Lettere dalla Puglia

L'Agro Tarentino

    "Il male comincia quando il Governo, invece d'incoraggiare l'azione degl'individui e dei corpi collettivi, sostituisce la sua propria alla loro attività: quando invece d'istruirli, di consigliarli, e all'occorrenza di denunziarli davanti ai Tribunali, li lascia in pace, ne inceppa la libertà, o fa per essi i loro affari. La virtù dello Stato, a lungo andare, è la virtù degl'individui che lo compongono; e lo Stato che pospone lo viluppo intellettuale degl'individui alla vana apparenza di una maggiore regolarità nella pratica minuta degli affari, lo Stato che rimpicciolisce il popolo per farne un docile strumento dei suoi progetti, anche se generoso finirà ben presto per accorgersi che grandi cose non si possono fare con piccoli uomini, e che il meccanismo, alla cui perfezione ha tutto sacrificato, non gli servirà più a nulla, per mancanza di quello spirito vitale che avrà voluto sconsigliatamente distruggere per agevolare i movimenti.

STUART MILL.

    Caro Gobetti,

    Se guardi una carta topografica della Puglia estrema, noti subito che, su tutta la lunghissima spiaggia, una volta popolata, ricca e felice, di più di 500 chilometri, solo quattro città: Taranto, Gallipoli, Otranto e Brindisi, son rimaste sul mare e che, tranne nel breve tratto in rilievo da Leuca ad Otranto, gli altri centri abitati sono stati ricacciati tutti nell'interno dalla malaria e dalle incursioni arabo-turche-barbaresche, a una diecina di chilometri dal mare. Questa fascia, di 70.000 chilometri quadrati, all'alto della formazione del Regno unitario, è di poco diminuita. Particolarmente insalubri la zona brindisina, la lunga striscia di S. Cataldo, presso Lecce, la zona di Arnico, che da sola misura 32 chilometri fra Avetrana e Nardó, la zona di Trisano, a sud-est di Taranto e, dall'altra parte dell'arco del golfo, l'agro fra Taranto e Metaponto. Di dette zone ho notizie più o meno complete: tutte erano una volta, come dicevo, popolatissime, e le carte medioevali citano numerosi casali: quella più autorevole, più desolata, che ho potuto percorrere, è l'ultima.





Sulla Taranto-Metaponto.

    Per questo tratto che misura una quarantina di chilometri di lunghezza per una ventina di profondità, esiste il progetto di una camionabile Taranto-Metaponto, che per ora è progetto; per accedere poi dal mare all'intorno, le carte segnano poche strade come non sempre praticabili, cioè proprio impraticabili. Non resta che la ferrovia, che ti può deporre alla staziona di Ginosa o di Metaponto, sole nella campagna deserta. Di notte, per poter giungere all'alba, gettato nel treno vuoto, vedevo trasvolare nell'ombra macchie scure, ulivi, pinastri, perastri; sentivo rombare i carrozzoni sui ponti di fiumiciattoli spregevoli ma temibili e malfidi, la gravina Gennarini, il Patinisro, il Lenna, il Lato, il Galaso, prima del Bradano, tutte fonti della nostra sventura; pensavo, cercavo di ripensare, nella inevitabile stanchezza, all'opera recente del governo nei riguardi del nostro paese, ad alcuni casi significativi di politica spicciola; qualche sprazzo di mare lustrante alla luna, la coreografia dei lumi notturni da Taranto, le profondità dell'azzurro già sbiancato mi attiravano di tratto in tratto, mi scuotevano con un brivido.

Propositi.

    Il governo dunque, in mancanza di meglio, pare voglia muovere alla conquista del Mezzogiorno: abituato com'è a vincere tutte le battaglie, ha già vinto anche questa, e tutto va nel miglior modo. E noi stiamo un pò come i Lombardi di manzoniana memoria, dinanzi all'invasione dei Franchi:

    un nuovo padrone si aggiunge all'antico.





