CONGIURE AL CHIARO GIORNOUna congiura del l845Molto interessante la riesumazione de "Gli ultimi casi di Romagna" fatta da "Rivoluzione Liberale" nell'ultimo numero; non inopportuni sarà, a render completa la cosa, riferire le pagine con cui quel simpaticissimo Massimo racconta di proposito, come andò la faccenda della "congiura al chiaro giorno" ai danni del papa, cui egli attese nel 1845, quale fu il suo piano, come glie ne venne in mente l'idea, come gli si offrì l'occasione di porre in atto l'idea stessa. Siamo a Roma nell'estate del '45. Il D'Azeglio riceve la visita d'un medico romagnolo conosciuto da lui in casa della Piermarini: il medico romagnolo non viene per una consultazione, viene, evidentemente, per parlar di politica; ecco nella relazione del D'Azeglio il senso delle parole del medico: "...esser papa Gregorio ormai cadente ed impossibile che campasse a lungo; essere, come benissimo conoscevo, la Romagna in puntelli; ed avere le persone savie ed oneste avuto molto che fare e dire per trattenere i popoli dal rompere in quelle solite imprese mazziniane, sempre pazze e sempre fatali; esser da pensar sul serio al caso della morte del papa, e cercare, per quanto fosse possibile, di prepararvi gli animi; dovere gli uomini influenti impiegare tutta la loro autorità onde persuadere che neppure alla morte del papa non si facessero novità ". Continuava poi il medico testualmente: "Ora dunque molti dei più influenti hanno immaginato che, essendo importantissimo d'antivenir pure i guai che senza dubbio avverranno alla morte di papa Gregorio, ci vorrebbe un uomo nuovo e non logoro come loro, un uomo che ispirasse fiducia e cercasse di rannodare, dirigere e raffrenare al bisogno tante volontà, tanti desiderii, tante idee in contrasto e prive d'ogni disciplina; e quest'uomo parrebbe loro, caro signor D'Azeglio, che dovreste esser voi...". . . . . . . . . . . . . . .
Nei giorni di poi - prosegue il D' Azeglio - andai molto ruminando questa faccenda, volgendola da tutti i lati e vedendone tutti gli aspetti. Alla fine mi decisi pel si. . . . . . . . . . . . . . .
E così cominciai ad eseguire... il piano che m'ero fatto, per i miei futuri abboccamenti coi liberali che mi aspettavano. Il piano era composto di due operazioni. La prima distruggere le idee vecchie; la secondo proporre le nuove. Le ragioni contro il sistema delle sette, delle congiure, dei moti di piazza ecc. sono state tanto ripetute che non e' inutile discorrerne; perciò la prima parte del distruggere non era difficile, ed ognuno immagini di quali argomenti mi dovessi servire. Ma la parte del ricostruire era la più scabrosa. A gente che soffre, in tutti i modi immaginabili, le infinite torture fisiche e morali del peggiore di tutti i governi conosciuti, finché le si dice: - La via che avete corsa sin qui non può condurvi a nessun bene, - si potrà più o meno far intender ragione. Ma quando s'arriva all'articolo del da farsi, quando vi chiede d'insegnarle la via buona e che si è costretti a risponderle: - Il da farsi per ora è niente; - ovvero la via da seguirsi, è lo starsene fermi, - allora c'è il caso che vi mandi a far benedire. Contuttociò era chiaro che non avrei potuto esercitare qualche buona influenza, se non riuscendo a far entrare nei cervelli queste verità. Dicevo dunque: "Parliamoci chiaro: che cosa volete voi altri - ed io con voi? Potete metter fuori d'Italia i Tedeschi e fuori dell'uscio il governo dei preti? A pregarli che se ne vadano, è probabile che vi diranno di no. Bisognerà dunque sforzarveli; e per sforzare ci vuol forza, e voi la forza dove l'avete? Se non l'avete voi, bisogna trovare chi l'abbia. E in Italia chi l'ha - o per dir meglio - chi ne ha un poco? Il Piemonte: perché almeno ha una sua vita indipendente; ha danari in riserva, ha