CONGIURE E OPPOSIZIONE
Intendiamoci: se parlo qui, ora, di congiure, non intendo assolutamente alludere al " complotto" di comunisti e affini che fu "sventato" dal governo fascista circa il principio del febbraio scorso; e neanche della setta delle "Cappe Nere", di cui si fece gran parlare l'anno scorso a Milano; e neanche del Partito sindacalista di azione universale (L’uomo è Dio - Per il proletariato: silenzio o morte! - Giubba nera, cinturone, casco nero, ecc.), con centro ancora a Milano, e di cui un vice-commissario di P.S. per nome Tamburro ebbe a riferire il mese scorso a un cronista del Corriere; no, io qui non intendo parlare del fatto di una o di parecchie congiure, ma intendo parlare di una volontà di congiura, cioè di uno stato d'animo, assai diffuso ora in Italia, per cui da molte parti si pensa con indulgenza, e quasi direi, con nostalgia, ai tempi in cui in Italia l'unica arma possibile nella lotta politica per gli spiriti insofferenti di schiavitù era quella della setta e della congiura. E mi spiego. Quando avvenne, con la marcia su Roma, il colpo di stato fascista, ci furono italiani che, trovandosi, per caso, all'estero, pensarono se vi dovevano rimanere come esuli, per provvedere così alla loro sicurezza personale e per eventualmente meglio aiutare di là gli amici perseguitati in Italia; gente, vi fu che dall'Italia pensò di andare volontariamente all'estero in esiglio, per le stesse ragioni di quegli altri; gente vi fu, che, rimanendo in Italia, pensò ad inchiostri simpatici, a linguaggi convenzionali, e si ristudiò la storia dell'Italia del periodo 1821-1853; e molti giovanetti si esaltarono discorrendo fra loro di queste cose, come si erano esaltati i loro bisnonni, nelle stesse regioni, appunto un secolo fa. Ora, badate bene, io non voglio mica negare che, se le cose fossero continuate ad andare come erano andate, pressapoco, fino al congresso dei Popolari a Torino, si sarebbe dovuto tornare a rappresentare, fuor del teatro, al naturale, Romanticismo del Rovetta, e neanche non escludo mica che ancora si possa, fatalmente, in Italia tornare alle sette, alle congiure, agli esigli, e all'appello agli stranieri; no, di tutto questo io non nego e non escludo niente; solamente io dico che oggi, in Italia, quanti hanno coscienza che il 1923 non è il 1823, e quanti hanno, per ciò solo, desiderio e interesse a che questo secolo in Italia non sia passato per nulla, devono con ogni loro mezzo evitare che fra gli elementi giovani, generosi e irrequieti e "liberali" si vada creando e diffondendo quello stato d'animo, tra romantico e mistico, che porta questi elementi a sognare, a desiderare quasi che tornino i tempi di Silvio Pellico, o di Fortunato Calvi. Io dico insomma che tutti noi, che abbiamo o sentiamo responsabilità di educatori politici, in questo tempo dobbiamo far ogni sforzo per contenere il malcontento dilagante contro la tirannide fascista, e "convogliarlo" nelle vie "liberali", cioè nelle vie della lotta politica pubblica e aperta, cioè nelle vie della opposizione politica. Il motto nostro insomma deve essere: "Non congiure ma opposizione!". Voi mi direte: non dipende da noi: soppressa la libertà, torna, fatalmente, la cospirazione; per sopprimere la cospirazione occorre restaurare la libertà; questo, ora, diciamo, non dipende da noi. Al che io rispondo: nella guerra l'Italia ha vinto unicamente perché vi fu in Italia della gente che non ammise mai, neanche per un momento, né la realtà né la possibilità della sconfitta; in quest'altra guerra (che è ancora quella guerra) noi liberali vinceremo solamente se ci sarà fra noi chi non ammetterà mai, neanche per un momento, né la realtà né la possibilità della soppressione della libertà! Noi, liberali di marca, non dobbiamo ammettere neanche per ridere, che in Italia, cento anni dopo lo Spielberg, cinque anni dopo il Piave, possa mancare la libertà nella sua estrinsecazione pratica di libera lotta politica e di guarentigie costituzionali, e