PENSIERO FASCISTA
Piero Belli: Pace in fiamme. Romanzo, Torino, Lattes, 1922.
Questo mediocre romanzetto d'appendice è soffocato dall'autobiografia: si tratta di una vendetta personale contro Mussolini e insieme di un'affermazione di fede fascista. Non ci stupiremo se il racconto si svolga con una disinvoltura di colpi di scena impudente, e con una. leggerezza di stile affatto squadrista. Che gli esempi di letteratura fascista siano cosi inesorabilmente insipidi potrà lamentare soltanto chi si sia illuso nel sogno dell'epopea per un modesto episodio di sovvertimento delle classi medie.
Del resto Piero Belli indica motivi caratteristici della psicosi fascista quando nota i1 dolore di ricominciare l'esistenza dopo la guerra la fatica enorme di ritrovare il passato, il senso irreparabile di separazione da tutta la vita. Le sue confidenze sono poco espansive, ma sfruttando i parchi cenni vi si potrebbero scorgere la genesi dello squadrismo nel rammarico del non austero soldato perché l'esser reduce non gli vale nulla, e nell'attitudine al parassitismo del patriota spostato. Se il fascismo è "figlio dell'intervento e fratello della trincea" nessuno potrà contestare la sua nascita patologica, la sua antitesi con una nazione seria nelle opere di pace. Ma la più bella curiosità negli approfondimenti del Belli sarebbe data dalla figura dell'avventuriero, cresciuto in una stanza d'albergo con l'anima allo sbaraglio, per il quale l'amore d'Italia ha la natura espansiva e confidenziale dell'amore per la cocotte (Luciana) e insieme l'enfasi del flirt con la signorina romantica (Jolanda). Ecco scoperta l'intima ragione stilistica del libro e di certi costumi della nuova Italia, se talune spedizioni e conquiste e animosità antisovversive di piazza sono almeno identicamente orgie quanto il fattaccio al caffè e l'ultima notte con le voci dionisiache dell'istinto in ribellione. Ma di certe patologie postbelliche la responsabilità andrebbe cercata senz'altro nel dannunzianesimo.
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