LA SARDEGNA

    Le ragioni dell'attuale decadimento della Sardegna, secondo l'Omodeo (1), si possono far risalire ad una unica causa: la infelice condizione in cui l'isola si trova nei riguardi dell'acqua. In Sardegna ci piove pochissimo; e la scarsa pioggia è mal distribuita, perché piove d'inverno e niente d'estate; in alcuni anni si ebbero periodi di 120 giorni senza un solo mm. di pioggia, periodi di 160 giorni con soli mm. 9, di 260 giorni con mm. 25. Come nel Sahara! E scarsa è l'acqua sorgiva, tranne che nelle parti più elevate dell'isola, e irregolare il regime dei fiumi. Non esistono in Sardegna corsi d'acqua perenni. Per 229 giorni la portata dei fiumi è praticamente nulla. Negli altri 136 è estremamente variabile dall’uno all'altro giorno, talora da un'ora all'altra. Nessuna utilizzazione è possibile, né per scopi irrigui né per scopi industriali.

    Questo triste stato di cose è a sua volta causa di altri guai. La malaria può dirsi figlia della siccità. Infatti le zone più malariche dell'isola e la Sardegna, si ricordi, è la regione più malarica d'Italia - sono quelle dove appunto c'è quasi un'assoluta mancanza d'acqua. Onde stato affermato da uno scienziato dì indubbio valore, da Antonino Pais, che la malaria in Sardegna è un problema non di acque stagnanti, ma di cattiva regolazione delle acque.

    E con la malaria e la siccità ci spieghiamo il perché della scarsa popolazione e delle arretrate condizioni dell'agricoltura. La popolazione, scarsissima nella media - 35 abitanti per Kmq., di fronte ai 211 abitanti per Kmq. della Lombardia o ai 248 della Liguria - scende addirittura ai 22 abitanti per Kmq. nelle zone dell'isola più disgraziate, le quali, si noti bene, assommano all'85 % di tutta la Sardegna. Soltanto in una piccola parte dell'isola, dove i terreni sono semipermeabili, d'origine vulcanica, offrono numerose piccole sorgenti, buona composizione chimica e fisica, la popolazione sale a 93 abitanti per Kmq. Sono queste le zone di Sassari, di Cagliari, di Issili, del Logudoro, dell'Anglona, ricche di oliveti, frutteti e vigneti. Durante questi ultimi anni la popolazione è andata generalmente aumentando; benché di poco, ma, strano a dirsi, l'aumento si è verificato più nelle zone montuose che non nelle pianure, contrariamente a quello che succede dappertutto; né la ragione peraltro è difficile ad escogitare quando si pensi appunto che la malaria domina nelle bassure, e vi manca l'acqua potabile; la piovosità viceversa aumenta con l'aumentare dell'altitudine.

    D'altra parte la siccità rende difficile ed aleatoria qualsiasi coltura. Per dare un'idea dei disastri che si verificano in un anno di siccità bastano questi dati:

    Nel 1913 e 1915, anni normali, abbiamo una produzione rispettivamente di 1.125.000 e 1.200.000 Q.li di Grano, e di 14.000 e 18.000 Q.li di Granoturco; nel 1912 e 1914, anni di grande siccità, troviamo questi dati: per il grano Q.li 650.000 e 591.000, per il granoturco Q.li 6000 e 1000. In quel triennio funesto gravissime epizoozie distrussero un terzo degli armenti; e la mancanza dei foraggi rese dolorosamente vane le probe fatiche di quegli allevatori che avevano costruito nuove stalle e aumentati i capi di bestiame. Inoltre la necessità di ricorrere esclusivamente alla montagna per trovare i pascoli per il bestiame durante l'estate ha condotto ad una degradazione della medesima che, indifesa, ha perduto il suo manto arboreo e la sua cotenna erbosa, cd è minacciata da rapida morte sotto l'azione delle acque scorrenti, non incanalate o sistemate.





