DUE FASCISMI

    Parliamo di fascismo non di partito nazionale fascista; son due cose diverse, tanto che il partito fascista è la negazione, e sarà, se sarà, la distruzione del fascismo.

    Parliamo dunque di fascismo. Anzi di fascismi, perché in Italia, come ognuno sa, di fascismi ce ne sono due: il fascismo agrario, quello che adesso è di moda chiamare, dannunzianamente, schiavismo, ed il fascismo urbano, che meglio si potrebbe chiamare fascismo interventista.

    Di tutti e due i fascismi si crede che sian roba del dopo guerra, invece tutti e due esistevano già in Italia prima della guerra. I fascisti agrari l'Emilia li aveva visti fin dal tempo dello sciopero agrario parmigiano, quello di Alceste De Ambris, quando i figli dei proprietari dell'Agraria si ordinarono in squadre armate e delle armi fecero uso anche con una certa abbondanza; la Puglia codesti fascisti li conosceva anche meglio, saltavan fuori per le elezioni, si chiamavan mazzieri e l'amico Salvemini ne sa qualche cosa. Risalendo più in su nella storia di questo movimento si potrebbe arrivare, senza soluzione di continuità, a certi aspetti del brigantaggio, e più su ancora, alle controsette reazionarie dei primordi del nostro Risorgimento.

    Il fascismo urbano o interventista, invece, è il figlio diretto del movimento interventista del 1914-15, e, a farne la storia, si giunge al garibaldinismo e al partito d'azione, e, risalendo ancora, anche qui alla fonte si trovano le sette, quelle liberali e rivoluzionarie.


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    Tratto di unione fra questi due fascismi è stato nel dopo guerra l'odio contro il socialismo. Ma il fascismo interventista odia nel socialista specialmente il neutralista e il disfattista; il fascismo agrario odia nel socialista il socialista, cioè il villano che si riscuote: il primo è un odio politico, dà alla testa ma passa; il secondo è un odio economico, è più freddo e fa più paura.





    Il primo che ha affrontato il socialismo è stato il fascismo urbano, e in ciò ha mostrato del fegato, perché, dove gli si è opposto, gli si è opposto proprio quando il socialismo era in Italia il padrone del vapore e quando ancora non c'era la guardia regia e la questura non aveva istruzioni. Il fascismo agrario-industriale si è mosso dopo: si è mosso alla fine del '20, dopo che il fallimento dell'occupazione delle fabbriche mostrò che il rivoluzionarismo dei socialisti italiani era un pugnale che rientrava come quelli da teatro.

    Comunque, fascisti della prima e fascisti dell'ultima ora, bisogna riconoscere che tutti in questi tre anni, han fatto del loro meglio per riabilitare e rafforzare il socialismo. Le smargiassate imperialiste del fascismo dalmatomane e fiumarolo hanno nel '19 portato a migliaia ai socialisti i voti dei reduci, i quali avevan creduto al mito della "guerra alla guerra" ed ora si vedevan cinicamente mutate le carte in tavola; nelle elezioni del '21 le brutalità dei fascisti sostenuti dai poliziotti han provocato a favore dei perseguitati l'intervento di quella massa di indifferenti e non organizzati, che è sempre quella che all'ultimo istante decide dell'esito dei comizi; in questi tre anni poi, sempre, e dappertutto, la violenza dei fascisti, tanto più grave in quanto attuata e predicata da gente ricca e colta, ha largamente compensata e riabilitata la violenza degli scalzacani.


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    Nei suoi rapporti con il liberalismo, se per il partito nazionale fascista, si può ammettere che sia, nell'intenzione di alcuni dirigenti e nella lettera di parte del suo programma, un tentativo di organizzare le giovani forze liberali del paese, per il fascismo occorre dire risolutamente che esso è sempre stato quanto di più illiberale e antiliberale si possa immaginare.

    Il fatto di una minoranza che, professandosi costituzionale e tutrice dell'ordine, si sostituisce di fatto allo Stato, e, per difendere interessi suoi ideali ed economici, si vale degli organi più essenziali dello Stato (esercito, pubblica sicurezza, giustizia), che un uomo di governo ha posto deliberatamente a sua disposizione, è nella storia della terza Italia, così breve ma così ricca di questi episodii il più grave e il più doloroso degli attentati che l'idea liberale abbia subito da quando in Italia essa è divenuta norma di governo.

