RICORSI

    CRITICA AL NEOGUELFISMO

    Il presidente Mussolini ci regala un ritorno agli equivoci neoguelfi. Egli seconda le naturali nostalgie degli italiani che in ogni tempo quanto più furono ciecamente nazionalisti tanto più trescarono coi clericali. C 'è in ogni italiano l'orgoglio dell'ospite del papa.

    Questi anacronismi, che solo la gente nova suol gabellare per scoperte, non meritano una critica.

    La critica fu scritta tra noi, sessant'anni or sono, da G. M. Bertini, filosofo piemontese (1818 - 1876) e noi ci consoleremo, rileggendola, delle aberrazioni contemporanee. E' una delle più belle pagine della nostra filosofia politica, che ha forse il torto di non rendersi ragione del vigoroso senno diplomatico della soluzione cavouriana (equivoca solo perché si trattava di vincere un altro equivoco), ma riesce inesorabilmente inconcussa contro i nuovi Gentiloni e contro le piccole astuzie federzoniane messe in opera oggi dai nostri governanti attraverso ingannevoli riti e pompose retoriche. Vero è che tutto il cattolicesimo e vaticanismo dell'on. Mussolini tendono soltanto a liquidare il Partito Popolare, ma come giudicare chi dei due Papi riuscirà più gesuita nel gioco?

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    Torino, 12 gennaio 1863.

    Onor.mo Collega,

    La ricordanza delle conversazioni che io ebbi seco lei nei giorni scorsi mi preoccupa la mente e non mi lascia aver pace, finché io non sia venuto bene in chiaro su quei punti in cui ci trovammo dissenzienti. Certo io consento col Mediatore nella parte negativa del suo programma, cioè nel riprovare quello spirito d'orgoglio e di mondanità che imperversa nel così detto alto Clero, quello spirito di cieca sommissione e di adulazione cortigiana che domina in tanta parte del Clero inferiore. Ma quanto alla parte positiva, il mio dissenso è troppo radicale per potermi lasciare qualche speranza, che riusciamo ad intenderci, siccome quello che non verte su qualche punto d'importanza secondaria, sul quale si possa aver diversa opinione senza cessare di aver comuni i principii capitali, ma concerne niente meno che la questione: Qual sia la vera religione? E siccome la vera religione è senza dubbio quella che ha per oggetto il vero Dio, ella vede che quella questione ci conduce all'altra ancor più formidabile: Qual'è il vero Dio? Ora il vero Dio, secondo la filosofia del liberalismo, è molto diverso dal Dio teologico. Egli è un Dio il quale non fa dipendere la salvezza delle anime umane dall'affermazione di certi dogmi, ma dal puro amore della verità congiunto alla pratica della giustizia (e della beneficenza). Egli è un Dio del quale non tanto importa accertare l'esistenza, quanto avere un giusto concetto della sua natura, conciossiaché Egli si compiaccia tanto in chi afferma, quanto in chi nega la Sua esistenza, quando l'uno e l'altro sia convinto di rendere con ciò un omaggio alla verità.

    Il solo culto che un tal Dio possa esigere dagli uomini consiste nella veracità, nel rispetto assoluto della dignità umana, della libertà di coscienza, nella mitezza d'animo, nella compassione operosa verso i miseri. Questa è la religione di ogni Stato libero, ed uno Stato libero; in quanto si fonda tutto su questa religione, ed ha per iscopo di stabilirne e di agevolarne la pratica, è una chiesa, è la vera chiesa della vera religione del vero Dio. Ella vede adunque, caro collega, che io non ammetto la teoria di uno Stato ateo, indifferente ad ogni religione, il quale restringendosi nella cerchia delle faccende temporali, lasci alle varie religioni che vivono sul suo suolo, la cura degli interessi spirituali ed eterni. Per me il vero Stato è vera chiesa, e ben lungi dal comportarsi solo negativamente in materia di religione e di insegnamento filosofico, come alcuni vorrebbero, si adopera nel modo più positivo e più efficace che può alla propagazione della filosofia della libertà, che è la sua religione: egli è però evidente che questa religione, a differenza di tutte le religioni ortodossiste, è tale, che per quanto un individuo ed un popolo ne sia profondamente convinto, per quanto solennemente egli la proclami religione dello Stato, non potrà mai esserne spinto ad atti di intolleranza e di persecuzione. Lo Stato-Chiesa della libertà accoglie nel suo seno tutte le libertà, anche quella di discutere la libertà, di negarla, di bestemmiarla, purché non la si neghi coi fatti, cioè non si tenti di distruggerla colla violenza. Lo Stato-Chiesa della libertà non è intollerante se non contro l'intolleranza, e non perseguita altri che i persecutori.





