DOCUMENTI TRIESTINI (1)
I.Caro Amendola, volevo scriverti anch'io perché il momento o almeno il periodo che si inizia è importantissimo per Trieste. Tu sai il mio punto di vista sull'irredentismo: convinto che noi italiani dell'Austria, possiamo per ora, finché dura la costituzione austriaca tedesca-slava, difenderci da noi contro gli slavi, in margine del suo grande conflitto dualistico, ma aiutati da esso, ho sempre affermato che la questione triestina bisogna considerarla sempre dal punto di vista dell'interesse dell'Italia. Finché dunque l’Italia doveva assicurarsi contro la Francia e Inghilterra la sua posizione mediterranea, doveva stare assolutamente nella Triplice, e, ogni giro di valzer le è costato molto caro. Fare in quel tempo dell'irredentismo voleva dire: render più diffidenti i rapporti italo-austriaci, inasprire il governo di Vienna contro di noi, senza che l'Italia potesse in alcun modo serio intervenire, per di più renderci ostili gli stessi slavi con maltrattamenti scolastici (diretta conseguenza dell'irredentismo inteso falsamente) e con il sospetto che senza nessun consenso loro l'Italia si sarebbe presa i posti a cui più essi aspirano, e con i porti una parte della loro gente, e affermavo perciò che qualora l'Italia avesse intenzione di occupare i porti italiani di là dall'Adriatico, avrebbe dovuto intendersi sopratutto con la Russia, con i piccoli (allora!) stati slavi della Balcania. D'altra parte noi triestini e istriani, visto che intenderci a compromessi con gli slavi era perfettamente vano e impossibile (per molte e molte ragioni) dovevamo trattar gli slavi in modo civile, e perché era quella l'unica possibile difesa, e perché cosi qualunque avvenire ci avrebbe trovati preparati. Con gli ultimi avvenimenti la situazione è naturalmente trasformata. La politica dell'Austria era di necessità: discesa a Salonicco e futura aggregazione degli stati serbi nel suo dominio, con relativo o trialismo o confederazionalismo. Se non riuscì in tempo, questo io credo lo si debba sopratutto al bestiale (e provvidenziale) orgoglio magiaro, contro cui l'unico ministro che seppe, con arti finissime, prevalere fu Aehrenthal (Berchtold per opinione comune è una testa di rapa). L'inorientamento dell'Austria fu una direzione politica contro cui l'Austria per secoli tentò sottrarsi, e se non ci fosse stato Bismarck a metterle i punti sugli i, neanche dopo il '66 probabilmente essa si sarebbe decisa a riconoscere la sua ormai unica possibilità. Gli stati balcanici seppero approfittare di questa sua storica incertezza. Cosicché ora par più possibile che una Serbia e un Montenegro ingranditi assorbano la Bosnia-Erzegovina, e magari la Croazia-Slavonia che non viceversa. La questione naturalmente potrà e magari dovrà essere protratta e preparata per qualche lustro; ma la realtà è che gli jugoslavi non continueranno all'infinito a esser divisi fra due grandi stati, uno nazionale e l'altro coercitivo. Perché quello che, almeno all'Italia, più importa in questo momento, è la nascita di una nuova grande potenza slava. (Sono d'accordo in tutto con le tue idee politiche). Di fronte ad essa l'Italia ha tutto l'interesse di assicurarle una vita assolutamente indipendente dall'Austria (porto anche alla Serbia!); ma nello stesso tempo prevedere che cosa essa potrà diventare nel futuro. Per questo l'Albania deve essere indipendente. Sostenendo energicamente questa linea di mezzo, l'Italia, oltre al resto, assicura ai suoi prodotti le simpatie albanesi e serbe. Ma non basta. Bisogna ammettere che fra dieci anni la Serbia (e i serbi dell'Austria) penseranno seriamente a qualche altra cosa. Ora: da una parte l'Italia ha grande interesse di chiudere definitivamente l'Adriatico a ogni possibile influenza di un grande aggregato statale com’é l'Austria (e sotto, la Germania); ma dall'altra di rendere impossibile che la nuova potenza possa diventare temibile o più o come la vecchia Austria. Da una parte aver tutte le simpatie e tutte le vie sgombre nella Slavia, che può essere almeno fra molti anni una specie di Hinterland transmarino alla sua vita industriale e in generale culturale: dall'altra assicurarsi le spalle. E' qui che entra finalmente in campo l'irredentismo. Difatti è la politica di Venezia, che l'Italia deve seguire. L'Italia in caso di queste eventualità deve sostenere la Slavia, ma su precisi patti: Trieste, tutta l'Istria, Fiume, e almeno qualche isola italiana – croata del Quarnero (Lussino per esempio) e se fosse possibile anche Lissa, dovrebbero passare all'Italia. In questo modo una costa orientale divisa fra Grecia, Albania, Slavia, Italia, e sorvegliata dall'Italia da Pola, Lissa, Otranto sarebbe ormai una soluzione definitiva. Ma naturalmente per riuscire a ciò, oltre il buon trattamento verso i nuovi sudditi per non avere in casa un seccante irredentismo, dovrebbe aiutare in guerra la Serbia contro l'Austria. Si capisce che ciò sarebbe un conflitto europeo, di cui è inutile discutere ora le conseguenze. (Sarebbe certo una rettifica delle questioni nazionali pendenti nell'Europa: l'Alsazia, Schleswig, Polonia, Trentino, ecc.). Nelle sue linee generali si può dire che sarebbe la rinascita politica delle nazioni slave, contro e a spese del germanesimo. E dunque l'Austria? L'Austria è in equilibrio fra queste due potenze infulcrato sulla necessità che ha l'Ungheria di non diventare una seconda Polonia. Scoppiando tra esse il conflitto, l'equilibrio dovrebbe per forza scindersi nelle due parti. Ora è possibile ciò? Io credo che intendendo bene il significato degli ultimi avvenimenti oltre che fine della Turchia si possa dire finis Austriae. L'Austria era una potenza essenzialmente occidentale. (Bisogna vedere come Maria Teresa non voleva assolutamente saperne perfino di spartizione polacca! nelle lettere non fa che piangere e piange in realtà). Ricacciata dall'occidente essa ha dovuto per la stessa sua natura, per la sua tragica sorte (come della Russia) di dover volere un grande impero in modo che fossero soddisfatti tutti gli interessi economici di tutte le sue nazioni, per superare con il benessere il dissidio nazionale – tendere all'Egeo. Chiusale questa via, l'Austria non può più dare una terza direzione alla sua politica. Liberata dalla sua oppressione la Serbia, l'Austria è chiusa per sempre in se stessa. Sarà molto difficile che anche economicamente la grande industria viennese e boema trovi nuovi sfoghi. Dovrà a poco a poco in tutti i casi ridursi a una specie di Svizzera, o le nazioni di cui è composta tumultueranno sempre più violentemente. Per questo io credo che l'Austria dovrà tentare un ultimo disperato colpo. Oppure, anzi certo, cercherà di tener buoni i suoi jugoslavi, e forse si metterà in cerca di qualche colonia. Ma non so in che modo se la caverà. La sua burocrazia, tedesca, probabilmente non saprà fare di più di quello che fa la burocrazia germanica. Neanche Bismarck ha saputo fare della Germania uno stato coloniale. (L'Austria certo potrebbe dare molta emigrazione). Ma se essa dovesse tentare l'ultimo colpo, anche perché costretta dagli jugoslavi (sei milioni quasi in Austria-Ungheria; otto e mezzo circa nei Balcani: come vedi è difficile che queste quantità quasi pari vivano segregate accanto) e perdesse, è difficile pensare che cosa succederebbe di lei. La Boemia, Moravia e Slovacchia? L'Ungheria? Pur ammesso che si trovi soluzione per la Polonia (dove vivono moltissimi Rumeni e piccoli russi), per i paesi tedeschi (incorporati alla Germania?) per gli sloveni (incorporati alla Slavia?). Ora come ora l'unica possibilità che io riesca a vedere