Risorgimento

LE MEMORIE DI CESANA

    La politica dell'Austria, la Restaurazione, è valsa come reazione per educare gli italiani? In questi argomenti le storie usano comportarsi con tranquillo ottimismo: e per poco non fanno nascere il Risorgimento direttamente dal confronto con i metodi dell'Austria. Ma converrebbe guardare il problema da buoni laici, piuttosto ignoranti di miti e di Provvidenza della Storia. L'idea che la tirannide sia educativa ci repugna. La tirannide genera la ribellione romantica o l'umiliazione plebea. Se nel Risorgimento si ebbe altro, si ebbe nonostante la tirannide, per opera di ineluttabili avvenimenti europei che trascinarono anche il nostro popolo verso la vita moderna.

    La reazione austriaca ha educato le generazioni che non potevano vincere nel '48 L'Austria di Giuseppe II e i re borbonici avevano avuto virtù di educatori: avevano preparato l'esercito napoleonico, un'aristocrazia militare, specialmente meridionale che l'Italia non aveva più visto da secoli. Ma la parte migliore di questo esercito trovò la morte in campo o ritornò come straniera sotto la Restaurazione. Il tono della cultura italiana che nel '700 aveva un valore europeo fu rovinato dal disordine degli anni napoleonici: il romanticismo del '21, reazione cristiana a Napoleone, era in arretrato rispetto all'illuminismo lombardo dal secolo precedente, fu un prodotto delle avventure 1780-1810. Anni in cui non si studia, non si lavora, si vive di imprevisti e di rètorica. E' questa la generazione dei padri degli eroi del Risorgimento. Una generazione che cominciò sovversiva e finì reazionaria; che fece le sue prime prove in piazza, con demagogia e leggerezza, che in Napoleone apprezzò sopratutto le qualità del Capo di tutti gli arrivismi e di tutti gli spostati. Sotto l'Austria questi sindacalisti rivoluzionari trovarono la consolazione di un impiego stabile, adatto ai loro quarant'anni, e si convinsero lentamente, con l'aiuto del bastone croato, ad abbandonare i costumi del parvenu per l'ideale dal servitore leale.





    Sotto questa descrizione può essere compresa la maggioranza delle classi medie italiane dopo il 1815, gente saggia, che aveva messo testa a partito e non era più disposta ad ascoltare i richiami dei romantici, delle teste calde come Santorre, Ciro Menotti, Mazzini. Così gli idealisti dovettero cercare le vie dell'esilio, vissero da disperati, alla giornata, afflitti dalla miseria e dai sospetti, tagliati fuori dalla vita civile. Spiriti naturalmente destinati a essere classe dirigente crebbero nell'aria false delle congiure, dei progetti nebulosi, lavorando per una patria che non conoscevano, che non potevano studiare realisticamente, di cui si facevano una idealizzazione tanto necessaria quanto imprecisa e pericolosa. Ne risultarono dei poligrafi pieni di entusiasmo: ma tendenziosi nella scienza, inesperti nella politica pratica.

    Chi rimase in Italia mandò i suoi figli alla scuola della Restaurazione. Per ragionare su esempi concreti prendiamo il caso di Giuseppe Augusto Cesana, uno dei fondatori del Pasquino, del Fanfulla e di dieci altri giornali del Risorgimento, il quale nelle Memorie di un giornalista ci ha lasciato un ritratto senza miti delle cose d'Italia dal '21 al '71.

    Figlio di un moderato, moderato di istinto. Virtù fondamentale in lui: il buon senso. Sotto l'Austria disposto a sopportare il giogo, ma addestrato dall'abitudine ad usare astuzie per eludere persecuzioni nel caso di qualche scappatella. Un patriottismo che arriva sino a tentare la lettura delle edizioni di Capolago se la cosa si può far franca. Era logico, per le premesse che si son dette, che i milanesi preferissero sembrare spiritosi piuttosto che eroi e che l'idea di canzonare croati e tedeschi fosse più tentatrice di una congiura. Delle scuole austriache Cesana ci conferma l'idea divulgata da tutti i manuali scolastici. La scienza era in decadenza: dove avrebbe potuto l'Austria trovare dei professori seri? Anche il Piemonte non trova insegnanti prima del '40. E Francesco 1° aveva esposto ai professori di Pavia il suo programma: "Signori, io non desidero che mi facciate dei dotti, desidero che mi facciate dei buoni sudditi". La cosa più interessante nella scuola del '21 erano gli scherzi tra studenti o contro i professori. Ecco, in modo assai generico, una forma di resistenza all'Austria. Resistenza inerte che s'accontentava di sfruttare gli eventi:





    "Il banco della lode - narra Cesana - era verniciato di verde, filettato di bianco e di rosso, colori nazionali, mentre il banco dell'asino era verniciato di nero, filettalo di giallo, colori dell'Austria, che già da parecchi anni aveva riacquistato il dominio della Lombardia. Evidentemente quei colori erano un avanzo dimenticato del regno napoleonico; ma l'uso al quale continuavano a servire non costituiva meno una satira atroce per i nuovi padroni".