dobbiamo noi, prima di tutti e ad esempio di tutti, parlare, scrivere, agire come se codesta libertà esistesse di fatto; sino al momento, si capisce, in cui una violenza materiale ci mettesse, o ci rimettesse, fuori combattimento. Insomma: votare i monumenti a Battisti in Trento a Sauro in Trieste all'indomani di Caporetto. Le vittorie si ottengono così. E finora noi di R. L. per questo, la coscienza ce l'abbiamo a posto; per noi Caporetto non è mai avvenuto; noi siamo stati, dopo la marcia su Roma, quello che eravamo prima: il numero di R. L. che giunse ai lettori durante il "colpo" recava il motto "Difendere la libertà": nessuno di noi ha tradito la consegna: e tutti ci siam comportati dopo come se il sacro territorio della libertà non fosse mai stato invaso. Ed io credo che il nostro esempio sia valso a incoraggiare altre resistenze, e, cosa più preziosa ancora, a chiamare alla luce, all'arringo, altre opposizioni, che, forse, senza l'esempio di R. L. sarebbero scese anch'esse... nei sotterranei di Piazza del Duomo. E perciò, io credo che codesto nostro amatissimo "giornaletto clandestino" abbia bene meritato dell'Italia nostra. Ma quello che si è fatto non basta: occorre far di più: occorre - ma per questo non dobbiamo esser noi soli - organizzare in Italia, una buona volta, la opposizione politica, e, più precisamente, un partito di opposizione. Ma non c'è il socialismo, anzi i socialismi, Giustizia, Avanti, ecc.? Ma io dico opposizione costituzionale, non opposizione rivoluzionaria: questa da noi non conta, e non ha mai contato, niente. Non conta niente ora, perché è sfiduciata, scalcinata, svalutata in mille modi: non contava niente prima, perché era sistematica, aprioristica, e quindi non si capiva mai se era buona o no, se era sincera o meno; poi perché era irresponsabile; e poi perché non era né opposizione né rivoluzione, ma era riformismo e collaborazionismo. Una vera opposizione politica, in Italia, non può e non deve essere che costituzionale. Solamente col porsi sul terreno costituzionale (patria, libertà, responsabilità di governo) la opposizione può essere efficace: prima perché non lascia agli avversari il monopolio di quelle idee-mito che sono la nazione e la libertà; secondo, perché non può esser ridotta al silenzio con l'argomento, invincibile contro dei sedicenti rivoluzionari, del "provatevi voi"; in terzo luogo perché toglie alle opposizioni sovversive il privilegio di criticare il governo e i dirigenti, critica indispensabile a ogni partito per mantenere o riprendere il contatto con le masse. E di più: solamente una opposizione costituzionale in Italia può essere veramente rivoluzionaria, perché appunto l'ingresso di una vera opposizione costituzionale nella vita politica italiana, costituirebbe uno dei più grandi fatti rivoluzionari della storia della terza Italia, anzi segnerebbe esso l'inizio, veramente, della nostra rivoluzione liberale. Abbiamo detto più volte che la storia della terza Italia non è la storia di uno stato liberale ma è la storia di una dittatura burocratica: una delle prove di questa verità è nel fatto della mancanza quasi assoluta di un'opposizione costituzionale nel nostro Parlamento; come una delle prove dell'illiberalismo essenziale dei nostri maggiori uomini di stato da Crispi a Giolitti fu la loro intolleranza di ogni benché minimo tentativo di opposizione costituzionale; se domani, nel nostro paese, riesce a formarsi e a funzionare codesta opposizione che io dico, con ciò solo si inizierà il vero, effettivo, sano funzionamento dei nostri istituti parlamentari, e con ciò solo si sarà iniziata, come io dicevo, la nostra rivoluzione liberale. Ma un altro beneficio di incommensurabile pregio recherebbe, al giorno di oggi, la comparsa di una opposizione costituzionale nel campo della politica italiana: questo, che per essa troverebbe sfogo e corso il vasto malcontento antifascista, il quale, in mancanza di questo sbocco, e per l’intasamento attuale degli