    A questo, che io chiamerò il sistema del liberalismo assoluto, se ne oppone diametralmente un altro, che chiamerò il sistema del servilismo assoluto. Principio fondamentale ne è il seguente: la salute d'ogni anima umana giunta all'uso di ragione dipende dalla adesione esplicita a certe formule dogmatiche, dall'appartenere ad una certa società religiosa, dallo eseguire certe pratiche. Formule e pratiche sono rivelate ed instituite da Dio in modo sovrannaturale; organo vivente, permanente e perpetuo della rivelazione divina è la Società religiosa, in quella forma in cui ella non fu, a dir vero, plasmata fin da principio, ma a cui per uno svolgimento logico e necessario pervenne, e in cui si costituì definitivamente, dopo essere passata successivamente per le varie forme della democrazia, dell'aristocrazia, dell'oligarchia, e il monarcato assoluto. Dico che questa è la forma più conveniente alla Chiesa cattolica. E di vero, tutte le forme definitive e stabili di raggiungimento si riducono essenzialmente a due: l’assolutismo, nel quale la volontà del sovrano (sia uno, o pochi, o molti, non muta l'essenza della cosa) è legge indiscutibile pei sudditi; e il costituzionalismo, nel quale sovrano e sudditi convengano fra loro in modo espresso o tacito, di rispettare come sovrana una legge fondamentale, uno Statuto. Ora, se si tratta di società politica, l'assolutismo è senza fallo la pessima delle forme, giacché il poter tutto è incentivo a tutto osare; l'intelletto e la volontà del Sovrano politico non avendo l'assistenza sovrannaturale e continua della grazia di Dio, si fuorvia in tutte quelle stranezze atroci e nefande di cui troviamo gli esempi nella storia del Cesari. Per le società politiche adunque la sola forma accettabile è il costituzionalismo, sebbene questa sia molto instabile e piena di pericoli, conciossiaché la legge sia qualche cosa di muto, di inflessibile ed inerte, incapace di interpretare sé stessa, di applicarsi ai nuovi casi, di vendicarsi quando sia violata, onde acconciamente fu paragonata da Platone ad un uomo ignorante e caparbio, che non vuole tener conto delle mutate circostanze e persiste ad ogni costo nei suoi propositi (Polit. p. 476-77, ediz. di C. P. Hermann). Gli stati costituzionali sussistono in virtù di un compromesso, e si reggono su principii molto precari e vacillanti, come sono il pudore di violare troppo apertamente lo Statuto, il rispetto dell'opinion pubblica, la paura delle rivoluzioni, ecc. Il costituzionalismo è adunque una forma imperfetta, e perciò poco, conveniente a quella divina società che è la Chiesa cattolica, laddove, per contrario l'assolutismo applicato a questa società perde tutti gli inconvenienti di cui è fecondo nelle associazioni puramente politiche, conciossiaché il Sovrano ecclesiastico, ossia il Papa, assistito in ogni momento dalla grazia divina, non possa mai trasformarsi in tiranno. Nell'assolutismo del Papa si realizza l'ideale, vagheggiato da Platone nel citato dialogo, di uno Stato, il cui reggitore non guarda a leggi scritte; giacché l'arte regia di cui è imbevuta e da cui è governata la sua mente, gli dà norma in ogni sua operazione. Arrogi che il Papa è di tanto superiore al politico di Platone, di quanto l'ispirazione divina è superiore ad ogni scienza umana.