    Certo l'impegno è forte. Si fa un gran parlare di redenzione di questa schiavi ostinati; si parla soprattutto di bonifica. Per la prima volta il concetto della bonifica integrale appare nel Testo Unico, 30 dicembre 1923, e nel Regio Decreto, 18 maggio 1924. S. E. Giuriati promette un ciclo di propaganda, fa splendide dichiarazioni al Senato; avremo i provveditorati regionali per le opere, per quanto il relatore Sarrocchi non ne sia entusiasta. Nel frattempo un comunicato ufficiale ci assicura che il governo non rinunzia al suo tendenzialismo liberistico (e noi sappiamo per prova dove sboccano questi tendenzialismi, e che, per la nostra borsa, pel nostro bisogno di pane, ha temperato o tolte addirittura le asprezze tributarie su... la carne congelata, i pesci preparati, il salmone, il lardo, lo strutto. Intanto la relazione Sinibaldi svela che si sono sospesi gli antichi stanziamenti per le case coloniche e le bonifiche agrarie, e i grafici De Stefani indicano che son diminuiti gli stanziamenti pei lavori pubblici del Mezzogiorno. Ecco un ministro che, quando parla di noi, non si può accusare di insincerità: ogni volta che gli altri dicono opere pubbliche per quaggiù, lui risponde con lo scoglio della situazione finanziaria, talché un gran fascista del Barese, dopo aver recentemente esaltata l'opera del Governo in ogni campo, ci fa sapere che "tuttavia la pressatina fiscale è divenuta enorme". Se lo dice lui! Ma c'è anche che le tariffe ferroviarie dei concimi chimici sono inasprite, come dimostra l'altro fascista-massone barese sen. De Tullio, sì che da un vantaggio di L. 58,81 a tonnellata i nostri subiscono uno svantaggio di L. 8,96, e il Ministero, che studia, si trova sempre dinanzi quel benedetto scoglio di sopra. Altro ancora ci viene rivelando il Serpieri; il monopolio dei fertilizzanti nel Mezzogiorno, la prevalenza degli industriali nel Consiglio Superiore del Ministero dell'Economia Nazionale e la proroga richiesta da quelli della facoltà pel Governo di porre il dazio sull'ammoniaca sintetica. Né pare che vadano diversamente le cose anche nel Comitato Interministeriale per le Trasformazioni Agrarie di Pubblico Interesse, e non si capirebbe come potrebbero andare diversamente: di 16 membri, uno solo era del Mezzogiorno e si è dimesso. Insomma, per cominciare a far pel Sud, si continua nel Nord: a Milano c'é un Congresso in cui si fonda la Federazione Nazionale per la Irrigazione, la quale non manca di fare dei voti; alle bonifiche settentrionali si annunzia una prossima visita, per loro ammaestramento, dei fiduciari politici pel Mezzogiorno e le Isole del P. N. F.; e a Roma nasce un Comitato Promotore dei Consorzi da Bonifica nell'Italia Meridionale ed Insulare, dimostratasi subito instancabile appunto nel promuovere... ordini del giorno. Anche ciò serve a dimostrare, come se ce ne fosse bisogno, che insomma la micragna, come si dice, non è mutata, anzi il soprallodato decreto rigira amabilmente la quistione fondamentale del finanziamento delle bonifiche sugli Istituti di Credito Fondiario, che al solito non ne faranno nulla, perché, come sai, non ne possono far nulla. Tanto più ferocemente grida il decreto le sue minacce rivoluzionarie di espropriazione dei proprietari assenteisti; e certo, se questo ben di Dio pioveva anni fa, tra il '19 e il '21, che bazza pei nostri nullatenenti! Ma oggi? Dice sul serio? Lo Stato accentua sul serio i primi tentativi di anni fa per limitare la proprietà privata in nome di un diritto superiore? O è una finta, per spronare con la minaccia di peggio i nostri agricoltori, come sento dire? E... chi potrà berla? Un numero sempre maggiore di proprietari di quaggiù comincia a protestare contro il protezionismo schiacciante dei concimi, degli aratri, delle macchine agricole, e contro il moltiplicarsi delle imposte sulla terra; unico segno confortevole che si comincia a comprendere. Ma il capitale del Nord si dichiara disposto a scendere quaggiù a redimerci, e ciò non mancherà finalmente di consolare qualche vecchio amico meridionalista, rimasto sempre in attesa della sospirata manna; soltanto... chiede, detto capitale, che gli si assicuri dal Governo un buon investimento; in parole povere che noi paghiamo ancora una volta per esso. E gl'incorreggibili brontoloni del Mezzogiorno si lamentano; ma saranno essi capaci di qualche sforzo finanziario? anche nei limiti consentiti dalle loro condizioni?





Fra i campi della morte.

    Son solo a scendere nella squallida landa di Ginosa; la solidarietà mattutina della campagna senza confini, presso la stazioncina, mi empie di sgomento; il mare è nascosto da un lieve rialzo cespuglioso; volgo la faccia da quella parte, al cielo bianco, interrogativamente, e, dinanzi all'immensità silenziosa, un senso di malessere mi prende subito. Gli uomini hanno paura di restar soli con se stessi, dinanzi all'infinito. Mi distrae il rombo di un motore e mi affretto a cercare dov'è, timido tentativo di rinascita su questo suolo di morte. Eppur qui fu già tanto tumulto di vita! I ricordi si affollano; anche il Pais pensa che le antiche condizioni di questo terreno erano differenti e certo non era infestato dalla malaria; Metaponto vanta nelle sue monete la fertilità delle sue messi ed un'aurea spiga di grano era da lei inviata in dono ogni anno ad Apollo Delfino. Segni di abitazioni antiche sono stata trovati qui dovunque: oltre a monete, avanzi di un acquedotto sotterraneo, di un bagno, pavimenti a mosaico. Anche al tempo di Pirro del Balzo, la più micidiale di queste paludi, la Stornara, era un luogo delizioso di pesca, di cui egli arginò con mura le acque che animavano gualcheria e mulino. Qualcosa dunque come la maledizione di Jehova (per quale colpa?) deve aver portato questa desolazione, questo squallore, e qui non vegeta che un po' di erbetta stentata, fra cui ora fruscia il vento fresco e che si avviva ai primi raggi, e non se ne eleva che qualche tamerice sfrondata, sfiancata, e qualche olmo batte nell'aria al suo tremito ininterrotto: la maledizione dell'odio umano, più terribile. Lontano, verso la Calabria e la Basilicata, i monti sono appena un'ombra azzurrognola, senza rilievo, come i nord la Murgia di Ginosa e Castellaneta si rileva appena. Ma che cosa sorge laggiù, verso bocca di Bradano, in lontananza? Sono gli avanzi delle bibliche città rovesciate dall'ira divina? Stoccano, dove fu Metaponto, i poderosi colonnati del cosiddetto "tempio di Pitagora", come un incubo.





