SPUNTI DI PSICOLOGIA ITALIANA

DINAMISMO

    Quella povera ex-sottoeccellenza Finzi, che al processo di Milano ha dovuto lasciar mettere in luce colla storia della propria vita anche le debolezze del proprio carattere! Lasciamo andare le altre e fermiamoci ad una sola di esse: prima di salire ai fastigi del potere Finzi era giovinotto che correva volentieri in motocicletta. Non arrivava mai vincitore, ma continuava a correre per singolare devozione alla velocità. Riflesso di tal devozione (e causa) l'affetto per la Gazzetta dello Sport.

    Una volta, poniamo ai tempi di San Francesco, si portava devozione a una virtù e a qualche libro antico, per esempio alla povertà e all'Evangelo. La balda gioventù, che ha assicurato all'Italia la sua nuova grandezza si è formata al culto esclusivo della Velocità, ed ha riconosciuto il proprio speculum perfectionis nella "Gazzetta dello Sport". Perché la Velocità? Mah! C'è da rifarsi la vecchia domanda: dove vanno i cani, che incontriamo per le strade senza padrone e senza incarichi ma zitti e seri come gente di senno e frettolosa?

    La velocità è naturalmente un'utilissima cosa in vista di qualche scopo. Questa è sapienza antica. Conquista modernissima invece è la devozione alla velocità per sé stessa. Chi corre di più e chi corre più instancabilmente è il più bravo; acquista per tal semplice costanza ogni diritto, a cominciar da quello di metter sotto il prossimo. Si rifletta un momento e si vedrà che il vezzo moderno di non tener in nessun conto la vita altrui è nato ancor prima della guerra, in ossequio alla legge (questa sola rispettata) del dinamismo. Codice propulsore del quale era il roseo giornale milanese.





    Verrà tempo che un laureato di belle lettere cercherà le fonti dell'oratoria (e del pensiero) fascista nelle annate della Gazzetta. E sarà una tesi niente affatto più stupida di tante altre. I primi elementi dello stile fascista sono là e non nel futurismo: retorica, mitologia, teatralità, disinvoltura e sopratutto quella, oggi prediletta, sublimazione di fatti fisici, naturali e transeunti in miti augusti, sovrannaturali ed eterni. La mentalità e la coltura di moltissimi dirigenti attuali d'Italia sono tutte là dentro. Quando l'eminenza grigia del fascismo, Arnaldo Mussolini formula questo credo: "per ridar pace all'Italia basterebbe togliere dalla circolazione una ventina di capi dell'opposizione e i loro giornali", ragiona come un boxeur, per il quale tutti i problemi dell'universo si riducono alla necessità di mettere knock-out un avversario.

    Un sistema americano, si dice. Questa mania di diffamare l'America! Lo sport nei paesi anglosassoni è cosa che interessa tutti, sicuro, ma precipuamente i muscoli di tutti, e la passione per esso nasce dal piacere schietto della vita sana e attiva; é rimasto, insomma - a parte le esagerazioni - il diporto. Da noi, gente tanto meno giovane e tanto meno ferina, lo sport s'è voluto nobilitare, s'è fatto, o meglio l'han fatto divenire una faccenda di cervello. E l'han trasformato in "dinamismo". Tutti i paesi d'Europa, va bene, soffrono di questa febbre. Ma badate: pare che questa curiosissima mascherata da noi sia considerata la maggior conquista spirituale del tempo, perché abbiamo adesso, noi primi nel mondo, un governo dinamico, un teatro dinamico ecc. Per naturale conseguenza da noi i corridori più veloci e i trasformisti più scaltri (tra le due categorie è ammessa compensazione) sono i più stimati uomini della felice Italia.

    Non mi nascondo che il problema ha un altro lato angustiante: perché dunque la fortuna del dinamismo? Già, ma dove vanno i cani?