    Non vi ha dunque nella Chiesa alcuna legge superiore al Papa, la quale limiti la sua giurisdizione e la sua competenza, e alla cui osservanza alcuno dei fedeli abbia il diritto di richiamarlo. Non si può neppure appellare dal Papa a Dio, dice Agostino Trionfo (Summa depotestate ecclesiae, q. VI, art. I) "Quia sententia Papae et sententia Dei, una sententia est". I1 Papa è vicario, di Cristo ed ha ricevuto la potestà che aveva Cristo, non tutta, a dir vero, giacché Pio IX a cagion d'esempio non potrebbe risuscitare il Locatelli, come Cristo poté risuscitar Lazzaro; ma qual parte competa al Papa di quella potestà, spetta a lui solo il determinarlo. Chi volesse determinargliela, si farebbe giudice del Papa, e si costituirebbe suo superiore. Parimenti, e la potestà che esercitano i sovrani temporali, che si professano cattolici, è loro delegata dal Papa; ma qual parte egli debba loro deligarne, e quale serbare per sé, spetta a lui solo il determinarlo, a lui solo spetta disegnare quella linea di confine, che separa la giurisdizione spirituale dalla temporale. Quand'anche queste massime non fossero mai state insegnate e praticate nella Chiesa, quand'anche fossero state persino espressamente da lei condannate, non sarebbe però men vero che esse sono logicamente contenute, come parti integranti nel gran sistema dell'ortodossismo cattolico, ossia del servilismo assoluto. Ma il fatto è che queste massime furono proclamate dai Papi, e insegnate da sommi dottori. L'amico di Tommaso Beket, Giovanni di Salisbury, benché acerrimo riprensore della corruzione dei Sacerdoti, ammette tuttavia che il principe temporale riceve dalla Chiesa la sua podestà. "Hoc ergo glaudium de manu Ecclesiae accepit princeps, quum ipsa tamen gladium sanguinis omnino non habeat. Habet tamen et istum, sed eo utitur per principis manum, cui coercendorum corporum contulit potestatem, spiritualium sibi in pontificibus auctoritate reservata" a (Polycraticus, p. 223, ediz. Giles). S. Tommaso dice che potestas saecularis subditur spirituali, sicut corpus animae. Ugo di S. Vittore dice: "Quanto vita spiritualis dignior est quam terrena, tanto spiritualis potestas terrenam, sive Saecularem potestatem honore ab dignitate praecedit. Nam spiritualis potestas terrenam potestatem et instituere habet ut sit, et iudicare habet, si bona non fuerit. Ipso vero a Deo primum instituta est, et cum deviat, a solo Deo, iudicari potest (De Sacram., lib. II, n. II, c. 4).

    Niuno dunque ha il diritto di richiamare il Papa all'osservanza della legge, niuno ha il diritto di appellare come da abuso dalle sue decisioni, niuno ha il diritto di circoscriverlo entro una data giurisdizione. Ogni rimostranza, ogni appello, ogni dichiarazione d'incompetenza presuppone una legge superiore al Papa, della quale possano farsi interprete, e colla quale possano farsi giudici del Papa i singoli fedeli. Questo presupposto ci ricondurrebbe a quel costituzionalismo che già abbiam dimostrato non essere forma conveniente alla chiesa del Dio teologico.

    Ogni volta che io esposi questo mio modo di vedere, e proposi il dilemma: o liberalismo assoluto, o servilismo assoluto, sentii rispondermi che queste sono esagerazioni, e che la verità sta nel giusto mezzo. Qualche volta mi si citò anche che Orazio dice:

    Sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum.