    A rimedio di tanti malanni l'Ing. Omodeo propone un piano di ricostruzione semplice nelle sue linee, dirò, architettoniche, seppure forse meno semplice della sua pratica attuazione.

    Egli distingue varie zone nelle isole le quali a seconda della natura geologica del terreno, sono più o meno suscettibili di trasformazioni. Nulla c'è da fare per i terreni permeabili dell'Inglesiente, così pure difficili sono i miglioramenti nei terreni permeabili. Costituiscono queste le parti più elevate della Sardegna, dove uniche colture possibili sono i pascoli e il bosco. Viceversa sono suscettibili di miglioramenti le colture, già assai floride, dei terreni semipermeabili del Miocene, e cioè quelle zone già ricordate del Sassarese e del Cagliaritano, del Logudoro e dell'Auglona. Ma dove addirittura l'Omodeo prevede una rivoluzione economica è nei terreni quaternari, nella zona cioè del Campidano, dove oggi si annida la malaria, e dove invece basterà triplicare l'acqua per ottenere il massimo rendimento agrario.

    Come sarà possibile ottenere questa maggior copia d'acqua? L'Omodeo ricorda il lago artificiale che si sta costruendo sul Tirso, immenso lago lungo 25 Km., largo due, della superficie dì 50 Km., e della capacità di 460 milioni di mc., che servirà a mantenere, durante i 7 mesi di magra, la portata naturale del Tirso. Per tal modo, scrive l'Omodeo, il fiume che praticamente non esiste, si crea, e creato il fiume, si può utilizzare in tutte le forme indicate dalla tecnica e dalla economia. Si producono così 50 milioni di Kw. per le industrie, si irrigano 30 mila ettari di terreno, si permette la bonifica di grandi stagni, che si sarebbero vanamente prosciugati senza l'acqua irrigua; verso altri si disciplina l'afflusso d'acqua dolce migliorandone la pesca; si diminuiscono se pure non si eliminano, con opere complementari, le piene disastrose.

    Orbene, quanto si sta facendo per il Tirso, può farsi per altri fiumi, il Coghinas, il Flumini Mannu, il Temo, il Flumendosa, il Cedrino; giacché la Sardegna, secondo l'Omodeo, è la regione d'Italia di gran lunga più adatta alla creazione di grandi laghi artificiali. Si potrebbero così ottenere centinaia di milioni di mc. di acqua, capaci di trasformare e valorizzare la desolata contrada sarda. Non solo, la produzione foraggiera copiosa e sicura che ci darà il piano, permetterà di concedere alla montagna il riposo, consentendo così la ricostituzione del suo patrimonio forestale; a sua volta la montagna rimboscata, coi pascoli verdeggianti arresterà l'opera rovinosa dei fiumi, e aumenterà le stesse precipitazioni. A differenza di quanto accade nella Valle Padana, dove l'acqua esuberante è dannosa, bisogna qui considerare l'acqua come sacra; è quindi imperdonabile delitto l'eliminarla.





    Bisogna cercare, esclama l'Omodeo, una tecnica nuova che sappia comprenderla, trattenerla e renderla benefica.

    Questo il disegno che ci offre l'Ing. Omodeo. Io non sono un tecnico e non posso quindi discuterlo; ma anche un profano non può non ammirare la logica del suo ragionamento e delle sue argomentazioni e non sentirsi quindi tratto ad accettare le sue conclusioni. Pur tuttavia qualche dubbio mi pare sia legittimo.

    Anzitutto io mi domando se ci sia la convenienza economica, se in altri termini il costo della costruzione di questi serbatoi, non solo, ma il costo delle successive trasformazioni agrarie sia compensato dal maggior valore della incrementata produzione.