    A sottrarmi al disagio, giunge finalmente con un calesse un giallo "gualanto", tutto imborsacchito e rigonfio come una vescica rancida. Dalla stazione si scende alle Ischie, fra coltivazioni di fave rigogliose, ormai difese dagli straripamenti del Bradano a mezzo di un argine, lungo 11 km., contratto 5 anni fa; ma già da un secolo il vecchio alveo del fiume, insufficientissimo, era stato rimosso più in giù, a quasi un km., ed ora l'antica linea si rileva di una doppia riga di tamerici, olmi e frassini; poi dalle Ischie, per una strada in costruzione, alla Mezzana, sommersa, grassa, cespugliosa. È la prima zona malarica. Ed ecco che la strada affronta insensibilmente una fila di collinette dunose distese per un km. parallelamente al mare, ma elevate di soli 16 m.; poi subito discende verso un nuovo lieve avvallamento il Lago di Anici, la seconda zona malarica, per risalire verso una seconda linea di sollevamenti, cui succede ancora una terza bassura o lama coi laghetti o marane; e così di seguito per una decina di km., sino a poca distanza dal paese, in questa alternativa. Son queste microscopiche elevazioni i famosi givoni che impediscono lo scolo delle acque piovane, creando le mortifera paludi di Stornara, Roccavetere, Lago D'Anici, Mezzana di Lagolungo ed altri minori, per una superficie di ha. 230,44; ma anche la pendenza generale del terreno, che va dal mare verso l'interno, è un grave impedimento al deflusso ed alle opere idrauliche. Sicché per risanare le Ischie, le cui acque con sistemi di canali in croce si versano nel Gàlaso, a questo, allargato e ripulito, non si è potuto dare che la pendenza dell'uno per mille; e anche alla Mezzana e al Lago di Anici si va così provvedendo ad un nuovo collettore che finisce nel Gàlaso, attraverso le stesse difficoltà. Oltre a ciò polle d'acqua sotterranee, inghiottitoi capaci, come dicono questi bovari, di far scomparire un bufalo, va sono in queste paludi, fenomeno comune a questa zona; come, dall'altra parte del Golfo, in quella di Arnèo, vi sono, oltre agli specchi d'acqua dolce detti "chidro" altre polle acquifere che prendono il nome di "uasi"; né mancano dovunque presso le masserie dei fontanini. Il terreno è prevalentemente argilloso; più a nord prevale il calcare, la sabbia, la ghiaia.





    Ci rechiamo più tardi a vedere, a piedi, la Stornara, così detta dai milioni di storni che vi calano di ottobre e, grave flagello, restano sino a febbraio a divorarvi le ulive, chiamata anche il Pantano senz'altro. È al maggior fomite da malaria. Allungata per due km. dalla masseria Tarantini a quella Miani ed aperta per un miglio, profonda non più di due metri, una volta, quando poteva, mandava al Bradano le sue acque attraverso lo stretto torrentello della Minasciola, ormai inservibile, e ora, se vi fossero pendenze naturali, se potessero eseguirsi le opere, dovrebbe versare le sue acque nel vicino Gàlaso. Perché qui ogni canale costrutto sinora in questa zona, ogni torrentello e scolo naturale, si restringe lentamente da sé fino a rinchiudersi del tutto; la terra non frana né smotta, ma è melma mobile tutta quanta, che si ridistende e si eguaglia presto, e sotto di essa non si riesce a trovare del solido. Ancora: il Gàlaso viene spesso ostruito dalla sabbia lanciata dallo scirocco, che qui è afoso quanto mai. Vero è che le viottole di campagna allietano la vista con macchie di lentisco sempre più scuro, con perastri sparsa qua e là dai fiori bianchi, e tamerici dovunque, nonché certi spini rossicci dai fioretti densissimi giallo acceso che dànno al tocco un profumo delicatissimo, e poi eucalipti frondosi, e ora olmi, ora pini e quasi dovunque frassini armoniosamente tondeggianti; ma avanzar troppo verso la Stornara non è possibile senza un paio di stivaloni di caucciù, quali davano a noi in guerra, d'inverno, nelle bassure goriziane. Giunchi, cannette ed altre piante acquatiche ingombrano tutto, a vista d'occhio; ogni momento si cade in un fossatello pieno d'acqua; si precipita e si guazza nei solchi scavati dai cinghiali, si sprofonda e ci si impiglia nel molliccio. Il Lago d'Anici, circa metà dell'altro, che si può abbracciare, avanzando verso Ginosa, in tutta la sua lunghezza, si presenta dall'alto come un'immensa spazzola di cannucce, dove s'annidano volpi e lontre. E vi si viene anche da lontano, per la caccia; quella degli storni la praticano anche, per bisogno, certi disperati del luogo.





Necessità naturali e disposizioni d'animo.

    Nessun contadino ho incontrato per queste piaghe, per tutta la zona, che è di oltre 10 kmq.; non si capisce cosa ci verrebbero a fare, visto che i pochi che vi dimorano non vivono più di 50 anni, come constatava la vecchia monografia del dott. Gaetano Glionna. D'altra parte, se l'emigrazione ha raggiunto nel 1909 il 23%, non da oggi i lavori rurali più notevoli, l'erpicatura e zappettatura e sarchiatura come la raccolta delle ulive, sono affidati al bracciantato girovago di paesi più poveri, come Laterza e fin anco Noci. Proprietari del vasto territorio sono appena 10 o 15 e fanno o non fanno quello che possono, con le poche braccia, con i pochi o molti capitali disponibili, ed abitano in paese e vanno anche essi con molta prudenza in campagna, quando è possibile, o vivono lontano di qui, paghi delle rendite.