é: confederazione degli slavi del Sud, con loro porto a Ragusa, ecc. e l'Ungheria (diminuita anche di tutta la parte rumena) comunicante al mare per speciali tariffe doganali con Fiume. Naturalmente questo è uno di quei piani che si sognano all'alba. Ma quello che importa è che in Italia s'abbia presente anche questa, sia pur lontana, possibilità. Perché in caso di un nuovo ingrandimento della Serbia, e conseguente necessità italiana su Trieste, l'Austria potrebbe bensì sussistere, ma sarebbe un'ombra di sé stessa. Io credo dunque che l'Italia debba prepararsi e preparare questa possibilità. Ma deve star unita ancora all'Austria o già ora staccarsene? Bisognerebbe, per rispondere, esaminare assai particolarmente tutta la questione, in modo di poter prevedere e difficoltà e tempo necessario per risolverla. La difficoltà massima, intensa, per la realizzazione di una confederazione jugoslava sarebbe la differenza fra croati e serbi, e fra serbo-croati e sloveni. Ci sono vari elementi: di religione (benché meno che l'Austria non ci abbia fatto credere: in Croazia per esempio ci sono più di 2000 croati ortodossi, molti serbi cattolici, che pur sono e sentono da croati e da serbi), elementi di cultura (ma esagerati pallonificamente dall'Austria) e. sopratutto di clericalismo e liberalismo) p. e. croati di Ragusa, Fiume, Zagabria contro gli sloveni: clericali questi e absburghesi: ma non tanto come dicono. Lubiana p. e. è più liberale, anzi rivoluzionaria, ecc.). In tutti i casi la lega balcanica ci avverte cosa valgano poi queste differenze fra slavi. E bisogna poi notare che l'unico vero irredentismo, in Austria, lo si trova soltanto, benché anche qui parzialmente, fra i Serbi e i croati. Ma lasciando stare tutto ciò la mia impressione è questa: che l'Italia, se crede utile rinnovare ancora una volta la Triplice, non deve firmarla a troppo lunga scadenza, che nel frattempo deve in tutti i modi (sopratutto con la legittima scusa commerciale) aumentarsi le simpatie slave e della Russia, per preparare il terreno alla nuova alleanza, in cui Austria e Germania, rimarrebbero isolate (anche dalla Rumenia con la promessa della Transilvania). E sopratutto nel trattato nuovo (di cui però io non vedo la necessità essendo nostra la Libia, autonoma l'Albania, e non potendo le navi tedesche aiutare quasi per niente nell'Adriatico) non dovrebbe impegnarsi in alcun modo per quel che guarda la Serbia e il Montenegro. Se ciò non è possibile, meglio appoggiarsi alla Russia e alla Francia. Noi triestini poi, invece di starcene a urlare in casa nostra, si dovrebbe metterci in relazione con i Circoli croati, e serbi. Che cosa si pensa a Trieste dei nuovi avvenimenti non so precisamente. So questi fatti: che Trieste commerciale è molto preoccupata per il suo transito di zucchero, macchine e per il suo caffè, ecc. nei paesi balcanici, che il Piccolo pur continuando la lotta contro gli sloveni (che sia pur in altre forme sarà necessaria sempre) ha di tanto in tanto una buona parola per i croati, e ha iniziato una sottoscrizione per i feriti balcanici (qui c'entra anche l'interesse commerciale). Può essere che anche Trieste si stia per trovare in un momento critico. Dovrei scriverti altre dieci pagine per esporti la vita intricata di Trieste. Essa come soffre così usufruisce della sua triplice posizione. P. e. se in un certo senso si deve dire che è il suo Hinterland austriaco che le permette il commercio con l'Oriente, dall'altra parte bisogna dire che quel commercio è più triestino che austriaco. Ti basti questo fatto: come sai l'Italia ha stentato assai per allacciare i suoi cotoni e il suo commercio all'Albania, sopratutto perché non si sapeva adattare alle esigenze albanesi che non conoscono ancora l'uso bancario del denaro, e pretendono il puro e semplice