    Il fascismo è stato la pietra di paragone del liberalismo italiano. I liberali di razza, anche se militanti in altri partiti, subito, di istinto, si son posti contro al fascismo, e ne han sentito tanto maggior ripugnanza quanto più radicato era in loro il liberalismo.





    Come d'altra parte, quei grandi uomini del partito liberale, che, giustificando e favorendo il fascismo, han giustificato e favorito, come uomini di governo, la lotta di classe nella sua forma più esosa, hanno recato all'idea che essi presumevan di rappresentare la più mortale delle offese, e si son messi da sé fuori del liberalismo.

    "Io non voglio contestare, che molte giovani e sane energie si prodighino con illusorii miraggi nel movimento fascista; né che in alcune regioni questo rappresenti un moto di spontanea reazione contro atti di indicibile violenza. Quel che desta una viva apprensione è il generalizzarsi degl'impulsi, il loro coordinarsi in un sistema, in un programma politico. E dà un senso di rammarico, vedere che tante giovani energie vi si prodighino, educandosi a una scuola di violenza, che corrompe inevitabilmente gli animi. Si pretende far rivivere così la borghesia contro il socialismo, rendendo violenza per violenza? Si crede di esser liberi così dalla schiavitù socialista? E non si comprende che invece mai la borghesia è stata tanto schiava del proletariato quanto oggi, che per affermare la propria autonomia ne accetta passivamente, servilmente, il massimo postulato della lotta di classe?.

    Così scriveva il 31 marzo del 1921 un liberale: Guido De Ruggero; il 7 aprile Giolitti scioglieva la Camera per far le elezioni fasciste; il 7 maggio Salandra pronunciava un discorso, in cui non aveva una parola sull'antiprotezionismo, non una sulla libertà della scuola, ma in compenso definiva il fascismo come una provvidenziale anarchia.


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    Resta che si risponda al grande argomento, alla grossa Berta degli argomenti: "ma non c'era più Stato, non c'era più governo; il bolscevismo imperava; bisognava bene che qualcuno pigliasse il posto dei latitanti, e mettesse a segno l'estremismo!".





    Anche in fatto di bolscevismo bisogna intendersi. Dall'armistizio in qua di bolscevismi in Italia se ne sono avuti, non uno, ma due, opposti e simiglianti, "due ma uno, sì che chi ne piglia uno anche l'altro gli vien dietro", come il dolore e il piacere nell'apologo che sorrise a Socrate nel carcere: bolscevismo di destra e bolscevismo di sinistra, estremismo prezioso ed estremismo plebeo; tutti e due enormi, tutti e due urtanti, ma dei due più responsabile il primo, quello dei ricchi.

    E si dovevano o tutti e due reprimere o tutti e due tollerare.

    Per un po' si tollerarono tutti e due. Gli operai occuparono le fabbriche e i combattenti occuparono le terre e i mutilati occuparono gli uffici; successe che ufficiali in divisa furono aggrediti e ingiuriati, ma successe pure che ufficiali in divisa capeggiarono dimostrazioni nazionaliste; in Italia spadroneggiavano i Bombacci, in Dalmazia i Millo dichiaravano di straf... del governo di Roma; si amnistiavano i disertori, ma prima si erano amnistiati di fatto i generali cannibali e i fornitori ladri e da un pezzo la borghesia patriottarda aveva amnistiato i giovani nazionalisti che si erano imboscati.

    Non c'era altro da fare, per allora: aspettare che spiovesse e intanto "sbrigare gli affari di ordinaria amministrazione"; e per operare, aspettare che la febbre fosse scemata, e poi operare dalla parte dove il male era più minaccioso.

    Nitti lasciò che il malato sfebbrasse, Giolitti per un po' aspettò anche lui, poi operò; ma prima operò sul bolscevismo di destra come era giusto: incamerò i sopraprofitti di guerra e cannoneggiò D'Annunzio. E solamente dopo pensò che fosse venuto il momento di operare sul bolscevismo di sinistra e bandì le elezioni. Ma qui sbagliò perché si fidò del fascismo, e gli successe quello che abbiamo già detto. Ma la linea era giusta e l'errore fu solo di misura e di dose.

    Per cui, insomma, non è vero niente affatto che in Italia in questo triennio circa non ci sia stato governo, e che perciò l'intervento fascista sia stato provvidenziale; abbiamo avuto l'unico governo che si potesse avere, e il fascismo è stato solo uno dei tanti triboli che i governi del dopoguerra hanno trovato in Italia sui loro passi.


AUGUSTO MONTI.