    Si sa che le nostre condizioni climateriche, mancanza di piovosità, distribuzione dei massimi e minimi di pioggia, luminosità più intensa ma per un minor numero di ore, inasprimento improvviso del clima estivo e venti essiccati, con le conseguenti oscillazioni nel prodotto, richiedono maggiori mezzi per fronteggiare le perdite ed i rischi, ricreano incessantemente la grande proprietà. Il Rivera ha ultimamente nel suo volume sul "Problema agronomico nel Mezzogiorno d'Italia" ribadito e corroborato, contro ogni facile illusionismo, queste verità assiomatiche, e nello stesso spirito è scritto un ottimo fascicolo sull'Agricoltura Estensiva Meridionale che pubblica in questi giorni l'Italia Agricola. Ma le condizioni esteriori influenzano alla loro volta l'uomo medio, che di rado tenta di reagire all'ambiente, e subito ne subisce le tendenze, la mentalità, la psicologia, i bisogni: l'immobilismo, da fatto fisico, diventa stato di animo comune, che non è facile scuotere. Son questi gli agricoltori che dovrebbero ora promuovere le bonifiche, metter su capitali, creare anche nel Sud l'agricoltura industrializzata, occuparsi di cominciare a migliorare le culture arboree, di cercare le razze di cereali più adatte per il nostro clima, le culture industriali richieste dai mercati di oggi, quelle erbacee e granarie, mostrare un forte spirito d'iniziativa o almeno di assecondamento. Ma i nostri proprietari la sanno lunga. Consorzi di bonifica, dico meglio. Comitati promotori per le bonifiche, vale a dire non per agire, per bonificare, ma per promuovere un'azione che conduca poi alla bonifica, per smuovere se stessi; se ne sono messi su un po' dovunque in queste mezzo anno, uno per luogo generalmente, per lo più avvocati, nessun ingegnere idraulico né agronomo, bensì anche qualche giornalista, e c'è qualcuno sempre che li tira coi denti, nel Foggiano, nel Barese, a Taranto, a Manduria, qui a Castellaneta.Ginosa e finanche, chi lo crederebbe?, a Nardò. Ma la Cattedra Ambulante di Taranto, a proposito delle opere idrauliche già eseguite qui alle Ischie, alle Murane e altrove, crede sempre opportuno di ricordare a questi agricoltori che vi portino una buona volta la loro collaborazione e continuino l'opera "con tutta quella somma di capitali e d'iniziative che comprende la bonifica integrale ed agraria. Veramente essi si sono già mossi, non per le bonifiche però, ma per la grave, cagionevole preoccupazione che ho detto su, per la paura di essere espropriati. Sicuro, perché a Ginosa è l'Opera Nazionale dei Combattenti che esegue quelle opere, ed ha, come si sa, questo fantastico diritto di togliere la roba altrui. Oggi poi i maggiori fastidi li dà loro sempre il sopraddetto decreto Serpieri, che è ben altrimenti lato e insidioso contro la proprietà. E contro di esso non han promosso Comitati per giornali, ma si sono agitati sul serio, si sono affannati a protestare, a far protestare dai loro deputati, dai giornali; a proposito di esso son corsi a Roma a chiedere ansiosamente agli amici del Governo, al Governo, se proprio proprio voleva fare sul serio; per difesa contro di esso pare che siano sorti i Comitati promotori che dicevo, tanto per mostrare che trattandosi di promuovere parole, essi non son da meno del Governo. Quando si tratti di mettersi ad agire, ecco, sorge la disputa sulla priorità dell'uova o della gallina, dell'azione privata cioè o dell'azione governativa; e a Nardò saranno primi i proprietari a fare la bonifica culturale, come pretende la relazione Jovino, e il Governo a far quella idraulica, come vogliono gli agrari del luogo, modello di musulmanismo? Intanto il tempo passa, il tempo che guarisce tanti mali, fa crollare tante cose... Ovvero si rigira la quistione: per bonificare la zona di Avetrana si comincia, ab ovo, dalla costruzione della elettrica Taranto-Avetrana-Nardò-Gallipoli; ma naturalmente i proprietari non sanno di ferrovie, e stanno quieti. Allora il Comune di Avezzano, meglio, la sua Amministrazione, si riunisce e, animata da fascistico orrore del passato e conato rinnovamentistico, prende il 17-5-1925 la sua brava deliberazione e, constatato ancora una volta che non si riesce mai a mettere insieme gli agrari, si sostituisce loro senz'altro, per ottenere dal Governo i lavori di bonifica idraulica; né manca la relazione ad hoc degli ingegneri Gioia e Prudenzano di ripetere la stessa constatazione confortevole. Ma insomma, vuole eseguire anche il Comune le bonifiche agrarie, invece e per conto dei proprietari?