esercito, ecc." A questa parola il Piemonte, il mio interlocutore faceva la smorfia; e soggiungeva con ironia: "Carlo Alberto! In lui volete che speriamo?". Ed io mi stringevo nelle spalle e rispondevo: "Se non volete sperare non sperate. Ma bisognerà rassegnarsi a non sperare in nessuno, allora". Va e gira: Comarca, Marca, Romagna; di anello in anello della trafila il D'Azeglio, come ognuno ricorda, tira ed annoda i fili della sua singolare congiura: vede i liberali sudditi del Papa; moltissimi ne converte alle sue idee; per la Terra del Sole, Rocca San Casciano, Dicomano traversa l'Appennino e arriva a Firenze; di qui si conduce a Genova e finalmente a Torino. Restava da fare il più: parlare a Carlo Alberto, riferirgli, sondarlo, sapere se si poteva contar su lui. L'udienza è chiesta ed accordata. Dello storico colloquio tutti ricordano il punto essenziale. "Vostra Maestà conosce tutti i moti, le congiure e le rivoluzioncelle accadute dal '14 in qua; conosce le cagioni che le eccitano, il malcontento che le aiuta, come il poco senno che le conduce, e le tristi conseguenze che ne derivano. Papa Gregorio è vecchio e cagionevole; alla sua morte certo, se non prima, qualche gran cosa si prepara... E' dunque urgente trovar rimedio. "I più riconoscono la poca assennatezza de' fatti accaduti sin qui, e desiderano mettersi per una via nuova. Tutti si son persuasi che senza forza non si fa nulla; che forza in Italia non è che in Piemonte". Senza punto dubitare né sfuggire il mio sguardo, ma fissando invece i suoi occhi ne' miei, Carlo Alberto disse tranquillo, ma risoluto: "Faccia sapere a quei Signori che stiano in quiete e che non si muovano, non essendovi per ora nulla da fare; ma che siano certi, che presentandosi l'occasione, la mia vita, la vita dei miei figli, le mie armi, i miei tesori, il mio esercito, tutto sarà speso per la causa italiana". Una congiura pel l925Ahùff! che barba! Cos'è sta roba? Romagna, governo dei preti, papa Gregorio, Re Carlo Alberto, 1845? Ma facciamola finita con questi sottintesi, e parliamo chiaro; e della censura, dei sequestri, delle diffide non ce ne preoccupiamo più che tanto: ché, insomma, se han da venire vengon lo stesso: e per noi la via più dignitosa e la più conforme all'indole nostra è di dire quel che si pensa, altrimenti tacere. Dunque, siamo intesi. I casi di Romagna del l846 sono i casi d'Italia del 1921-24, il governo dei preti e dei tedeschi è il governo fascista, e papa Gregorio è (...nome illeggibile). E il piano della congiura che si trama a giorno quasi chiaro, non sullo scorcio del 1845 ma sullo scorcio del 1924, è quello che tutti conoscono. Niente scioperi, niente tumulti in piazza, per non far il giuoco dell'... Austria. Seguir le vie legali e preparare della situazione - oggi grave più che mai - lo sbocco costituzionale. La soluzione sarà soluzione parlamentare o non sarà. Massa di manovra i liberali fiancheggiatori. I quali all'ala destra (salandrini) terranno impegnato il nemico mantenendosi in contatto col fascismo revisionista e coi ministri nazionalisti; all'ala sinistra (giolittiani e affini) cercheranno di prendere e stringere contatti con le opposizioni costituzionali e specialmente con i democratici e con gli unitari. Organo di collegamento tra le due ali liberali il "Giornale d'Italia", che, pur assumendo un tono sempre più sinistreggiante, rimane sempre "l'organo dei librali di destra". Il "sette bello" nel gioco dei liberali è rappresentato dai deputati combattenti, i quali, alla Camera, hanno il compito di far da centro d'attrazione per la fronda della maggioranza fascista, nel paese han l'incarico di "svuotare" il partito fascista delle sue idealità patriottiche e "vittoriali". Tanto nel paese quanto nella Camera non è né disprezzato né respinto l'ausilio che alla campagna