizia-cerealicola; principalmente delle siccità. Assurdità delle declamazioni contro gli affittuari, questi mostri che hanno il più delle volte portato col soffio di una intraprendenza sconosciuta i primi germi di industrializzazione; vacuità di ogni tentativo di quotizzazione, e affettati dissodamenti: come ancora recentemente dimostrano gli insuccessi del decreto Visocchi; necessità che il capitale soltanto vada nelle terre dissodate, non il lavoro dei coltivatori avidi e indigenti. Da queste premesse si dovrebbe sboccare nelle uniche soluzioni possibili: (astrattamente possibili, perché non tutte realizzabili, specialmente per le attuali difficoltà finanziarie): quanto alla irrigazione e alla bonifica, inizio delle opere quanto più possibile immediata secondo accurati piani tecnici, nelle regioni in cui i lavori siano di sicuro rendimento, quindi specialmente in pianura. Quanto alla trasformazione delle culture e alla colonizzazione interna, miglioramento dei contratti d'affitto a fine di secondare l'attività innovatrice e speculatrice degli affittuari (diritto al rinnovamento dell'affitto) per chi presenti piani di migliorie concrete, compensi per le migliorie alla scadenza). Null'altro è per ora realizzabile in regioni dove le conseguenze di fattori naturali e storici secolari rendono inutile ogni pretesa di industrializzazione rapida: invece il disegno Drago, poste le sue brave premesse, instaura di nuovo con più complessità e con maggior danno, perché con maggiori pretese, le stesse provvidenze le cui conseguenze ha deprecato relativamente ai provvisori decreti dei suoi predecessori. |
Un colossale "Consiglio Superiore della Colonizzazione Interna" al vertice, composto per la maggior parte di alti funzionari, e di totale nomina ministeriale come ramificazioni, delle Commissioni Provinciali per la Concessione delle Terre. Questi Enti, destinati a controllare Ministero e Prefetture di cui sono la diretta emanazione, dovrebbero regolare: l'espropriazione delle proprietà, la loro occupazione temporanea dodicennale (che può diventare definitiva), la concessione di enfiteusi obbligatorie, l'imposizione delle bonifiche. E ciò a profitto di un Istituto Nazionale di colonizzazione Interna con 200 milioni da sperperare a disposizione, delle Associazioni Agrarie, delle Cooperative (anche senza capitali) e di società (con un capitale minimo di un milione), di privati. Come organo, dunque, un nuovo viluppo di complicazioni burocratiche; come capacità produttiva, la solita agevolazione diseducatrice alle cooperative senza garanzie o magari fittizie, e agli enti non interessati o irresponsabili; la vera bozza per concessioni elettorali o per utili speculazioni dei politicanti, senza altro risultato che far ritornare dopo qualche anno le cose al punto di prima, dopo un doloroso periodo di depauperamenti, e di alti prezzi della terra con relativa insufficienza dei mezzi per farla produrre. Maggiore e meno irrimediabile danno, di questa serie di improvvidenze, l'assorbimento dei capitali sulle terre più vicine ai centri abitati, dove più facile il risultato immediato: quindi abbandono per un lungo periodo di tempo di quelle terre più lontane, e meno redditizie, per le quali specialmente nel Meridionale è più urgente ed essenziale il problema del latifondo, più indispensabile l'affluenza delle energie dei capitani di industria e dei forti capitali. L'unica soddisfazione in tanta miseria di concezione rimarrebbe la luce portata dalle assennatezza della Relazione; ma la sua correttezza teorica del resto abbastanza banale, non significa che questo: l'insopprimibile incapacità degli uomini politici di opporsi al sentimento di aspettazione che unisce in Italia la parola: "latifondo" a rosee visioni di cooperative fraterne, di villaggi modello e di rigogliosi giardini là dove un anno prima morivano gli uomini di malaria. Trasformazione che la "legge indovinata" dovrebbe fare: non l'attività degli uomini, perché questa non conta. B.
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