    Dicevo dunque che... i nostri signori, le nostre classi dominanti la sanno lunga. Hanno, pare, essi più degli altri o essi soli, il senso dell'eterno e del transeunte... sanno, per es., che bonificare sul serio vuol dire attrarre il contadino in mezzo alla grande proprietà, che dove questi arriva con la sua laboriosità e parsimonia miracolose, per poco che possa reggersi, la grande proprietà presto o tardi è intaccata, sparisce; sanno che elevare il contadino vuol dire metterlo in condizione di non subire più il secolare dominio, mantenuto con tanta fatica, con tanti sacrifici. Per questo, con questi criteri, cinquant'anni fa rispondevano al Governo che il paese non aveva bisogno di alcun maestro, per essere formato di agricoli. Per questo... hanno aderito entusiasticamente a tutti i Governi, a cominciare da quello repubblicano della rivoluzione del 1799... Da allora, quanti Governi son passati, quanti indirizzi mutati?... Ma il proprietario del Mezzogiorno resta, è la colonna basilare, che nulla può scuotere, dell'edificio sociale nostro, è il nostro dio Termine, il nostro tabù. Intuiscono forse anche che tutto quello che oggi si dice e si scrive e ti fa, tutto l'anfanare recente non è molto serio o, ciò che è lo stesso, non condurrà a risultati seri? Certo non è contro di loro; oggi più che mai nulla li minaccia, nulla li turberà nel loro senso feticistico della proprietà, della maggior proprietà possibile, nel quale si esaurisce ogni loro senso giuridico: nessuna rivoluzione si attenterà mai di toccare a quella tale colonna basilare nemmeno forse una rivoluzione comunistica. E allora... tendo la capo en el suelo, come dice la romanza spagnola, y no me canso de dormir; mette il capo fra due cuscini e dorme. O che cos'altro lo spronerà ad agire? La partita serale a tresette al circolo dei civili? La lettura tradizionale del Giornale d'Italia? L'audizione, sì e no, della santa Messa? Al più penserà al miglior modo di difendersi dal fisco depredatore, altra nostra non meno veneranda ed inconcussa istituzione. O perché dovrebbe dunque affannarsi a mutar qualcosa intorno a sé? Per il proprio danno? E di che deve egli temere a non farne nulla? Non gli è riuscito sempre, da secoli, di non mutare, lui solo, in mezzo a tante tempeste, a tanto cangiar di costituzioni e di padroni? Ma per questi signori, per quelli di loro - la quasi totalità - che non vedono mai le loro stesse terre, Machiavelli ha una pagina memoranda. "Le repubbliche tedesche, dove si è mantenuto il vivere politico incorrotto, non sopportano che alcun loro cittadino né sia né viva ad uso di gentiluomo; anzi mantengono fra loro una pari equalità, e a quei signori e gentiluomini che sono in quella provincia sono inimicissimi; o se per caso alcuni pervengono nelle loro mani, come principi di corruttela e cagione di ogni scandalo, li ammazzano. E per chiarire questo nome di gentiluomini quale egli sia, dico che gentiluomini sono chiamati quelli che, oziosi, vivono dei proventi delle loro possessioni abbondantemente, senz'avere alcuna cura o di coltivare, o di alcuna altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniciosi in ogni repubblica e in ogni provincia; ma più perniciosi sono quelli che, oltre alle predette fortune, comandano a castella e hanno sudditi che ubbidiscono a loro. Di queste due sorti di uomini ne sono piene il regno di Napoli, la terra di Roma, la Romagna e la Lombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non è mai stata alcuna repubblica, né alcuno vivere politico: perché tali generazioni di uomini sono al tutto nemici di ogni civiltà". Proprio così! Anzi, a proposito degli ineffabili agrari di Nardò ed Avetrana, si narra che un regio commissario, naturalmente fascista, due anni fa, in un momento di sincerità, abbia esclamato: - Oh! perché i socialisti di qui non li hanno mai ammazzati, per lo passato?





    Non ho nessuna voglia d'insistere sui riflessi politici di queste condizioni economiche: sono stanco di accennare a stragi, il cui carattere dovrebbe essere ormai chiaro. Brevemente, ti dirò che gli agrari patrioti di qui, detentori della cosa pubblica oggi, non disdegnarono il 1915 l'alleanza con le forze popolari a tinta comunista, ma che poi, dopo il '21, in seguito ad agitazioni del bracciantato per aumenti di salario, la scissione dovè sembrar loro più patriottica; come, d'altra parte, con non minor prudenza, alcuni dei capi comunisti tentarono di rifugiarsi subito sotto le ali del papismo e poi del nazionalismo; ed in breve fu deciso di farla finita; le vecchie beghe fra amici in combutta sfociarono in un gran sangue, nel novembre '22; sei morti, un fascista e cinque contadini. Così riaffermarono il loro dominio. Ma, come ti dicevo, non ti accennerò più d'ora innanzi ad uccisioni la cui logica è fin troppo evidente.

Il contadino.

    I fascisti dell'Amministrazione comunale di Avetrana, per quando saranno ultimate le opere idrauliche e la ideata ferrovia, per la quale c'è già scalpore di risse paesane nel Leccese, si rimettono espressamente, per quelle agrarie, non già ai proprietari, ma... ai contadini. Già, è sempre il contadino il pernio della questione, anche per costoro. E veramente tutti sperano il miracolo da lui, non c'è che lui a poterne compiere, tutti vantano quello che ha operato altrove, in condizioni di salubrità. S'intende che non hanno idee molto chiare; non vedono, per es., in quali zone del Mezzogiorno il contadino non arriverà mai, anche a profondervi milioni, ed in quali è bene cacciarne il grosso proprietario, che non vi farà mai nulla di buono. Comunque sia, qui intanto non è certo in condizioni di far nulla e si contenta di crepare di malaria; la malaria ne paralizza ogni attività, ogni possibilità di sviluppo.





    Le relazioni ufficiali sulla lotta antimalarica dell'anno scorso danno pel Leccese 17 mila casi di malaria denunciati, con 205 morti, cioè circa il 12 per cento, e, per la nuova provincia jonica, 4324 casi con 37 decessi, cioè quasi l'11 per cento. Naturalmente, in quest'ultima, il primo dei Comuni per maggior numero di denunzie è Ginosa con 980; seguono Manduria con 657, Avetrana con 550, San Giorgio sotto Taranto con 386, Laterza con 289, mentre a Taranto città ne spettano più di 800. S'intende bene che non tutte le denuncie vengono fatte, anzi! Le forme più gravi si hanno appunto qui a Ginosa, per cui già una comunicazione dell'ufficiale sanitario dott. Ricciardi, del 1911, indicava che la morbilità raggiungeva allora il 90 per cento nei contadini, il 70 per cento nella popolazione intera; che la mortalità era del 47 per cento nei contadini e del 23 per cento, in tutta la cittadinanza; che la leva militare dava il 78 per cento d'inabili nei contadini e il 65 per cento nella popolazione intera; e che la forma clinica del morbo era delle più gravi. Un vero disastro insomma, fisico ed economico. La citata relazione per il Tarentino non manca di osservare i noti inconvenienti: che l'acquisto del chinino non procedette dovunque regolarmente. Montemesola, per esempio, e Squinzano lo ebbero dal deposito di Torino molto tardi, mentre Monteiasi non lo ebbe dal Comune di Taranto, e Carosino non ne distribuì, dichiarando che non ce n'era più bisogno; che non esistono servigi speciali pei lavoratori nomadi, che poi son gli unici che dimorano in campagna e vi lavorano tutte le ore, alla raccolta del grano, dei fichi, delle ulive, dell'uva, e perciò son dessi gli esposti al male; che è scarso il numero degli ambulatori: che le bonifiche, tranne a Cinosa, sono dovunque abbandonate: che poi, per questa regione, "manca l'incentivo più potente a fare una lotta antimalarica a fondo, la certezza cioè che alla lotta seguirà un utile, un interesse. Nel Ferrarese tale utile è imminente alla bonifica, a causa della fertilità delle terre bonificate; mentre, per questa regione, ciò non può verificarsi, per la natura del terreno, per la deficienza dell'acqua". E ció é ben detto: quest'ultima osservazione ribadisce opportunamente il concetto generale, riesposto dal Valenti, e che è preliminare a qualsiasi azione, della inesistenza cioè nel Mezzogiorno "di vaste plaghe di terreni inutilizzati, capaci di dare ricchi raccolti". Ad ogni modo è stato osservato che nemmeno oggi la legge contempla la lotta antimalarica fra le opere di bonifica, e che le organizzazioni antimalariche assistenziali sorgono qua e là prescindendo dalle opere di bonifica e queste da quelle.