di liquidazione legale del... nemico può apportare la massoneria, sempre abbastanza potente in Italia ed efficace per combinazioni di questo genere. Al momento buono, quando gli accordi fra i vari gruppi "manovranti", saran definiti sin nei particolari, e la frana della maggioranza starà per prodursi, si lancerà un razzo di richiamo per l'Aventino e di là verranno i rincalzi degli Amendoliani, degli unitari e, sperabilmente, dei popolari; e allora la cosa sarà fatta. Salandrini più fascisti revisionisti più nazionalisti più clericali nazionali più democratici altrettanto nazionali, più liberali borziniani, più combattenti e leghisti italici, più giolittiani, più oppositori costituzionali, e la maggioranza sarà spostata, i fascisti estremisti saranno posti in minoranza. Insomma: quella che si chiama la "soluzione di centro", quella che deve portare ad un Ministero Giolitti-Del Croix, allo scioglimento della Camera del 6 Aprile, alle elezioni con collegio uninominale: - E se Mussolini si butta con i selvaggi, e non vuol andarsene senza "sbatter le porte", e si ricorda d'aver la forza, e a questa forza vuole ancora una volta ricorrere? - Allora un mutilato di guerra, una medaglia d'oro, un reduce delle Argonne domanderanno di esser ricevuti da S. M. il Re, e gli esporranno gli ultimi casi d'Italia, e gli diranno che "tutti si son persuasi che senza forza non si fa nulla; che forza in Italia non è che nel regio Esercito". Al che Sua Maestà naturalmente risponderà: "Faccian sapere a quei signori che le mie armi, il mio esercito, tutto sarà speso per la causa della libera Italia". E allora sarà lo stato d'assedio, la dittatura militare, il repulisti e dopo... dopo, finalmente si tornerà a respirare. Una congiura "che non ci piace"Noi per nostro conto diciamo subito che questa congiura "non ci piace". Prima di tutto questa congiura noi la crediamo campata sul vuoto: il perno di essa è l'esercito che, ad un ordine di S. M. il Re; dovrebbe "metter a posto" il fascismo qualora questo si ostinasse a rimanere al governo nonostante il voto contrario della maggioranza. Sarebbe ora codesto esercito di lasciarlo in pace e di non trascinarlo più nelle nostre beghe politiche: l'esercito italiano è un malato in convalescenza. Nei giorni della marcia Diaz si raccomandò a Mussolini: "Eccellenza, mi ridia un esercito", il che voleva dire che un esercito degno di tal nome in Italia allora, e non solo da allora, non esisteva più. E' fama che Mussolini rispondesse quell'appello così: "Glie ne darò due di eserciti", il che era un modo... romagnolo per dire che di eserciti non glie ne avrebbe dato neanche uno. Io credo che chi ha mantenuto la parola sia stato Mussolini. Sia come si sia, l'esercito ora ha bisogno di grande riposo, e ad un carico come quello che gli vogliono imporre i patriottici cospiratori di cui sopra, esso non reggerebbe. Il Re... il Re... è il capo supremo delle forze armate di terra e di mare, ma, naturalmente, per agire come tale deve tener conto delle... debolezze di queste forze. E nessuno in Italia ne terrá conto quanto Lui. Mancando il perno cade tutta la combinazione: la quale del resto non regge anche per altri motivi. Le forze parlamentari ed elettorali su cui essa si appoggia sono delle forze... più deboli di quelle altre. Che cosa rappresentano nel paese i liberali (vuoi di destra, vuoi di sinistra), i clerico ed i democratico-nazionali e aggiungiamoci pure i revisionisti? Zero, quattro caporali senza un soldato: gli industriali, qualche banca più o meno spedata, qualche fondo di loggia, qualche clientela personale, e basta: come masse niente, elettoralmente un bottone buttato in aria: in una elezione fatta in libertà domani resterebbero a terra per quattro quinti. La loro forza e la loro risorsa è stato e rimane il