DISCIPLINA

    E' risaputo che da un paio d'anni nell'Italia monda d'ogni lebbra è restaurato il senso della disciplina e della gerarchia. Certi malcontenti di mestiere borbottano di non so quali assassini e bastonature, che sarebbero avvenuti e avverrebbero qua e là. Ma costoro offrono così solamente il destro ai capi del partito dominante di dimostrare, sulla base degli scatti sporadici d'impazienza, il merito e il valore della gran disciplina, che tiene in redini tanti generosi lioncelli. Perché altrimenti le Alpi e gli Appennini non basterebbero ad arginare il lago di sangue versato. Né vale sottilizzare cercando nel blocco monolitico dell'ubbidienza gerarchica tante signorie, specie di isole feudali tenute insieme dalla stessa fiumana che le nutre tutte. No, no disciplina esiste, e per scoprire il punto debole, se mai, bisogna indagare l'origine.

    Viviamo, per fortuna, in tempi grossi, di fatti e d'idee. Poiché tutto nasce o si rinnova adesso, il mondo é un calderone, dove basta tuffare il mestolo per tirar su qualsiasi spiegazione ci occorra. Ora dunque il mestolo mi dice che la disciplina italiana è nata, come tante altre virtù, nella grande guerra. E' nata così piena, così perfetta da far dubitare che non sia, al pari d'altre creature almeno concettuali, figlia di molti padri, ma d'un padre solo. Altra girata di mestolo sissignori, ha un padre solo, il Regolamento di disciplina per l'Esercito italiano.





    Bisogna esser stati nelle caserme, durante le operazioni di mobilitazione, e lassù al fronte, nei Corsi allievi-caporali e allievi-ufficiali, e nelle trincee e nelle batterie per capire l'enorme importanza del Regolamento di disciplina (studiato o anche soltanto praticato) sullo spirito della maggioranza degl'Italiani, intendendo degl'Italiani che pretendon d'esser colti. La più parte di essi era andata in guerra sprovvista di vera coscienza morale. Sapeva, sicuro, che non si deve uccidere né rubare, si devono pagare le tasse e rispettare le autorità, esser buoni e gentili verso gli uomini e gli animali, assolvere ai proprii impegni, nutrire degli ideali ecc. Ma che moralità sia un fuoco intimo, non identificabile con nessun codice, identificabile solo con personalità etica, legge per sé infallibile ecc. non sospettava nemmeno. Erano andati in guerra per il gusto dell'avventura, o per la spinta di varie ideologie o semplicemente per la spinta del foglio di precetto, con in mente delle visioni truci o gloriose di sangue e di sole. Ed ecco, prima d'esser ammessi alla fatica della guerra, o, quasi a ristoro, nelle pause di essa, ecco la catechizzazione del Regolamento. Un singolare palazzo! Trovavan là dentro un curioso museo di prescrizioni formalistiche, che avrebbero potuto apparire ben aride e assurde nell'ombra della possibile morte imminente, ma che invece si coloravano, per l'invincibile tendenza fantastica italiana, di colori romantici, quasi si potesse lì in quel palazzo severo fare una degna toeletta funebre. Altre cose c'erano giù nelle fondamenta che già il buon Boine s'era sforzato anni avanti di mostrare. Tra l'altro un'urbanità, la quale indicava, come quelle formule fossero essenzialmente un pro-memoria ad uso di persone, che sapessero già cosa fossero sacrificio e dovere, patria ed umanità. Studiare il Regolamento di disciplina e non iscorgervi sotto, a commento, la figura d'un Massimo d'Azeglio vuol dire non capirne nulla. Ebbene molti dei buoni italiani, i moralmente anarchici, non ne capivano nulla. E tuttavia videro in quel codicetto di prescrizioni il libro educativo di cui abbisognavano. Ideologie ne avevano loro in serbo, o potevano toglierne in prestito a bizzeffe. Non sentivano il bisogno di rinnovare (di creare) l'humus della loro anima, sentivano il bisogno d'un pezzo di sistema, d'uno schema saldo, ben ramificato. E se lo piantarono in corpo quel bastone pluricornuto e si sentirono finalmente uomini compiuti.