baratto di merci. Il commerciante triestino invece ha fatto venire dall'Albania molti impiegati; i quali trattano coi loro compatriotti nel modo ch'essi vogliono: cosicché noi diamo lo zucchero, essi il sommaco, che noi poi spediamo... anche in Italia! – Certo che Trieste perderebbe qualche cosa, ma non tanto quanto se l'Austria fosse sbarcata a Salonicco. Ci sarebbe un gran periodo di sbalestramento: ma se l'Austria non avesse più porti, i paesi ora austriaci, in massima parte almeno, dovrebbero rivolgersi qui. E l'Italia avrebbe tutto l’interesse di assicurare a Trieste e a Fiume una specie di neutralità commerciali e vantaggi speciali. Ma quando ritornerò (fra un mese) a Trieste ti darò notizie più lunghe, se t'interessa. Scusa l'enorme discorso, ma non volevo darti le conclusioni senza ripeterne tutto il processo. Se mi verrà in testa qualche altra cosa importante, ti scriverò. Una stretta di mano dal tuo. Amburgo, 26 marzo 1914. N. B. - Naturalmente se si formasse uno stato sud-slavo autonomo e i nostri paesi vi fossero compresi, in un secolo noi con gli istriani si conterebbe più nulla o quasi. E' il dissidio tedesco-slavo che ora ci permette di vivere.
II.Carissimo, tento di scriverti, benché non so se questa lettera ti giungerà a destinazione. Per di più ho smarrito il tuo indirizzo e devo spedire a Cecchi. Tu però non mandarmelo: né scrivimi nella risposta di questa mia, ma mandami una semplice cartolina senza parole troppo chiare. La censura è severissima. Se t'arriva questa, la prossima volta riscalda sulla fiamma di una candela il foglio bianco che involgerà la mia. Tenterò di venire in Italia, ma sarà assai difficile. Vorrei parlare con voialtri per sentire un po' che cosa pensate e per metterci d'accordo. Naturalmente ora come sempre prima di tutto l'interesse dell'Italia. Noi non ci muoveremo in alcun modo finché non sapremo che cosa l'Italia creda suo utile e voglia da noi. Siamo su per giù tagliati fuori dal mondo, e non ci nutriamo che di notizie ufficiali, di notizie d'ogni genere, incontrollabili, e di ansia. Pure arriviamo a carpire qualche giornale regnicolo. Qualcuno torna dal regno e porta notizie. Qui a Trieste in generale si crede che arriveremo presto alla guerra tra l'Austria e l'Italia, e che noi saremo liberati. Ci pare che questa sia la logica della situazione. Il governo italiano se avesse voluto e supposto probabile la guerra con la Francia avrebbe preparata l'opinione pubblica. Non l'ha fatto. Non lo fa anche oggi, mentre proclama che la neutralità è vigile e armata. Se non arma contro la Francia arma dunque contro l'Austria. L'Italia deve intervenire. Io non credo che non intervenendo avrebbe dei danni materiali: dopo la guerra neanche i vittoriosi se la sentiranno, di riscendere in campo da punitori e durante la guerra tutti cercheranno di non crearsi nuovi nemici. Ma credo fermamente che per mezzo secolo almeno l’Italia non conterebbe più nulla nella storia europea. Senza contare che questa è forse l'unica occasione, forse per un secolo e più. A me pare che le nostre previsioni (ricordi il nostro scambio epistolare di un anno e mezzo fa?) si stiano per avverare, se non in cornice identica, ma sì in sostanza. La Serbia in Dalmazia, in Bosnia-Erzegovina, in Croazia, in Carniola magari: all'Italia i confini alpini, Friuli, Trieste, Fiume, tutta l'Istria e un'isola. Su questa base deve essere possibile un accordo con l'Inghilterra (e qui bisognerebbero patti chiari) e anche con la Serbia-Russia. Dell'Albania non si parla. Se non erro, l'Albania è un pomo che sta per cadere da sé in bocca all'Italia, in una forma o l’altra. La questione adriatica sarebbe forse, per secoli chiusa. Anche se l’Austria-Germania non fossero sconfitte a fondo è possibile questa soluzione, la quale dipende bensì anche dall'esito