fascismo: o padroni col fascismo o polvere. Ed essi lo sanno e prima di mollar il fascismo ci penseranno due volte tutti quanti, e lo molleranno solo quando abbiano un altro fascismo da mettergli conto e da mettergli in vece. Il quale surrogato di fascismo sperano quei signori cospiratori che sia il combattentismo dell'A. N. C. e della Mutilati. E' nient'altro che il disegno già accarezzato nel '19, al tempo delle "leghe antibolsceviche", quando da ogni parte si invitavano i reduci ad entrare in queste leghe a patti d'oro: adesso è mutato l'obbiettivo, o meglio c'è un falso obbiettivo ed è il fascismo selvaggio, ma resta l'obbiettivo vero che è quello del movimento operaio intransigente. Ma il tentativo fallirà anche questa volta. Il movimento combattentista ora come ora è formato di gregari generalmente antifascisti ma politicamente eterogenei, e di capi che per necessità sono stati e devono rimanere "governativi" e "ministeriali" pena la rovina economica delle due Associazioni. Ad ogni modo i combattenti e i mutilati, dirigenti e gregari, sono, come tutti i veri guerrieri, gente molto pacifica e che in nessun caso mai si procurerà dei mali di pancia per togliere dal fuoco le castagne fasciste per amore dei fiancheggiatori delusi. Per queste e per altre infinite ragioni che qui si omettono noi crediamo che la congiura parlamentare Salandra-Giolittiana sia destinata all'insuccesso. Ma se domani la congiura riuscisse e davvero la successione del fascismo fosse raccolta, con la soluzione cosidetta di centro, dalla coalizione sopradescritta, domani la nuova situazione e il nuovo ministero tipo Sarrocchi-Soleri-Del Croix troverebbero in noi i loro più fieri nemici. Noi deprechiamo con tutte le nostre forze la soluzione di centro destro con eventuale puntarella a sinistra: si sarebbe fatta la guerra contro l'Austria al fronte e la guerra civile in casa, dieci anni di guerra atroce, per ritornare politicamente al punto in cui si era prima del '14, con l'unica differenza che allora, nel governo di centro sinistro con puntarella a destra, i padroni del vapore erano gli organizzatore operai del socialismo riformista, adesso i padroni irresponsabili sarebbero gli organizzatori dei sindacati nazionali: e con questo in peggio che il giolittismo redivivo con o senza Giolitti, avrebbe, per tener a bada le sinistre, il mazzierismo di Stato della Milizia e dell'organizzazione fascista. Una soluzione di questo genere sarebbe per l'avvenire dell'Italia politica addirittura disastrosa. I primi a deprecarla devono essere i conservatori veri e autentici. La soluzione, per riuscire, dovrebbe staccare dai partiti di masse, gli elementi liberali e democratici; e allora, per la solita forza d'attrazione esercitata dai nuclei più intransigenti, le masse finirebbero in braccio al nazionalismo, e l'urto che i centristi credono ora di evitare, non sarebbe che differito, e avverrebbe a non lontana scadenza più formidabile che mai. Il vero nemicoCriticare le congiure altrui è facile: meno facile è proporne una migliore. La "Rivoluzione Liberale" la sua congiura ce l'ha anche lei. Niente di nuovo da dire: solamente ci dobbiamo ripetere, magari fino alla sazietà. Il nemico vero e veramente pericoloso non è il fascismo per sé. La "situazione pericolosa" non è quella prodottasi con la marcia e aggravatasi dopo il delitto Matteotti. Il periodo più funesto del dopoguerra è quello che precede la Marcia e che va dal gennaio del '21 al secondo ministero Facta. I nemici sono gli uomini che ebbero la responsabilità del governo in quel periodo. Nella prima metà del '21 il fascismo non era né pericoloso né minaccioso: movimento corridoniano in qualche centro, movimento agrario-schiavista in qualche provincia, esso era ad ogni modo un movimento privato ed autonomo di efficienza