Le ultime eresie d'occidente
IL DESIDERIO ANGLO-SASSONE DEL DIVINO
Chi volesse oggi, disgustato dalla pazzia slava, andare in cerca di drammi meno feroci di quelli europei, non troverebbe soddisfazione, se non tra i popoli anglosassoni del nuovo continente, ossessionati dal desiderio del divino.
Infaticabili accumulatori di ricchezze, costruttori di città immense e di palazzi altissimi sovrapposti a gradini (non per tentare la scalata a un nuovo olimpo transoceanico, puritano e "dry", ma per compiere l'irriverente missione alla quale sono destinati i "grattacielo"), superbi dominatori di terre e di acque, imbottigliatori di fiumi vorticosi, affermatori di un imperialismo filantropico a base di restrizioni puritane e di listini di Borsa, i popoli dell'America anglosassone non sono ancora riusciti a crearsi un Dio confacente al carattere della loro civiltà.
Sarebbe loro necessario forse, una specie di colosso di Rodi a tre gambe, ritto a strapiombo sul Pacifico e sull'Atlantico, con un piede in America, un altro in Europa e un terzo in Asia. Soltanto questo mostruoso idolo di cemento armato potrebbe soddisfare il loro titanico e affannoso desiderio di divinità. Un Dio imbevuto di teorie economiche e umanitarie, che avessero l'humor di Twain, l'ideologismo romantico di Emerson, l'asma panteistica di Whitman, le allucinazioni di Poe, la rudezza di Jack London e l'inventività di Edison, un dio che rappresentasse la civiltà dei grattacielo, delle sterminate officine, della "dry-low" e della Salvation Army; qualcosa come una protezione, nel mondo religioso dello spirito, dell'enorme potenza materiale della Confederazione. Un Dio simile a una gigantesca bottiglia di Leida generatrice di energia metafisica, l'unica energia della quale gli anglo-sassoni d'oltre oceano si sentano irrimediabilmente privi e che non sappiano riprodurre.
Questa ricerca del divino è venuta prendendo fra gli americani, in questi ultimi anni, tutti i caratteri dell'ossessione. Al culto primitivo, impostato dall'Inghilterra, degli eroi, dei "representative men" di Emerson, si era già sostituito da tempo il culto dell'uomo sociale, della volontà, della attività creatrice. Whitman era venuto ad annunciare i "re nuovi".
Ma, sebbene alla generazione degli idoli vani dai nomi sonori, santificati da Emerson, fosse succeduta la generazione dei Morgan, dei Wanderbilt, dei Rockfeller, dei "self-made-man" e dei re delle materie prime, nel culto popolare era rimasto molto di quel post-romanticismo che ha accompagnato il formarsi della moderna civiltà meccanica. Le correnti idealistiche tedesche e francesi, importate in America dagli epigoni del simbolismo e dagli ultimi hegeliani, avevano avuto il tempo di penetrare profondamente nello spirito ancora incerto dei discendenti di
Washington, prima che il tentativo "pragmatista" di James riuscisse a fissare e a divulgare le leggi di un nuovo ideologismo materialista, tendente a elevare l'utilità a dogma. Ciò spiega perché il pragmatismo, filosofia dell'utilità pratica che si potrebbe definire una specie di epicureismo economico, non sia mai andato al di là del tentativo e come non abbia mai potuto soddisfare quell'affannoso desiderio di divinità e di religiosità che costituisce uno fra i più caratteristici aspetti dell'inquietudine speculativa degli anglosassoni.
Quest'ultima considerazione, forse, potrà meravigliare molti che degli americani si son fatti un concetto di popolo rozzo e pieno di appetiti materiali, affannantesi intorno alla risoluzione di problemi puramente e economici e negato a tutto ciò che noi europei, gente racée e tradizionalista, chiamiamo cultura, vita interiore, intellettualità. Ma, nei fatti, l'intima struttura di questo popolo giovane e sanguigno ha una sua caratteristica fragilità che non a tutti è facile comprendere a prima vista; non sarebbe impropria agli americani la definizione che Alessandro Block, negli "Sciti" ha dato degli slavi, popolo "pesante e delicato".
Poiché, chi non avesse seguito con estrema attenzione i singolari fenomeni della vita sociale americana di questi ultimi anni, non saprebbe, ad esempio, rendersi conto delle ragioni che hanno determinato un popolo così smanioso di "comfort" e di appagamenti rapidi e concreti (e il concetto di "comfort" contiene anche l'idea che gli americani si sono fatti della libertà democratica) all'accettazione di leggi spesso paradossali, "uncomfortable", e contrarie al più elementare concetto di libertà, con le famose leggi proibizioniste. V'è una contraddizione in questo fatto, che il tradizionale rispetto alle leggi, così radicato negli anglo-sassoni, non riesce a spiegare e a conciliare.
