RISORGIMENTOPORTALa vita di Carlo Porta è la vita comune di un qualunque impiegato: educato dal PP. Gesuiti fino ai 16 anni; a 18 anni intraprende la carriera degli uffici e non l'abbandona che a 46, allorché muore di podagra e di gotta il 6 gennaio 1821, fra il compianto dei milanesi, che in lui vedevano il loro maggior poeta vernacolo e l'uomo dei tempi nuovi. Carlo Porta seguiva la tradizione di quegli oscuri trovatori che il popolo chiamava bosini, la importanza storica dei quali non ancora è stata valutata; e come essi cercava di instillare sentimenti di libertà nell'animo dei cittadini malcontenti dei gioghi stranieri, col rampognare le vergogne e i vizii dei tiranni, o col deridere la vuota alterigia della frolla aristocrazia, e la mondanità di un clero dimentico del suo apostolato divino. La figura di Giovannin Bongee è tipica nella storia della letteratura italiana: essa rappresenta l'uomo del popolo, verboso e spaccamonti nel suo legittimo risentimento contro chi l'umilia e lo bastona, ma pur sempre, per amore della sua reputazione e pel rispetto de' suoi morti, rassegnato e minchione. La sua comparsa fu una affermazione d'arte e come tale fu salutata dal migliori scrittori allora viventi; è la rivelazione d'un simbolo, e come tale fu amato dal popolo che in Giovannin Bongee vedeva come in uno specchio le virtù e i difetti della sua anima. Certamente grande fu la sua importanza politica, e non è azzardato supporre che i sentimenti di Giovannin abbiano diretta la mano di qualcuno di quei Carbonari che costituirono il tribunale segreto della Teppa, o di quel popolano che il 20 aprile 1814 con una tremenda martellata fracassò il cranio del ministro Prina, rappresentante di quei francesi tanto odiati, perché esosi, arroganti e tiranni: giacché nessuno può dire in che modo e con quali mezzi si manifestano il pensiero e il sentimento che l'anima di un poeta ha donati al popolo. Per certi suoi sonetti inneggianti alla Restaurazione, il Porta fu ritenuto un austriacante e come tale denunciato nel 1802 dai Francesi, in considerazione pure dei servizi prestati per alcuni mesi a Venezia nel 1798 quale impiegato del Governo austriaco. La denuncia non ebbe seguito. Oggi, a distanza di un secolo, io credo che si possa affermare che tale accusa era infondata giacché, se si cerca un atto che dica tutto il sentimento politico del nostro Poeta questo va trovato nella petizione che assieme a molti altri uomini insigni diresse al Governo Napoleonico per ottenere un Consiglio Nazionale, non francese, cioè, e non austriaco, ma espressione delle forze e delle volontà italiane; per cui veniva ad acquistare il diritto di essere annoverato fra i primi propagatori del riscatto nazionale. Anzi, se trascurando per un poco le sue manifestazioni politiche esteriori ci sforziamo di entrare nell'intimo del suo pensiero, osserveremo la buona battaglia di un mirabile artista, intesa a distruggere le cristallizzazioni di una casta reazionaria e retriva, e le balordaggini della aristocrazia, già colpite a morte dalla satira potente dell'abate Parini; per contrapporre ad esse i valori del lavoro e dell'ingegno. Porta ebbe l'incarico di rendere ridicole e perciò inutili certe istituzioni ritenute invulnerabili e sacre e fu per questo un grande rivoluzionario e un sublime muratore, in senso massonico. Ora, come sarebbe stata possibile la conciliazione di due realtà e qualità così opposte: voglio dire il suo sentimento profondamente e sinceramente massonico, colla difesa di quell'Austria che era il simbolo e la roccaforte di quelle istituzioni da lui magistralmente combattute? Io penso che se austriacantismo vi fu, esso fu l'espressione del desiderio di tregua e di riposo sentito da tutto il popolo milanese, sazio degli insulti e delle dilapidazioni francesi, e fu come l'eco della parola: Pace! colla quale Suwarow nel 1799 entrò bene accolto in Milano. L'ultima grande battaglia della sua vita fu quella letteraria ingaggiata contro i Classicisti che scrivevano nella Biblioteca Italiana ed ebbe per amici di lotta Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Niccolò Tommaseo, Giovanni Berchet, Silvio Pellico, Cesare Cantù che collegati intorno al Conciliatore intrapresero a combattere l'accademismo intellettualista, che nelle lettere aveva ormai la stessa importanza e lo stesso valore dell'aristocrazia nella vita. Il Porta proseguiva così la sua lotta di liberazione, tendente a procurare la libertà politica al cittadino, la dignità morale all'uomo e la libertà formale e d'ispirazione all'artista. Le sue satire resero ridicolo il vuoto mitologismo classicista, che in breve volger di tempo restò un mucchio di macerie inutili: di fronte agl'impeccabili ma freddi componimenti neoclassici sorsero i capolavori del verismo portiano, i Canti leopardiani, i Promessi Sposi, tutti pieni di profonda umanità e di acuta psicologia. L'uomo cominciava una nuova vita: infrante le leggi esterne, e ripudiata la verità oggettiva estrinseca doveva giorno per giorno crearsi la sua legge e discoprire la sua certezza: doveva riacquistare in profondità ciò che aveva perduto in estensione. Un impulso nuovo veniva ad essere impresso alla vita: l'impulso alla individualizzazione, pel quale l'uomo doveva spostare l'asse della sua conoscenza e della sua esperienza dall'esterno all'interno, e pel quale l'uomo veniva chiamato a collaborare al suo destino col pieno sentimento della sua personale responsabilità. Si ripeteva sotto un altro aspetto e in diverso modo la lotta sostenuta dalla Riforma tendente a rivendicare i dati della personale esperienza religiosa contro i dogmi apostolici, il libero esame contro i formalismi: il motivo letterario romantico investiva ampi orizzonti spirituali, assumeva le forme e gli intenti d'un movimento profondamente sociale e politico: e fu per ciò che nel 1820 la polizia austriaca soppresse il Conciliatore, perché fiutò in esso un centro di preparazione unitaria rivoluzionaria. Riprendendo quindi quanto ho più sopra detto, ecco una ragione di più per escludere del tutto l'austriacantismo del Porta: il quale, viceversa, fu un precursore della indipendenza ed uno di quei seminatori che in ogni epoca hanno il mandato di gettare i germi di nuove idealità, ed aprire lo sguardo a nuovi e più chiari orizzonti. Frutti del suo lavoro furono la messe di martiri italiani, e la permeazione di tutta un'epoca di pensiero e d'arte. ARMANDO CAVALLI
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