RisorgimentoLa politica di CuocoLe Idee-madri della sua filosofia.Il Cuoco aveva ereditato dal Vico il concetto che le azioni umane sono dirette da un'Idea e tendono ad un Fine. Poco o nulla è dovuto al Caso, ma ogni cosa invece è preordinata, ed è l'espressione di una Legge. Codesta Legge a sua volta non è unica, ma fa parte d'un più vasto e complesso organismo; di ciò che il Cuoco e il Vico chiamano la Provvidenza. Per il fatto stesso che la Provvidenza viene identificata coll'Essere manifestato (la Natura), la ricerca delle sue Leggi viene ad assumere l'importanza d'un atto religioso e gli scopi d'una formulazione teologica. La morale viene di conseguenza innalzata al livello della religione, e la scienza a quello della teologia; e in questo sistema di religione naturale sola base di conoscenza è l'uomo che viene deificato. Tutta l'attività umana viene pertanto storicizzata in grazia a codesta panteistica concezione; la quale, nell'istesso tempo che divinizza l'uomo, lo naturalizza: lo inserisce cioè nella Natura organica e vegetale insieme alla quale viene dipoi studiato. La sola difficoltà che si presenta sta nell'estrazione delle Idee universali ed eterne dal caos delle azioni particolari e caduche; - non bisogna tuttavia disperare (afferma il Cuoco) perocché l'umano raziocinio può ogni giorno più valersi delle proprie scoperte. La scienza è di sicuro ausilio in tale ricerca; bisogna ad essa fare fiduciosamente appello. Il platonico e vichiano Cuoco s'appalesa pertanto un uomo del suo secolo: un enciclopedico sperimentale ed un illuminista; un ottimista cioè che brucia il suo incenso davanti agli altari della Scienza e del Progresso; nei quali impersona la Religione e la Provvidenza. È lecito vedere in questa conseguenza il travasamento dell'idealismo platonico - vichiano nel determinismo; - tanto più che può, in parte, spiegare l'atteggiamento diffidente della Chiesa verso di esso, nel quale giustamente vedeva rinato il condannato panteismo. Fissati i caratteri fondamentali della concezione filosofica del Cuoco, passiamo all'esame delle sue idee particolari. Il Cuoco "pedagogo degl'Italiani".Benché ottimista il Cuoco non si faceva illusioni sulla capacità storica del popolo, specialmente di quello italiano che conosceva bene ed a proposito del quale faceva dire al suo Machiavelli: "Ho tentato di parlare anche ai popoli, ma mi sono avveduto che avrei loro parlato invano. I popoli si muovono ed operano per la loro virtù, i principi per il loro potere! Tu conosci i popoli tra i quali viviamo. Io non patea dir loro: - Fate uso della vostra virtù; - essi più non ne aveano. Ho detto ai principi: - Sappiate far uso del vostro potere; - e questo secondo precetto o presto o tardi produce lo stesso effetto del primo, perché è tanta l'efficacia della virtù che, anche simulata, vale a ricomporre gli animi e gli ordini delle nazioni; ed il saggio uso del potere (poiché altro non è la virtù de' principi) produce ne' loro successori l'abito alle nobili azioni e ne' loro sudditi il desiderio di emularle". La virtù di cui parla è la virtù romana, e viene identificata col potere del principe. Sembra a tutta prima che in queste due cose vi sia contraddizione, che tra l'autocoscienza del cittadino dovuta all'uso della virtù, e l'emulazione del suddito delle virtù eroiche, non possa esservi conciliazione. Ma il dissidio è tutto esteriore. Perché per il Cuoco il solo valore che conti è quello della virtù; - della virtù quale categoria ideale, e quale pratica di vita eroica. Egli è un aristocratico e vorrebbe che "i Fabi, i Camilli ed i Marcelli" servissero da modelli; che fossero i maestri di vita della generazione in cui vive. In tal modo si compie la sua evoluzione da filosofo della storia a pedagogo, e in tale nuova sfera d'attività va posta la sua opera d'educatore. Opera che non s'è svolta soltanto negli schemi, nei programmi e nelle relazioni scolastiche; ma