Le teorie eugeniche del puritanismo sono lontanissime dalla mentalità popolare, specie nei riguardi della dry-low, legge che proibisce l'uso di qualunque alcolico in gran parte degli Stati Confederali; l'accettazione del proibizionismo di stato è dovuta, più che a preoccupazioni di natura igienica, a quell'elemento ancora imponderabile e di natura più che sociale religiosa, che fa parte del carattere degli anglossassoni e li spinge a una continua ricerca di leggi e di modi, i quali tengan loro ufficio di pratiche religiose. Elemento che informa di sé le ultime correnti spiritualiste americane e che si potrebbe chiamare un prodotto dell'attuale trasformazione dell'antico concetto democratico anglosassone. La completa astinenza, liberamente accettata, può essere, per un popolo di bevitori, una forma di misticismo. E che una specie di misticismo, in vari aspetti, sia alla base di ogni democrazia, è stato rilevato fin dall'antichità.
Chi abbia seguito con attenzione il sorgere e il delinearsi del proibizionismo puritano anglosassone, non può in nessun caso essere indotto a considerarlo, nei suoi effetti, come un fenomeno puramente pratico, e disconoscere quanto di religioso sia entrato, per mezzo del puritanismo, nel concetto democratico americano. Non bisogna dimenticare che il movimento proibizionista è sorto da una ideologia moralista e religiosa, e non si debbono confondere le intenzioni dei legislatori, che a quell'ideologia hanno dato, per forza di legge, un'attuazione sociale e pratica, con le intenzioni dei promotori, preoccupati più della morale che dell'igiene pubblica. Il proibizionismo puritano, bandito e sostenuto da una mentalità religiosa, che agisce al di fuori dello Stato democratico in forma di chiesa o di libera associazione, non si è risolto in legge, in norma pratica, ma si è trasformato in elemento sociale per risolversi in elemento religioso e morale. Il processo continua tutt'ora e già mostra di giustificare i mezzi col fine da raggiungere: che è d'introdurre nella mentalità americana il concetto religioso della privazione, cioè l'elemento indispensabile per dare al mondo moderno una nuova mentalità religiosa sulle antiche e insopprimibili basi del pensiero cristiano.
Ciò spiega la campagna proibizionista e i metodi pratici adottati: l'opera persuasiva e educatrice delle varie chiese protestanti, dalla luterana alla Christian Science, non aveva fin qui e non avrebbe mai potuto raggiungere, senza l'aiuto inconsapevole della mentalità e dei metodi democratici, alcun risultato.
Questo concetto-base della privazione, soffocato dalla democrazia apportatrice di ricchezza e di benessere, sta ora rinascendo per merito appunto della stessa democrazia. Quel che la propaganda dei pastori anglicani e delle corporazioni religiose, quali la celebre Y.M.C.A., non aveva potuto introdurre e far valere, sta ora prendendo forza di obbligazione per mezzo delle leggi democratiche. La "dry-low" ne è una prova. I tentativi, sinora mal riusciti, di dar forza di legge alla campagna da tempo intrapresa dal puritanismo contro l'uso del tabacco ne sono una conferma. Che l'igiene, poi, e il miglioramento della razza non siano la preoccupazione maggiore di questa campagna proibizionista, è dimostrato dal fatto che il progetto di legge, più volte presentato, contro l'uso del tabacco, si limitava a proibire di fumare soltanto in pubblico. Ciò prova che le intenzioni puritane non toccano l'igiene, ma la morale.
Non è chi non veda, da questi pochi cenni, come si tenda a far della democrazia americana, ancor oggi di schietta essenza positivista ed economica, una democrazia sul tipo delle greche antiche e di quella medesima di Roma repubblicana. I Catoni anglosassoni protestanti o talmùdici, non mancano di cultura, di pretese neoclassiche e di riferimenti storici; questo ch'io dico può essere da tutti riscontrato nei fatti e nei discorsi d'oltre oceano.
Ma ciò che appare certissimo, ripeto, dall'esame di fenomeni così vasti e complessi, quale il proibizionismo, è il tentativo di introdurre per forza di legge, nella comune mentalità, il sentimento religioso attraverso il concetto della privazione. La disciplina sociale può ancora tutto, come ben si vede, anche contro il pervertimento causato dall'eccesso di ricchezza e di "comfort".
In fondo, anche il proibizionismo rientra nelle teorie di Monroe, le quali sono poi, a ragion veduta, teorie imperialiste.
Questo appunto è ciò che noi europei, ingannati dalla famigerata filantropia anglosassone, non riusciamo a capire; ci è troppo difficile persuaderci da noi stessi che il proibizionismo non è se non un tentativo di dare al popolo americano quel sentimento religioso, senza il quale nessun imperialismo effettivo è possibile.
Ma anche di questo avremo il tempo di persuaderci, dopo che avremo capito come avvenga che un bicchiere vuoto, in virtù della "dry-low", abbia in America il significato di un cilicio.
C. E. Suckert
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