circoscritta e definita: il venir meno dell'esaltazione bolscevica andava togliendo a questo fascismo gran parte della sua ragion d'essere immediata; e ne assicurava la graduale estinzione. E' in quel momento che Giolitti nota l'esistenza di questo movimento e, domato il dannunzianesimo a Fiume coi carabinieri e con l'esercito, pensa di stroncare socialismo e popolarismo con le squadre. Incomincia allora una nuova fase nella storia del fascismo; la fase governativa, sotto Giolitti si trasformò il fascismo di movimento privato in movimento governativo. E' il tempo in cui dopo un rapporto di carabinieri in congedo tenuto alla tenenza, sorge nella sede della tenenza il primo fascio, composto, per caso, quasi per intiero di ex-carabinieri; è il tempo in cui uno studentaccio qualunque dopo una qualunque spedizione punitiva è chiamato in questura e qui invece di ricevere dal delegato una lavata di capo ne riceve invece dei complimenti ed il grazioso dono di una... beretta; è il tempo in cui nelle prefetture... democratiche si organizzavano le prime elezioni amministrative sotto gli auspici dei fasci; è il tempo in cui sui camiens della benemerita compaiono, accanto alle lucerne e ai colletti rossi, le prime camicie nere; è il tempo in cui i giudici... giurati distribuiscono secoli di galera agli antifascisti innocenti e secoli di assoluzione ai fascisti convinti di... fascismo. Quando il fascismo è ritentato bene... governatizzato (ed era in realtà il governo che si mostrava appuntino fascistizzato) si indicono le elezioni. Le elezioni del '21, quelle della stella col fascio, quelle dei blocchi nazionali: la prova generale delle elezioni di Cesarino Rossi. Il colpo non riesce: per la prima volta Giolitti sbaglia anche le elezioni; nonostante il fascismo, anzi mercé il fascismo, popolari e socialisti, in una magnifica ripresa, mantengono le loro posizioni. Le forze politiche borghesi, dopo quell'insuccesso traccian più chiara la loro via. Con le elezioni non si fa più niente: neanche el vecio l'ha spuntata. Occorre dell'altro. Fascisti... a noi! Avanti, ché la via è libera. Ministero Bonomi: anche le armi e gli uomini dell'esercito a disposizione del fascismo. Ministero Facta.: la fiducia della creatura di Giolitti buttata fra le gambe dei ministri antifascisti impazienti di agire. E siamo - finalmente - alla Marcia. Comincia il governo dichiaratamente fascista. Orbene: l'opinione comune è che il periodo grave, pericoloso, intollerabile, per l'Italia sia appunto quello del governo fascista dall'ottobre '22 in qua. L'opinione comune è in errore. Il periodo più grave, più pericoloso, più mortificante è quello che precede la Marcia e che va, come s'è detto, dai primi mesi del '21 alla Marcia. Dopo la Marcia è un pugno di faziosi che governa fuori delle norme costituzionali, in proprio nome, sotto la propria responsabilità; e, in quanto governa male, lavora anzitutto a minarsi il terreno sotto i piedi. Ma nel periodo antecedente è Giolitti, è Facta, sono i costituzionali, sono gli uomini d'ordine, sono i rappresentanti dell'antica Italia ufficiale che ad uno ad uno tolgono tutti i veli che coprono il loro scheletro di reazionari, che ad uno ad uno consegnano nelle mani dei facinorosi gli organi più delicati dello Stato italiano, che sostituiscono alla lotta politica la lotta di classe, che mettono fuori della legge metà del popolo italiano, quella metà che ha mostrato nelle aperte lotte amministrative e politiche di voler adoperar la scheda per costituirsi nello stato di nessuno il suo Stato, nella Patria di lor signori la Patria sua. E' poi è successo che la biscia ha morso il ciarlatano. E poi è successo che il fascismo non ha voluto saperne di lavorare per il Re di Prussia: e arrivato a Roma per la breccia delle istituzioni ha detto