    Ma quali sono questi fines? Qual'è questo giusto mezzo? Gli è quello, mi dirà ella, nel quale si è collocato il Mediatore. Ma in che consiste il sistema del Mediatore, se non appunto nel costituzionalismo applicato alla società religiosa? Il Mediatore, pone la legge scritta al disopra della parola vivente del Papa; poco importa se questa legge scritta sia la Bibbia pura, o la Bibbia commentata ed accresciuta della tradizione, dei Concilii, de Padri, dei Dottori, ecc. Tutto ciò non fa differenza. Il punto importante è questo: se la regola suprema del credere e dell'operare sia la parola morta dei libri, o la parola vivente del Papa, organo dello Spirito Santo. Né mi si dica, che l'autorità suprema risiede né nel Papa, né nei libri, ma nella Chiesa; giacchè che cosa è la Chiesa? La Chiesa non è certamente la moltitudine disgregata dei fedeli, ma sì la loro società ordinata e governata dai suoi capi: ma ordinata in qual forma? nella forma costituzionale o nella forma assoluta? Ella vede adunque che il rifugiarsi all'autorità della Chiesa non risolve la questione, ma solo ce la fa ricomparire innanzi sotto al traveste, ma sempre insoluta. Dico male: insoluta non è pel Mediatore, il quale è buon costituzionale in materia ecclesiastica, come lo è in materia politica. Egli adunque pone la legge scritta al disopra dell'insegnamento vivo e autorevole del Papa. Fondandosi sulla legge scritta il Mediatore limita la competenza del Papa, ed insegna che la potestà conferita da Cristo al suo Vicario si estende soltanto alle cose spirituali, e non alle temporali e politiche, come se la politica non fosse una parte della morale, come se le questioni politiche non fossero sempre questioni morali, cioè tali, che ogni principe, il quale si professi cattolico, si obbliga implicitamente a riconoscere sovra di quelle la competenza del Papa, e ad osservarne le decisioni. I testi che sogliono allegarsi a questo proposito non provano nulla: Gesù Cristo non disse: "Il mio regno non è di questo mondo", ma da questo mondo, non est hinc (18, 36). Colle quali parole si accenna all'origine sovramondana e celeste del regno di Cristo; ma appunto questa Sua origine gli dà un diritto su tutti i regni della terra: "Rendete a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio". Sta bene.

    Ma chi determinerà che cosa sia di Dio, che cosa, sia di Cesare? Non tutte le cose su cui può cader questo dubbio, portano così visibile l'impronta di Cesare, come quella moneta che fu mostrata a Cristo. Di chi è Roma? E' ella di Dio, cioè del Papa, oppur di Cesare, cioè del Re d'Italia? Inoltre, il precetto di Cristo valido in quel tempo in cui Cesare era pagano, e l'Impero assolutamente fuori della Chiesa, non ha più valore dopoché Costantino entrò nella Chiesa, e vi fece entrare l'Impero. Tutti i precetti di S. Paolo, di S. Pietro, ecc., coi quali si inculca la sommissione alle autorità politiche e domestiche, quali che siano le persone che ne sono investite, derivano da un comune principio, cioè dal dovere di non opporre la violenza alla violenza; ma quando i violenti cessarono di esserle tali, quando essi si professarono cattolici, allora a quei precetti subentrò, per l'autorità ecclesiastica, il dovere di ammaestrare questi violenti convertiti, di riprenderli, di correggerli, di castigarli; e pei violenti convertiti, ossia pei principi temporali, subentrò il dovere di porgersi docili all'ammaestramento, e di ricevere con umiltà la riprensione e il castigo. Tutto è connesso nel sistema cattolico; la politica dipende dalla morale, la morale dal dogma. Disgiungere l'una dall'altra queste cose sarebbe come fare l'arte nautica indipendente dalla scienza astronomica. Se un Sovrano temporale accetta il dogma, egli si obbliga ad accettare la morale e la politica che ne deriva; e se il Papa è tenuto da lui infallibile nel dogma, e nella morale, perché non lo sarà egualmente nella politica? In punto di diritto, sì, mi dirà, qualcuno, ma non in materia di fatto; ora ogni risoluzione in materia di politica pratica implica sempre un apprezzamento, una qualificazione di fatti. Così il Papa è certamente infallibile quando dichiara in diritto non doversi invadere l’altrui proprietà, ma non già quando qualifica il fatto della nostra occupazione delle Marche, come una invasione di una proprietà sua e della Chiesa.

