Vita meridionale

Meridionalismo problema di fede

    Verrà giorno, non v'ha dubbio, in cui il meridionale avrà dignità di sé stesso, e stima pel Mezzogiorno, maggiori di quelle che oggi siano. L'accenno all'insufficienza odierna sia avuto per non offensivo, ché ciò nota, in buona fede, un meridionale che la tragedia spirituale del Mezzogiorno si sforza di capire, sentendone il travaglio volto a meta di infinita bellezza; un meridionale che sinora non é stato sedotto da altri interessamenti, e, voglia il Cielo, così sia anche per i giorni da venire. La sicurezza del futuro progresso morale della nostre genti, poi, riposa nell'avvertire sfumature di una nuova tendenza storica che si fa strada, sia pur faticosamente, e per cui si accenna a voler meglio porre (per quanto dipende da azioni umane), perché siamo quel che siamo, e che se, nella realtà in qualche cosa al Mezzogiorno è consentito progredire, la forza interiore può venirgli soltanto da un appoggiarsi su valori sentimentali suoi, meridionali, domestici.

    Cosicché, quando il nostro autoctono vivrà tutta la "poesia" del Sud e ne godrà il delirio, "cafone" e "campanile" acquisteranno nuovi, non ispregevoli significati traslati, e le venienti generazioni di giovani faran di quel vocabolo, e di questo, attributi alla nobiltà di pensiero, ed espressione delle sane "preferenze" estetiche, dei benemeriti della causa meridionale.

    Nell'attesa che un tanto fatto sia, illustre e venerando sen. Fortunato, operoso ed intelligente professor Azimonti, permettete che un giovane che dalla vostra opera si ingegna di trar tesoro, vi chiami "cafoni", anticipando auguralmente.

    Di questo titolo non ve ne avrete a male: mi rassicura l'elevatezza del vostro intendere. Vogliate essergli indulgenti, però, se con questo o in seguito possa parervi che egli si faccia troppo ardito, o pigli troppo confidenza.





    Per i terzi, e solo per essi, dirò della ragione di questo avvicinamento ideale. Ciò è perché ambedue pervenite ad uno stesso nobilissimo atteggiamento spirituale - che sul terreno concreto, per grande conoscenza di cose e di eventi, è di realismo triste ma dignitoso - pur essendo originari dei due ambienti più tipicamente opposti, ma ugualmente belli, della vita nazionale: quello di terra di Basilicata, ove il bifolco solo con sforzi impensati strappa alla terra qualche grano in più del prezioso frumento, e quello lombardo, così fervido di vita moderna.

    (Il psicologo, a questo punto, dovrebbe meditare, meglio ancora, far la filosofia di questo fatto, che non tollera smentite, perché ha per sé le constatazioni della pratica: che le anime bennate ne acquistano in virilità di pensiero, e sono spinte al meglio, sol che "vivano" il disagio del Mezzogiorno. Di questo concreto fatto, insomma: di una Basilicata, insuperatamente disgraziata, ma feconda delle più belle intelligenze meridionaliste, ed educatrice "a egregie cose", di quanti le si accostano con animo puro, cioè solo desiderosi di vero).

    Perciò le vostre due figure, nell'atto in cui si avvertono compenetrate degli stessi sentimenti, molto favoriscono come una sensazione che l'intuizione dei nostri casi è aperta a quanti hanno cuore, ed è problema di generosità, indi di fede; come un avvertimento che se gli interessi economici regionali, sempre che permangano differenziati, hanno ed avranno specifiche logiche inderogabili, non per questo può porsi la posta del fatto politico unitario, perché tra Nord e Sud, oltre le divergenze di interessi, non vi è - grazie a Dio - quelle insanabile dissidio mentale, che la scuola, prima, enunciò, e cui certe amarezze, poi, inducono a premettere (per bisogno di spiegazione), nei momenti delle risorgenti dubbiezze su quel che noi meridionali siamo, e su quel che siamo chiamati a rappresentare.

    Facendo la critica - in Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano - del suo pensiero di un trentennio, Giustino Fortunato si prospettava questo dubbio angoscioso: "Ne è almeno cosciente (della terribile efficienza della questione meridionale) la borghesia intellettuale del Mezzogiorno, che dice e sbraita, ma un giorno più dell'altro agisce non conforme ad essa, anzi in aspra ed aperta sua opposizione?".





    Quando la gioventù intellettuale del Mezzogiorno, detta tale solo perché è ancora o fu universitaria, tra un "puzzle" e l'altro; quando, insomma, la nostra gioventù sedicente migliore, nelle nevrasteniche evoluzioni meridionaliste (anch'esse di moda), sé crede cangiata d'un tratto (per assoluta ignoranza in materia) in infallibile diagnostica, ed amenamente sentenzia, oh! allora viene l'amaro accorgimento che i veri antimeridionali sono i nostri giovani "intellettuali"; che essi, per primi, hanno da essere richiamati al senso morale, alla realtà del problema.

    La questione preliminare, perciò, è far di costoro una generazione dignitosa, di gente che ha fede, di gente che crede, che dovrà poi infondere dignità, credenza e fede alle povere nostre moltitudini, che per noi meridionali possono essere anche plebi (perché solo noi sappiamo che cosa significhi: plebi meridionali), ma che per i profittatori delle nostre sventure, sempre pronti alla stupida denigrazione, pretendiamo che siano quel che interiormente sono: correnti di buon senso e di sentimenti robusti.

    Messo così il problema, esso si piglia tutte le nostre vedute prospettive. Ciò sia detto per i "politici" del meridionalismo.

    E credo sia atto di coerenza mentale, il non rammaricarmi - come mostra di fare, invece, un mio colto amico, che pur vive con me lo stesso "stato d'animo" - che il Mezzogiorno non abbia registrato conati sovversivi. Egli vi è tratto, ben capisco, da una visione rivoluzionaria dal problema meridionale, ed è logico nel suo ordine di idee. Io penso, al contrario, che è più bello, elegante ed anche fruttuoso, andar a cercare il bifolco di Basilicata, insidiato della malaria e dai patimenti, e "aprirgli gli occhi alla luce", renderlo credente, chè sinora ha veduto e vede in penombra: nella triste penombra dello spirito.

    Perché non esaltare, piuttosto, questa gioventù vergine di esperienze, e con essa, sentimentalmente, pensar di vivere e lavorare, nell'aspettazione del meglio?

GIUSEPPE DELLA CORTE