anch'esso romanamente "qui staremo da papi". E adesso gli uomini d'ordine... del "Giornale d'Italia" trovano che il gioco ha durato troppo per esser ancora bello, e che, mangia e mangia, se continua così per chi verrà dopo non resteràn neanche le gambe delle tavole: e spaventati, atterriti, pentiti, si battono il petto, e invocano l'aiuto... dei combattenti - e degli Aventinesi. Aiuto per far che? per salvar che cosa? Chi vi ha messi in codesti pasticci? Quei combattenti che nel '21 non han voluto entrare nel blocco nazionale? Albertini ed Amendola che son state le vostre Cassandre e che voi per poco avete lasciato accoppare davvero come la Cassandra Eschilea? Da voi vi siete messi in codeste peste; sfangatevi da voi. - Ma si tratta di salvare l'Italia! La nostra congiuraUn momento. Voi, al solito, confondete l'Italia con le fortune e con gli interessi vostri. Oramai dell'Italia finalmente una voi col vostro contegno siete riusciti a farne di nuovo due: la vostra e la nostra: quella dei fascismi e quella delle opposizioni. E fra le due c'è una fossa, anzi un abisso, e questo abisso siete voi che l'avete scavato, o sono stati i vostri giannizzeri, che fa lo stesso. Alla vostra Italia pensateci voi: noi penseremo alla nostra. E la nostra Italia ve la diciamo noi quale sia. E' l'Italia degli operai di Torino, di Milano, di Molinella, che premuti, minacciati, braccati da ogni parte, han resistito ad oltranza e si son difesi da sé con le sole armi della loro irreducibile fedeltà alle loro idee, magnifico esempio di carattere agli invertebrati delle classi più alte. È l'Italia delle povere donne dei nostri contadini, a cui gli scherani degli agrari uccidono o sbandiscono figli e mariti e a cui unico sfogo e sollievo e conforto è rimasta l'umile nostro parroco di campagna non sempre sicuro neanche lui del segreto della stua squallida casa parrocchiale. È l'Italia dei Combattenti di Sardegna rimasta fedeli a Lussu, dei Combattenti di Puglia rimasti fedeli a Salvemini, dei Combattenti di tante parti d'Italia che eran vessati ed angariati in mille modi mentre Viola Savelli e Rossini a Roma collaboravano con Mussolini e commemoravano la Marcia. E' l'Italia di quei borghesi, fulgido esempio di fermezza fra l'innominabile bassezza del loro ceto, che non vollero mai piegarsi al vincitore, che, sinceramente, fieramente seppero riscattare l'illusione o la debolezza di un'ora, con anni di resistenza pervicace e di lotta implacata. La nostra è insomma l'Italia seria, austera, l'Italia moderna, europea, che noi qualche volta nell'angoscia delle giornate più scure, avevam pianto come morta in sul nascere, e che invece la raffica fascista ha messo allo scoperto, come il diluvio del nubifragio, dilavando via il terriccio più molle, scopre e rivela sui fianchi del monte l'armatura eterna della roccia di granito. La nostra è anche - perché no? - l'Italia che si nasconde in potenza nelle plebi rurali di tutti i mezzodì d'Italia, a cui il travaglio della guerra ha messo indosso ed ha acuito quell'inquieta sete di meglio che è foriera di ogni moto d'indipendenza. Noi che questa Italia abbiam ritrovata e scorta più chiaramente in questi ultimi tempi, noi che, poveretti per il marsupio, siamo dei signori per la coltura, noi, che settentrionali per nascita e per educazione, siamo meridionali per sentimento e per elezione, noi che crediamo di rappresentare in sintesi questa Italia una e diversa, antica e nuovissima, di ieri e di domani, noi ci assumiamo il compito di riconoscere sempre meglio questa Italia, di ricercarne e di connetterne le parti ancora disunite, di eliminarne i motivi di divergenza, di metterne in evidenza i bisogni comuni, di immettere in un alveo solo i diversi rivi, di fare una cosa sola di quegli elementi che la comune repugnanza al regime