    Bisogna dunque recarsi in città a vedere questi contadini, a sera. Tra l'altro, si traversa l'enorme tenuta di Girifalco, già feudo della regina di Spagna (e dunque una specie di grossa pietra sullo stomaco del paese) con gli occhi a frugare nel folto, tra il luccicare degli ulivi, da cui sorgono più scuri i tronchi, senza fondo. Ora che è venuta in mano di una Società siciliana, questa, venduta, fittata o dissodata parte delle terre, si è data a coltivare con maggior cura il nucleo centrale dell'oliveto, che ha ben 25 mila piante, ad allargarlo congiungendolo con un bosco di oleastri, bellissimo nella sua cupezza, a mondare, spurgare, innestare, ad arare secondo necessità, a innovare, introducendo metodi moderni di cultura, di lavorazione dell'olio. Il viaggio è allietato dai segni della nuova vita, come anche dall'appressarsi della Calabria e della Basilicata, da cui spiccano balze smisurate, fianchi dirupati di monti azzurri striati di bianchiccio, il Pollino, il Raparo, contrade svariate, boschi e colline, forre ampie e ventose, da Bernalda a Montescaglioso. A pochi chilometri dalla città, dopo Cipollazzo, biancheggiano numerose in piccoli campi singolari casette a due a due, chiare e linde, una camera per sé ed una per la bestia; ma, ahimè! nemmeno qui, per la malaria, i contadini possono vivere in campagna, nemmeno qui abbondano le strade comunali. Ora, in fondo alla Gravinella, la scena muta ancora; gli uliveti infittiscono, incupiscono contro la Murgia ferrigna, a stagli e doline, e tutto parrebbe un unico bosco, senza i muretti divisori di pietra, che spuntano qua e là, frequenti. Ora la strada s'incassa, rigira, si risolleva, si inerpica, sempre tra fitte ale di uliveti, talché pare che oscurino l'aria; troviamo varie fontane pubbliche, perenni, abbondanti e buone, alle porte del paese, il quale è situato su di un sperone lanciato contro il gomito di una profonda gravina, la Gravina di Laterza e di Matera, talché, tranne per quell'unica strada, è del tutto inaccessibile da ogni altra parte, dove due burroni rupestri, franosi, rosseggianti di petrame arso e di ocra, ricettano le casucce rurali degli ultimi secoli, aprono neri occhi paurosi, le grotte, ora mezzo franate ed interrate, però non del tutto abbandonate dai poveri. Ma a chi esce, verso quest'ora, a dare uno sguardo verso la pianura, il mare, il grande arco delle murge, mai da altro punto troverà uno spettacolo più teneramente idillico: l'azzurino delicato della grande fascia, rilevata sul mare lattescente, a destra, di Castellaneta, Palagianello, Mottola, Palagiano, Massafra e Taranto con Capo S. Vito, cui aggiungono splendore i bianchi lucidi delle case di campagna, si che sembra quello di una mediocre pittura convenzionale, fatta per un salottino borghese dalla figlia maggiore, a colorire i suoi sogni che non sanno il dolore.