    Ma ella, collega mio dottissimo, saprà meglio di me se i Papi, se la Chiesa abbiano mai consentito a questa restrizione della loro infallibilità alle questioni di diritti universale ed astratto. Che se, come credo, la controversia su questa punto è ancora indecisa, e il Papa la risolve in un senso, e un principe temporale la risolve nel senso opposto, chi interverrà autorevolmente fra i due contendenti, e pronunzierà una sentenza definitiva?





    Le cose dette mostrano quanto poco sia ammissibile la separazione dello Stato dalla Chiesa, e quanto assurda, sia per conseguenza la formula: Chiesa libera in libero Stato, nella quale si spera comunemente di trovare la soluzione di tutte le difficoltà. Chiesa libera, sta bene: la Chiesa accetta ben volentieri la libertà che le offrite, e se ne prevarrà, ve lo prometto in modo che ve ne accorgerete. In libero Stato: qui bisogna intendersi. O lo Stato si professa cattolico o no: nel primo caso; esso si riconosce obbligato a non esercitare altra libertà, che la libertà del bene ammessa dalla Civiltà Cattolica e dall'Armonia, il bene poi, s'intende da sé, è ciò che piace alla Corte di Roma. Fra le buone opere di cui lo Stato Cattolico avrà la libertà, anzi l'obbligo, vi sarà pur quella di sterminare gli eretici conciossiaché questo precetto, oltreché deriva per logica necessità dal principio dell'ortodossismo, fu espressamente inculcato da qualche concilio e da nessun concilio fu insegnato il contrario. Così il concilio di Tolosa del 1119 c. 3, disse: "Haereticos ab Ecclesia Dei pellimus et damnamus, et per potestates exteras coerceri praecipimus". E il quarto Lateranense: "Si Dominus temporalis requisitus et ad monitus ab Ecclesia, terram suam purgare neglexerit ab haeretica foeditate, excommunicationis vinculo innodetur. Et si satisfacere contempserit infra annum, significetur hoc summo Pontifici, ut ex tunc ipse vasallos ab e ius fidelitate denunciet absolutos, et terram exponat Catholicis accupandam". Nel secondo caso, lo Stato sarà agli occhi della Chiesa peggio che eretico, sarà ateo, e tutti i precetti che la Chiesa inculca contro gli eretici, a più forte ragione si applicheranno allo Stato ateo, a' suoi governanti, a tutti quelli che lo approvano. Sarà dovere di ogni buon cattolico l'osteggiare in tutti i modi lo Stato ateo, e procurare la formazione nel seno di esso di un altro Stato destinato quando che sia a prenderne il luogo, pel quale la religione cattolica sarà religione ufficiale.