della grande guerra di coalizione europea contro il primato tedesco, ma è anche fino a un certo segno indipendente. Il momento sarebbe, per quanto ne posso giudicar io, favorevole. Trieste è completamente sguarnita. Il reggimento locale 97, è partito l'altro ieri per la Galizia. Restano poche compagnie della riserva sul Carso triestino (Opcina, Basovizza, Sesana); dove dovrebbero tentare un'eventuale difesa a un'avanzata del nemico salente dal mare. Ma Trieste è libera per tutti. Da cinque o sei giorni è partita dalle sfere ufficiali la voce che verranno gli inglesi. Hanno portato via tutto: perfino il cannone che spara il mezzogiorno alla lanterna. Stanotte è partito per Vienna un treno scortato carico di valori in effetti (e a quanto pare anche oro) di tutte le banche locali (dicono che portava un duecento milioni e più). Hanno spedito via tutti gli archivi della Luogotenenza, dei cantieri navali, ecc. Gorizia è diventata il centro amministrativo (e pare militare) della regione. Il console inglese; a quanto dicono, ha già fatto i bauli, e questa sera corre per la città la voce che l'Inghilterra ha occupato Vallona e ha dichiarato la guerra all'Austria, causa l'aiuto dato a Pola al Goeben e Breslau. Ti dirò anzi che pare sia nei circoli ufficiali quasi la speranza che gli inglesi possano occupare Trieste senza colpo ferire, prevenendo cosi l'occupazione italiana. In generale fin qui non s'è pensato seriamente alla possibilità dell'Italia; ma ora s'incomincia a impensierirsene. Corre voce che il luogotenente sia partito per Vienna. L'opinione pubblica a Trieste è stata fino a pochi giorni fa travolta dall'odio astioso contro gli slavi, da diventar cieca. Ancora oggi c'è della gente intelligente che sostiene la necessità della vittoria austro-germanica che tagli la testa al panslavismo. Queste idee e simili sentimenti hanno causate le dimostrazioni tripliciste dei primi giorni. La banda militare suonava la Marcia Reale e gridavano viva l'Austria per poter gridare viva l’Italia. Ma l’Italia non si mosse, e allora, si incominciò a star zitti e a pensare ad altre possibilità. Oggi già l'arrivo della flotta inglese sarebbe accolto da una sommossa entusiastica per l'Italia. Si comincia a sentire che siamo in un momento storico decisivo. Il cuore dell'Austria è neutro; e Trieste è senza storia. Il comportamento dei primi giorni (io non ero ancora qui) fu deplorevole: di gente che non conosce né sente nessuna responsabilità nel mondo, che non s'è ingaggiata mai in una posizione politica, che non vede più in là dei suoi giornalieri sentimenti. Ora si comincia a sentire, di sera per le strade semibuie per il risparmio di gas, che c'è un'ansia e una tensione nuova. Si parla di costruire una guardia civica nazionale, per mantenere l'ordine cittadino. Vedete voi se si può fare qualcosa. Se mai scrivimi una parola sotto i francobolli, ma bada che non se ne scorga nulla. Per ora la città è abbastanza calma, e le corrispondenze tragiche del Secolo sono esagerate. Ma tra poco la disoccupazione produrrà i suoi effetti. Sarà facile indirizzare a qualche scopo il malcontento e la fame. Ti prego di scrivermi almeno una parola. Tuo SCIPIO SLATAPER.
Trieste, 13 agosto 1914. (1) A nessuno sfuggirà l'importanza singolare delle due lettere inedite che qui presentiamo, lieti di ascoltare ancora quasi la voce viva di Scipio Slataper. Mentre Vi si può cogliere un documento completo di umanità e la testimonianza immediata di un momento storico solenne, non dovrà sfuggire la singolare maturità culturale e storica con cui è prevista e inaugurata una politica estera che rimane valida anche oggi. La coerenza spirituale di Scipio Slataper, maestro di vita, appare alla cultura nuova come un modello.
Vedasi su di lui il bel libro di Stuparich: Firenze, La voce, 1923. |