    Pochi uomini in un angolo della piazza, immobili, a gruppi e gruppetti, come segregati, silenziosi, vere mandrie fuori della vita. E guardano dai gialli visi stirati con occhio pecorile, con sguardo d'incredulità, di diffidenza, ma con la fissità caparbia di chi ha una sua idea, una larva ossessionante di idea. Ma come si fa ad avvicinarli, a dir loro una cosa non banale? Tu ci sei estraneo, pare che dicano, e noi siamo le mandrie, le mandrie selvagge sfuggite alle forre precipiti, al piano pestilenziale. Eppure non sono questi dei braccianti, dei nudi di tutto, ma è come se lo fossero, tanto quel poco che hanno è sudato, stentato, strappato coi denti, a prezzo di sangue vivo, insidiato ogni momento dalla natura, dagli uomini, dai loro vicini e concittadini, dai loro fratelli. Or quali vendette meditano in segreto, dietro l'opacità di quegli sguardi, contro i galantuomini del paese, da cui si sentono catturati? Qualche taglio clandestino di ulivi? Qualche sgarrettamento di buoi? Oppure qualche più vasta ribellione, qualche scoppio di cieca ira, primo segno del loro distacco dalla realtà che li schiaccia? Eppure senza di loro non è possibile far nulla; non è possibile con dei muli riottosi, inconsci, mal pasciuti creare l'agricoltura moderna. Eppure sono queste le plebi operose, in cui il patriottismo, il servizio per gli altri, per tutti, il sacrifizio, è una funzione naturale, quotidiana, meccanizzata ormai, come bere, dormire e mangiare, se pure non è coscienza matura di vita politica e senso di responsabilità. Eppure non conoscono essi gli storici tradimenti alla patria dei gentiluomini pei loro interessi individuali? 0 non sarebbe per caso la loro costanza quella di buona lega, di cui sentenzia il Machiavelli, la quale giudica meglio od erra meno del Principe? A frugare, a rivoltarli di dentro in fuori come sacchi, a sorprenderne gli abbandoni e le confidenze, si può sentire sulle loro labbra solo l'ingenua parola giustizia, non si può trovare, ben nascosta ma ben radicata nelle anfrattuosità più cupe delle loro anime, che la messianica fede nella giustizia. È la parola delle plebi, certo, confusa, rozza, imprecisa, non degli altri, ai cui orecchi essa suona come un'offesa, come un'assurda incongruità. E che perciò? Ma essa è destinata a farsi padrona viva, a tradursi quando? - in consapevolezza, in intelligenza, in tenore alto di vita, in libertà di azione politica, in vita morale. Quando? Ma la storia non ha soluzione di continuità e non aspetta per operare il microscopio dell'osservatore. Ma... ora? Ora essi, la materia vivente della storia, gl'inconsci propulsori di ogni rinnovamento, la sorgiva di ogni energia irresistibilmente fattiva, l'humus in cui profondano le radici gli spiriti direttivi, restano lì fissi, chiusi, inaccessibili, irreduttilbili, e nessuno uomo li farà ricredere di essere vittime di una ingiustizia immane, nessun tornaconto, nessuna lusinga li trarrà a confondersi con gli altri; nessuna fede, nessun dolore, che non siano comprovati col martirio, li placherà, spianerà le grinze dei loro volti, aprirà i loro cuori alla vita, ne farà finalmente degli uomini. Perché, che cosa è, senza di essi, senza della loro viva partecipazione, la storia, se non un tessuto di egoismi di gruppi sparuti, senza risonanze profonde, senza eticità? Che cosa è la vita nazionale? Quale base, quale stabilità ha la vita, ridotta a campo di scorrerie predatrici per pochi? Ma... quando? Quando dunque, come dice il profeta.


    "ognuno sederà
sotto la sua vigna e sotto il suo fico,
senza che vi sia chi lo spaventi?
E delle loro spade fabbricheranno vomeri,
delle loro lance roncole;
e una nazione non leverà più la spada contro l'altra,
e non s'imparerà più la guerra?
".





Conclusione.

    Questo spettacolo che pure è famigliare ai nostri occhi, non manca sempre di turbarmi. Mi allontanai. E ritornavo col pensiero alle necessità del momento. In materia di culture agrarie l'insufficienza è piuttosto dalla parte delle classi cosidette dirigenti che dei contadini; è questa la meditata conclusione del Rivera. D'altra parte (le osservazioni sono di E. Latronico) se il nostro contadino resta attaccato alla terra, al campicello paterno, e non pianta tutto, gli è perché non può emigrare, perché l'amore per la vecchia madre, pei figli, per la moglie è ancora in noi un sentimento profondo, perché la zappa che i suoi vecchi e i vecchi dei vecchi han bagnato di sudore é sempre uno strumento sacro, è l'onore della casa; perché c'è ancora da sperare che il buon Dio manderà la pioggia, che i morti si ricorderanno del pianto dei vivi, perché non ha proprio mezzi per andare a produrre altrove, con maggior guadagno. E se quest'anno, per le mercedi più basse, non ha potuto mandare il ragazzo a scuola né fargli le scarpe, se lui crepa sempre di fame e di malaria, che farci, se non aspettare, sperare, pregare? Certo, dopo la guerra, dopo i contatti con i fortunati lavoratori del Nord, dopo avere intravisto la possibilità d'un paradiso di benessere e d'indipendenza, mai più egli si rassegnerà definitivamente all'antico stato, a limitare sempre più i propri bisogni. In un modo o nell'altro, prima o dopo, acquisterà sempre maggiore esasperazione l'intollerabilità della sua abbiezione secolare, e, per ripetere l'espressione del Latronico, dell'antieconomicità del suo lavoro presente. Ma quando? Ma come arrivare a questo? Come sollecitare il processo? Mi pare che questa sia la quistione.

    Ti confesso che il travaglio in cui si dibatte il fascismo per il Mezzogiorno, pur in mezzo a tante storture, anzi appunto per queste storture, non lascia a volte di suscitarmi un senso profondo di commozione, di pena e quasi di simpatia. Non si tratta di esperimenti in corpore vili, ma su di noi stessi, sulla misera carne dei nostri, né d'altra parte si può sempre schernire; e l'arrabbiatura, l'odio non prodotto da risentimenti personali, è fatto di amore, è l'altra faccia dell'amore. Lasciamo stare le verità ufficiali, giacché dovunque, in ogni paese, dacché vi sono governi, c'è la verità da una parte e c'è dall'altra la verità ufficiale, che poi è la menzogna organizzata. Ma questi residui di meridionalismo, di liberismo, di ruralismo, di anticentrismo, di autonomismo, di localismo, di provincialismo, di regionalismo, che sono ben evidenti in tanti fascisti giovani, se pure compressi, sviati, deformati, se pure non sono destinati a produrre nulla immediatamente, sono pur qualcosa nuova e non vanno perduti di vista, giacché la vita è continuazione, innesto e trapasso.