    Fu un'alzata di genio di Mussolini, quella di aver armato i suoi uomini di manganello. Manganello fuori, manganello dentro. La storia ricompensa sempre con un quarto d'ora di celebrità coloro che sanno esprimere con simboli materiali quanto é racchiuso negli spiriti della folla.

    Ora c'è un mucchio di ragioni, perché il fascismo si mostri tanto resistente contro l'offensiva dell'opinione pubblica. Ma lasciamo da parte ogni considerazione d'interessi speciali e generali, e presentiamoci il caso di quei fascisti - saranno certo molti -, i quali traggono dal loro mestiere più perdite che guadagni e sono, come si dice, uomini di fede. Il maggior bene di costoro è appunto la loro "disciplina", quel bastone piantato dentro per tenere su il loro mondo morale. Se quel bastone domani si rompe come un pezzo di legno qualsiasi? Si può ridere raffigurandoci le vie e le piazze piene di gente da un'ora all'altra costretta a camminare sghemba. Ma non bisognerebbe esser Italiani per non sentire quanto la vantata disciplina sia per tutti mortificante.

VOLONTÀ

    Quest'altro tabù è in circolazione da un pezzo. Ma anch'esso ha trovato secondo la recente dogmatica, soltanto nel nostro tempo le personificazioni più compiute. "Volere é potere" diceva già l'ottimo Michele Lessona. Ed ecco per semplice effetto di volere oscurissimi giovincelli salire alle cariche maggiori dello Stato. Le aquile romane dormivano da millenni; ed eccole, allo scatto d'un comando telegrafico riprendere il volo imperiale fin sotto l'Equatore. E nondimeno il mondo sempre invidioso non vuol lasciarsi imporre da quegli strapazzamenti. E gli stessi Italiani, questo difficile e mutevole popolo, si mostrano già stanchi di tanti sforzi volontaristici. Onde sorgono delle sibille tricolori a lamentare che il malumore iconoclasta insieme con tanti ideali appena usati per distruggere anche alcune virtù quasi intatte, archetipo delle quali sarebbe appunto la volontà. Che cosa rimarrà all'Italia ricaduta nell'antico scetticismo? Molti cittadini dabbene scuotono la testa riconoscendo che c'è del vero nelle anticipate geremiadi.





    Occorre dunque decidersi a metterla sulla bilancia questa virtù cardine della vita moderna. Chi ha provato ad esercitare sul serio almeno una virtù, sa di quanti pezzi fosse inevitabilmente l'abito di lei. Perché insomma se lo spirito umano è pronto la carne è debole, e una volta sposatala, l'altra donna, fino al divorzio si doveva pensare a vestirla noi. E invece come appare la rinnovata dea Volontà! E' tutta bella, tutta lustra e agghindata, con riflessi di scatola come - mi si passi il paragone in tempi bellicosi - come un soldatino di piombo uscito appena di fabbrica. Armato di tutto punto, colla sua uniforme scintillante, coi colori della salute nel viso feroce, col colore di morte nell'arma spianata il soldatino è sempre pronto col piede in aria per iniziare la strage. E' sempre pronto e non si muove mai. La sua anima è tutta nel gesto, e in quel gesto si esaurisce. Non è un soldato, è la volontà d'esser soldato, il piede in aria, le armi, il viso feroce sono la comica (la tragica, se volete) smorfia con cui la volontà esala il suo ultimo respiro, e dunque sono la maschera dell'impotenza. Non è di natura uguale la celebrata volontà di volontà moderna?

    Non è ora di riconoscere nella "Volontà", in questa pretesa dea, una Venere Pandemia e di congedarla? Per ricominciar ad essere qualcosa prima di volere.

L. VINCENTI