    Ma ogni pensiero di avvenire languiva: la scuola indirizzava agli impieghi, che l'Austria concedeva con una certa larghezza. Anche nell'impiegato lo spirito della caricatura si conservava, ma non era altro che una specie di resistenza passiva alla routine.

    "C'erano bensì dei partiti a Milano in lotta fra loro; ma i princìpi che li tenevano divisi erano le gole dei cantanti e le gambe delle ballerine". Il regime paterno funzionava a dovere, con la bandiera: tutti apolitici. Le plebi rurali costituivano la base del regime; i mendicanti di città ne approfittavano; le classi medie urbane erano una minoranza condannata ad adattarsi finché non potesse contare politicamente di più.

    E' chiaro che in queste condizioni non si può parlare di educazione politica. Cesana uscì dalla scuola col temperamento di un osservatore mediocre e incolto, come Pellico era uscito dal carcere stroncato. In queste generazioni, che nel '48 superarono se stesse, la capacità di reazione fu minima: l'Austria aveva umiliata la loro dignità, limitato i loro cervelli.

    Portate ora Cesana in esilio a Torino. Fu miracolo se gli riuscì di trovarsi in esilio come in casa sua. Ma, in giornalismo, nessuna cultura economica, nessuna conoscenza dei problemi europei. Si doveva aiutare con la fantasia e con le barzellette. Si ebbe un giornalismo politico in tono di letteratura amena. Il Fischietto e Il Pasquino furono il modello del genere: un giornalismo di idee e di lotta politica non poteva sorgere; Cavour, Ferrara, De Sanctis tra i giornalisti si trovarono isolati. Invece che in battaglie l'opinione pubblica era impegnata in scaramucce. Il '49 è in parte il frutto dell'immaturità della critica in un ambiente sospettoso, in cui i partiti vengono a ridursi a sette, e la paura di spionaggi e di tradimenti è la prova di dubbi interiori non ancora elaborati.





    Di questa incultura politica degli uomini che nel '48 avevano 20, 30, 40 anni sono responsabili la dittatura e i governi paterni. Fabbricarono un'atmosfera a cui gli spiriti indomiti dovettero reagire con le fucilate: reagire con la critica, con la dignità della chiarezza politica nessuno avrebbe potuto. Meno degli altri gli italiani che avevano conosciuto da troppi secoli costrizioni e umiliazioni.

    Con questo noviziato di servitù i moderati lombardi (e gli altri italiani con loro) si trovarono nel regno d'Italia come provinciali non perfettamente convinti né consci di ciò che era successo. Il terreno non era preparato per le riforme: nessuno osava pensare ai grandi problemi dell'unità non ancora compiuta. Il progetto Minghetti sulle regioni, per esempio, fu battuto dall'indifferenza e dall'incultura di uomini che avevano bisogno di esser lasciati tranquillamente a ricordare la passata schiavitù. La neutralità dei Romani nel '70 - che non seppero offrire, nemmeno con una dimostrazione contro le guardie del papa, un pretesto all'occupazione italiana, - si spiega anch'essa con l'ignoranza e con l'esercizio della schiavitù.

    La Destra fotografò questa debolezza: dieci uomini di genio capaci di guidare una rivoluzione come di amministrare lo Stato, gli altri, uomini mediocri, moderati per quietismo, amanti dell'ordine per stanchezza di ricordi giovanili troppo tristi.

    Dopo il '70 questa classe politica rassegnò quasi spontaneamente le sue dimissioni. Aveva bisogno di allargare le sue visioni, di liberarsi del ricordo degli austriacanti, di viaggiare. Cesana, che era tra i giornalisti più aperti, andò a vedere le Piramidi d'Egitto. Le descrive in uno degli ultimi capitoli delle sue memorie. La cultura di quegli spiriti non poteva essere che dilettantismo, passatempo.

    Ma le colpe spirituali dei cospiratori e degli esuli risalgono ai loro persecutori.

p. g.