nelle sue opere di storia e ne' suoi articoli giornalistici. Non soltanto un Pantheon di uomini illustri ricordati ad edificazione del volgo doveva essere la storia secondo l'idealista ed aristocratico Cuoco; doveva altresì essere un esercizio di pratica ascetica; non tanto per il confronto che veniva ad instituirsi tra la presente miseria e l'antico splendore, quanto per la necessità di studiare i fatti umani col dovuto scrupolo e rigore, allo scopo di ricavare da essi l'Idea che li anima, il loro perché, e la Legge nella quale debbono essere inseriti. Era ne più ne meno un invito a ritornare alla realtà, per studiarla con metodi sperimentali e positivi. In tal modo si spiega la sua attività di enciclopedico e di illuminista. Nell'identificazione del potere colla virtù si vedano giustificati i suoi atteggiamenti politici di repubblicano, di bonapartista, e di impiegato borbonico: per scrupolo di poca fedeltà impazzito. Il Cuoco politico realista.Poiché nella realtà sono inserite le Idee, e poiché il solo dovere dell'uomo è quello di scoprirle e di uniformarvisi, ne consegue che il vero valore è l'Essere e la vera Scienza è la Conoscenza. Meglio ancora: la sola realtà possibile è la realtà empirica: oggetto comune tanto delle nostre ricerche scientifiche che delle nostre costituzioni politiche; le quali, studiate nella loro intima struttura, non altri valori costanti (cioè Idee) ci presentano che la famiglia, il municipio, la nazione. Questi valori sono a loro volta fondati sopra altri valori, di cui i principali sono la proprietà e la milizia: vale a dire l'oggetto della forza personale e famigliare e l'oggetto della forza collettiva. Ridotti a tali categorie gli umani valori, è logico che il Cuoco metta nella prima categoria i vantaggi derivanti da un'industria e da una professione; ed agli ex-militari soltanto ed ai proprietari conceda il diritto di voto nel suo contro-progetto di costituzione. Tale fatto sembra a noi che discenda altrettanto che dal suo sistema politico realista, dalla sua concezione aristocratica ed eroica della vita. Da questa fatto ci sembra inoltre risulti chiara l'importanza che il Cuoco dava all'istruzione, che doveva non tanto spaccare in resultati utilitaristici personali e collettivi, quanto doveva fornire a chi se la procurava la forza necessaria per presentarsi e vincere nel campo di battaglia della vita. Almeno in parte ciò spieghi perché il Cuoco non voleva concedere il voto agli analfabeti. La spiegazione completa di tale negazione va però cercata nella circostanza che dovendo il Governo aristotelicamente esser diretto dagli ottimi fra i cittadini, gli "oziosi lazzaroni napolitani e gli spurci sanniti" non potevano esservi ammessi; altrettanto che non lo potevano i giovani di età non superiore ai trenta anni, attesa la loro scarsa esperienza ed il loro deficiente spirito di conservazione. Poiché non bisogna dimenticare che al pari dei riformisti di tutti i tempi, il "togato e classico Cuoco" era un autentico conservatore; egli che in polemica col "francese" Pagano teneva la necessità di ridar vita alle nostre tradizionali costituzioni municipali; che audacemente faceva risalire ai greci antichi ed ai romani, e che voleva coordinate dal governo moderatore d'un re ereditario col Mably pensando "che la monarchia temperata (leggi: costituzionale) è meno di quel che si pensa nemica degli ordini liberi". In questi brevi cenni sintetici sono, secondo noi, rilevate le principali linee del sistema politico del Cuoco. Al qual proposito non è fuor di luogo rammentare che ha marcate somiglianze col sistema politico degli antichi romani; ai quali il C. si compiacque d'allacciarsi, in dispregio ai filosofici ostacoli del Tempo e dello Spazio, e in ossequio al vichiano e suo desiderio di ridurre la storia dell'umanità a storia dell'Uomo. Dalla lanterna di Diogene
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