    Il sistema del servilismo assoluto; che ho fin qui descritto, è una esplicazione logica inevitabile del concetto di Chiesa ortodossista. Quand'anche Ella mi citasse a migliaia testi di padri e di papi in favore della tolleranza, della libertà di coscienza; ecc., non mi proverebbe altro se non che gli uomini non sono sempre logici; e difatti lo furono meno in passato che non nell'età nostra, nella quale, vinte e fugate per sempre le teorie ibride del gallicanismo, del febronianismo, ecc., regna sovrano in Francia, in Italia, in tutta l'Europa cattolica il servilismo assoluto. Questo risultato è dovuto alla libertà, la quale fra i tanti benefici produce anche questo, che è forse il più grande che siccome nella sua luce gli uomini giungono più presto a conoscersi a vicenda, e a conoscere ciascuno se stesso; così pure le dottrine e le instituzioni umane acquistano più rapidamente una chiara, sicura e compiuta consapevolezza di sé medesimi, e delle conseguenze di cui ciascuna di esse ha gravido il seno. Gloria adunque alla libertà, se la Chiesa Cattolica si riconosce oggi e si proclama per quello che è, e si è organizzata in modo conforme alla sua essenza, cioè in questo modo che i Laici, che sono ancora Cattolici, si prostrino e si sottomettano ciecamente al sacerdozio, il sacerdozio all'episcopato, l'episcopato al Papa. L'obbedienza cieca è la virtù suprema del Cristiano, una rimostranza, un consiglio, una preghiera contraria all'opinione del Papa è peccato degno della pena capitale della scomunica. La sacra penitenzieria con questa sua decisione si mostrò molto chiaveggente: si prega il Papa perché faccia qualche cosa che egli (il pregante) stima confacente al bene della Chiesa, si arroga di sapere in che consista questo bene, e suppone che il Papa possa ignorarlo, o non pensarvi; il che torna a supporre che il Papa possa in qualche momento essere privo della sovrannaturale assistenza divina. Né vale il distinguere l'ordine di cose in cui ciò può accadergli da quello in cui non può; queste distinzioni sottintendono il costituzionalismo nella chiesa, e conducono facilmente al protestantismo e da questo al razionalismo. Vade retro, Satana!

    Io non esagero, non faccio una caricatura. Le dottrine sinora esposte sono professate e praticate dal Papa attuale, dalla gran maggioranza dei Vescovi e dei preti, e da tutti i laici non razionalisti. Se questa moltitudine così numerosa e così fortemente organizzata non è la Chiesa cattolica, dov'è domando io, la Chiesa cattolica? è questa forse una idea astratta, un ideale come la repubblica di Platone o la città del Sole? No certamente. Dunque ella deve trovarsi viva e concreta in qualche società reale e vivente su questa terre. Or quale sarà questa società? sarà essa, quella accolta di persone testé accennata, o sarà quella esigua minoranza di preti e di laici che professano i principi del Mediatore, cioè il costituzionalismo in materia ecclesiastica? Ma questa minoranza è disorganizzata ed acefala, e non pretende neppure essa di essere la chiesa cattolica. E non lo può essere. E di vero: uno dei caratteri essenziali alla vera chiesa, secondo i sovrannaturalisti, è la visibilità, la sua riconoscibilità da tutti gli uomini non privi del senso comune.





    Ora la teoria del costituzionalismo ecclesiastico è molto complicata e recondita, di guisachè a comprenderla e a persuadersene si richiede non comune vigor d'ingegno e copia di dottrina. Onde si deduce, che quand'anche si potesse formare una Chiesa professante quella teoria; essa mancherebbe di quel carattere di visibilità e di accessibilità ai pusilli, che non può mancare nella vera chiesa del servilismo assoluto! Quanto semplice è la sua professione di fede! lo credo quel che crede il Papa. A che tanta teologia? A che rovistar tanti libri, a che tante ricerche per trovare la verità religiosa quando si sa che uno dei caratteri di questa verità è appunto di essere trovabile senza ricerca! Quanto chiara e precisa la Sua morale! Fare quel che comanda il Papa, senza cercare di più, senza nemmeno indagare se il denaro che egli vi chiede e che voi gli date in nome di S. Pietro, vada a beneficare i poveri o ad assoldare briganti. Potete addormentarvi tranquillo in braccio al Santo Padre, sicuro di risvegliarvi con lui dopo morte, nel Suo paradiso.

    Dalle considerazioni sin qui fatte io sono condotto a dubitare che la posizione presa dal Mediatore frammezzo al liberalismo assoluto e al servilismo papistico non sia difendibile, e questo mio dubbio ho voluto esporre francamente a Lei, mio onorando Collega, persuaso come io sono che se esso è solubile, da nessuno al mondo, possa essere sciolto meglio che da lei.

G. M. BERTINI.

    Nota - Questa lettera fu scritta in polemica col Passaglia, direttore del Mediatore.