    L'Omodeo, in una lunga nota, riferendosi alla zona che sarà irrigata dal Tirso, ci dice che, secondo il preventivo prudenziale di un tecnico di grande valore, il reddito lordo complessivo aumenterà da 26 milioni a circa 72 milioni di lire, con un incremento di circa 46 milioni, incremento che potrà salire a circa 88 milioni, se si tien conto della messa in valore di 4000 ettari di palude.

    Stando a queste cifre, benché l'Omodeo non ci dica il costo dell'opera idraulica e delle opera di bonifica agraria, è indiscutibile che si tratta di un buon affare, anzi di un ottimo affare. Ma io mi permetto di essere un tantino scettico. Non entro nell'esame delle singole cifre addotte nei calcoli, noto soltanto che esse partono dall'ipotesi di una profonda trasformazione nei metodi culturali, e precisamente dall'ipotesi che si arriverà ad una larga estensione della coltura foraggiera avvicendata, con gran prevalenza dell'erba medica, e che si introdurranno altresì varie piante industriali, specialmente la barbabietola da zucchero, il tabacco, gli ortaggi di grande coltura e via dicendo. Orbene, chi abbia percorso un poco la Sardegna ed abbia in mente quei campi malamente dissodati dove il grano cresce stentato, non alimentato da concimi chimici, non assolcato ripulito o rincalzato, dove le viti mostrano palesi tutte le devastazioni della filossera, quei campi che non conoscono aratri meccanici, dove in una parola l'agricoltura è ancora allo stadio in cui si trovava la Toscana o la Lombardia qualche secolo fa, stenterà a credere che quegli stessi campi, di qui a pochi anni, possano assumere quell'aspetto di azienda a coltura eminentemente intensiva sotto cui la vede l'Ing. Omodeo.

    Chi sa come dappertutto lentissime siano le trasformazioni e i progressi nell'agricoltura, e più che mai necessariamente lenti là dove si oppongono difficoltà di viabilità, di sicurezza, di tradizione e di mentalità, ha forse ragione di dubitare che non basti portare l'acqua dove manca, perché ivi sorga un fiorente podere. Del resto, anche senza la irrigazione, dei miglioramenti culturali sarebbero pur sempre possibili; il Lei Spano, un intelligente agricoltore Sardo, è riuscito ad impiantare praterie artificiali senza acque irrigue, mediante buoni scassi e con laute concimazioni, cosicché egli non esita a scrivere nel suo volume su la "Questione Sarda" che la scarsezza della produzione qualche volta dipende da mancanza di pioggia, ma il più delle volte da imprevidenza e da mancanza di principi direttivi. Eppure l'esempio del Lei Spano non ha trovato seguito. Non è senza una profonda ragione economica e sociale che la pastorizia tende a sostituirsi all'agricoltura. Il Lei Spano invoca, a salvamento dell'agricoltura sarda, 1'introduzione della mezzadria, l'appoderamento. E sta bene. Ma se l'appoderamento riuscì facile nelle bonificate maremme toscane, sarà altrettanto facile nella Sardegna, dove, per esempio, si hanno soltanto 69 metri di strade comunali per Kmq. di fronte ai 545 metri dell'Italia settentrionale e ai 428 dell'Italia centrale?

    Il problema sardo è un problema complicato, un problema integrale: siccità, malaria, popolazione fiaccata, scarsamente progressiva, insufficiente sicurezza pubblica, insufficiente viabilità, assenteismo padronale, ecco tanti malanni che sono come tanti anelli di un'unica catena. Una radicale trasformazione della economia isolana, ha scritto il Lei Spano, una totale valorizzazione di tutte le forze della Sardegna, un accrescimento della sua popolazione ed un conforme incremento del suo benessere non si avranno mai se non affrontando il problema nella sua integrità. Ed è un problema anche spirituale: non si è capito da molti che il regionalismo e l'autonomismo sardo non sono che un tentativo di cercare una soluzione attraverso una concreta comprensione della realtà storica, al di fuori dell'opera, del governo spesso antistorica ed astratta.

G. BR.

(1) Problemi Italiani, febbraio 1923.