    Per tornare agli uomini di Puglia, vi sono dei giovani, quali l'on. Di Crollalanza, accesi da furore contro il passato di classi politiche sfatte e di plebi apolitiche, ciò che si spiega ed è anche ragionevole in parte; ma a questa negazione fa riscontro la pacata comprensione dell'on. Franco, frammentaria si ed incongrua, ma già pervasa di preoccupazioni tecniche, antiprotezionistiche, antisiderurgiche, antinflazionistiche. E non mi dire che tutto ciò non mena a nulla, che chi si è cacciato nella gabbia non può spezzarne le sbarre, ché sarebbe giudizio troppo facile, troppo assoluto e perciò ingiusto. Piuttosto, se al fascismo sfuggono ineluttabilmente le masse, se, malgrado ogni sforzo più intelligente, quando proprio pare che stiano per essere afferrate si ritirano nella solitudine, nel silenzio, nell'abbandono, lasciando cadere nel vuoto ogni più fervida speranza, dove, su chi poggerà il fascismo la sua azione? Sui ceti medi, anch'essi delusi nei sogni di soddisfacimenti economici di tre anni fa? A me pare che, volendo esso liberarsi, come ognora persiste a dire, delle vecchie cricche e clientele locali, più che mai onnipotenti ora, tenterà di far poggiare il nuovo ordine di cose su di un forte funzionalismo, tecnicamente bene attrezzato (qualcosa di simile dunque alla politica dei lavori pubblici seguita dai Borboni fra il '50 e il '60 ed a quella poliziesca della Prussia sotto Federico Guglielmo IV), intorno al quale raggruppare, con i soliti allettamenti del potere centrale, non dunque la nobiltà da gran tempo frantumata, né i due ceti che ora dicevo, ma categorie sparute sì, ma audaci, pronte a tutto, di dirigenti politici, di emissari, di vecchi ufficiali, di pseudo-letterati, di giornalisti, di politicanti, di ex-mazzieri, di appaltatori, di dipendenti, di cooperativisti, di operai salariati dallo Stato, di braccianti. Il regime dei potestà, dunque, è perfettamente logico, se pure della logica della disperazione. Il vecchio gioco, ad ogni modo, ma più chiaro, più conseguente, più facilmente sindacabile, pel quale, é naturale, non servono nemmeno, anzi sono d'impaccio, le passioni elettoralistiche dei gruppetti di capi-popolo, pronte a deviare, le piccole ma a lungo andare pericolose libertà amministrative dei piccoli paesi, quali pur la Prussia, pel radicato senso giuridico, volle salve. Tu sai che il tentativo è destinato a fallire, che è questa impotenza politica la tragedia intima del fascismo: sai che ora, in seguito a questo ultimo fallimento dell'opera statale, c'è da sperare in un primo schiudersi del Sud alla vita politica, nel senso da noi auspicato.





    Esaminando mesi fa il problema delle bonifiche, Eugenio Azimonti doveva concludere freddamente che l'agricoltore del Mezzogiorno, innanzi all'opera del Governo, rimarrà estraneo spettatore o peggio sarà contrariato; che non ne farà nulla "non già per malvolere o ignavia, sibbene forse per non sufficiente istruzione professionale, sin tanto che sarà tartassato dal fisco, immiserito da un regime doganale protezionistico come l'attuale, non sicuro delle persone e degli averi, condizioni onerose che non gli consentono di respirare e avvantaggiarsi economicamente e neanche socialmente". Né egli crede che assisteremo noi alla soluzione di questi problemi, senza quel radicale cambiamento generale d'indirizzo politico dello Stato; né io credo prossimo, come il Serpieri, l'avvento delle classi agricole al potere, che imprimano alla vita politica italiana un indirizzo consone ai loro bisogni. Gravi lesioni vi sono nell'anima del Mezzogiorno, certo, ed io potrei rinunziare a tentarne altri quadri; ad ogni modo nessun malato si guarisce se non con la persuasione. Comunque sia, per me come per molti altri, se il socialismo ha adempiuto sinora in Italia alla maggiore e più effettiva funzione di liberalismo: se, come tutto dimostra, il partito liberale italiano è ben lontano dal trovar la sua strada e dal misurare i suoi errori, insomma dal rinnovarsi mostrandosi capace di piantare nel costume politico del paese tutte le singole libertà; se l'essenza del socialismo consiste nell'abolizione di ogni privilegio, nella libertà per tutti, nella capacità autonoma dei lavoratori di realizzare il trionfo dei lavoro all'infuori di ogni paternalismo o di ogni non necessaria statizzazione, di ogni dominio dittatoriale di gruppi e di partiti; se esso non è solo espressione d'interessi materiali, ma concezione politica di libertà concrete e di vita individuale intesa come autonomia; se, insomma, nel socialismo, nel marxismo stesso come lotta di classe, si esaurisce il liberalismo; se la redenzione del Mezzogiorno non può esser voluta ed operata che dagli interessati, agricoltori e contadini, con iniziativa propria, con mezzi propri, con politica propria, è ad esso che tocca stringere in salda alleanza i contadini ed i piccoli proprietari nostri con le organizzazioni proletarie del Nord; è ad esso che tocca suscitare ventate di autonomismo in ogni campo per dirigere una azione libertaria contro le consorterie economico-politiche che soffocano il paese, contro il centralismo statale che ne emana, il quale, in regime di libertà o di oppressione, è sempre tirannico e prima fonte di ogni male. Uomini che intendono questo, organicamente, che si preparano a quest'azione, e non sono disposti a farsi accalappiare da formule, da vantate necessità, da schematismi di partiti, ce ne sono quaggiù, e tu li conosci: non ho bisogno di fartene i nomi.

TOMMASO FIORE.