non ha ancora perfettamente amalgamato, di contenere le impazienze degli uni, di sostenere i mancamenti degli altri. E, anche noi ci proponiamo di costruire fra questi Italiani quell'opera di pace, di cui tanti van predicando da ogni parte: ma un opera di pace fatta un poco a modo nostro e consistente essenzialmente in questo: nel persuadere gli antifascisti di questa del resto ovvia verità: che i nemici non sono i fascisti dalla camicia nera e dalla faccia feroce, ma sono invece quelli dallo sparato bianco e dalla faccia bonaria che hanno guidati e pagati e protetti i primi: quelli erano o degli esaltati che sfogavano il loro ardore o dei disoccupati che avevan trovato un impiego, e ad ogni modo erano degli incoscienti, degli impulsivi, degli irresponsabili, e come tali meritano attenuanti e magari perdono: mentre invece nessun'attenuante, nessun perdono potrà mai esser concesso a quei politicanti, a quei funzionari, a quei ricchi, a quei beati, che freddamene, premeditatamente, hanno scatenato in Italia la guerra civile, e dove sarebbero bastati i rigori della legge, ad arte han messo in disparte, come catenacci inutili, i mezzi costituzionali, e per difendere il loro ordine, la loro Italia, han creato, addestrato, armato e stipendiato le squadre dei nuovi sanfedisti. E a costoro non mancava la cultura, e costoro non eran più spinti ad agir così dalla legittima difesa, e costoro, non erano spinti sulla via della violenza né dalle ideologie incendiarie, né dal bisogno, né dalla, fame, né dal desiderio di vendicare secoli di abbiezione e di miseria. Il vero nemico è in quei ceti che il nostro Comitato Centrale ha bollato a dovere nel suo manifesto: e questo nemico è veramente ancora il padrone della situazione. Contro questi ceti, per il bene dell'Italia, si deve ricostruire la situazione che era stata creata per vie costituzionali dalle elezioni del '21: la cosiddetta situazione di sinistra; popolari, socialisti e democratici; massa di opposizione prima, base di governo poi. L'esperienza di questi tre anni non sarà stata inutile: certi errori non si ripeteranno, certe incomprensioni cadranno, i programmi saranno riveduti, gli uomini vagliati, la tattica concordata. E il campo di manovra non può, non deve essere la Camera del sei aprile, e non deve essere solamente il Parlamento: anzi se si vedesse che il mandato parlamentare appesantisse certi esponenti delle opposizioni e ne limita la libertà d'azione e li segrega dal rimanente delle opposizioni, si dovrebbe anche giungere al punto di rinunziare al mandato, senza temere perciò la taccia d'illegalità, perché solo chi è senza peccato può lanciar la prima pietra, e sul terreno della illegalità si son messi per primi appunto gli ortodossi della costituzione. E le opposizioni agiscano per conto proprio, senza cercar di influire su quel che accade... di là dall'abisso: quello è un altro mondo. E se i fiancheggiatori han paura del fascismo sbrighino loro da soli la partita. E se intanto qualcosa di alto e di sacro viene ad esser compromesso, e qualche idolo cade, e qualche frutto ormai più che maturo si stacca dall'albero e cade spappolandosi al suolo... buona notte sonatori, la colpa non sarà la nostra, noi vediamo soltanto di non lasciarci cogliere sotto la ruina. Ordine, pazienza, disciplina: chiarezza di propositi, moderazione di parole, prudenza di atti, decisione di movimenti. Quando quegli altri si saran bene bastonati tra loro, e si saranno reciprocamente esauriti, allora verrà il momento nostro. Che potrà esser tra due mesi, come potrà esser fra due lustri. Che potrà esser per il 1925 come potrà essere per il 1945. Esser pronti per domani: saper aspettare per dieci anni. I più giovani di noi sono già pronti; i più vecchi non hanno paura di perder la corsa. AUGUSTO MONTI.
|