sfiatatoi dell'emigrazione e del sovversivismo, sarebbe per forza indotto nei meandri sotterranei e anacronistici della setta, della congiura e dell'attentato. Il compito e l'onore di creare e far agire questa opposizione in Italia spetterebbe oggi al partito liberale. Questa è la sua ora. Come la passione della guerra per la difesa e per la riconquista della patria ha favorito la germinazione e la vegetazione di partiti nazionalisti, così ora la passione della lotta per la difesa e la riconquista della libertà pone le condizioni necessarie e sufficienti per il sorgere ed il vigoreggiare di un vero partito liberale. Ma questo partito potrà sorgere vitale e vivacemente affermarsi solo se, fedele al suo nome e alle sue tradizioni, si affermerà subito come intransigente difensore di ogni libertà contro i movimenti politici, che di queste libertà han fatto e stan facendo scempio. La chiamano la questione della collaborazione, ma ognuno intende che questa è la questione dell'opposizione al fascismo. E' la questione che è lì, imminente, tutte le volte che codesti liberali si adunano: al congresso di Bologna si chiamò "la questione del nome": "partito liberale o partito liberale-democratico?"; ma, sotto, ci era quell'altro dilemma: "filofascismo o antifascismo?"; e al Consiglio di Milano, recentissimamente, il pretesto era un altro: "gruppo unico o perno a destra?", ma, sotto, la questione urgente, assillante, esasperante era ancora e sempre quella: "collaborazione od opposizione?". E anche Luigi Albertini, uno dei pochi liberali che rimangano nel liberalismo italiano, quando ribatte sul suo chiodo: "fissiamo il programma, puntiamo sulla libertà doganale", anche lui dice "programma, liberismo, dogane", ma anche lui intende "antifascismo"; perché egli intende benissimo che, come alla pietra di paragone della libertà scolastica si sono saggiati nella democrazia i massoni e i non massoni, così sulla questione della libertà doganale si scinderanno, più che i liberali dai conservatori, i liberali dai nazional-fascisti. E se questo è il travaglio del ponzamento del partito liberale, perché non si abbandonano le etichette, i pretesti, i giri di parole e gli eufemismi, perché non si pone chiaro nudo crudo il problema, non del nome, o del gruppo, ma dell’opposizione al nazional-fascismo stroncatore della libertà? Molto tempo prezioso si è perduto, ma il momento buono non è ancora passato; certo bisogna sbrigarsi, bisogna decidersi, bisogna far altro che presentar piati a Mussolini per le sgarberie dei fascisti novaresi; e sopratutto bisogna più pensare alla libertà e al liberalismo e meno alle elezioni, alle commende, alle "posizioni". Il momento è buono, e a dimostrare chiara e lampante la verità di quel che veniamo dicendo vi è, fresco, fresco, l'esempio del Partito Popolare. A Torino, allo Scribe, in platea, io so che dei liberali ce n'erano ad assistere: avranno sentito là, in sé e attorno a sé, che forza abbia ora in Italia e che ripercussione l'idea della opposizione "costituzionale", "liberale" al governo fascista; sappiano intendere la lezione e la mettano a profitto. Il P. P. I. la opposizione non la può fare: con tutta la buona volontà di D. Sturzo e di Donati, il P. P. I. è legato, pena la morte, alla collaborazione, perché la sua opposizione a oltranza vorrebbe dire, o prima o poi, reazione anticlericale. Il partito liberale italiano non ha di queste paure; il partito liberale italiano, come partito, è nuovo, è giovane, con l'opposizione non ha nulla da perdere, con l'intransigenza ha tutto da guadagnare. I liberali si decidano. Per non essersi decisi a ottobre, quando pure alcuni di essi la decisione la volevano, han visto che razza di pasticcio ne è venuto fuori: una seconda indecisione ora, la non creazione di una opposizione costituzionale, vorrebbe dire spingere i veri liberali italiani, parte nelle "Cappe nere", parte nel socialismo, e parte... nell'Accademia o nell'Arcadia. 13 maggio 1923. AUGUSTO MONTI.
POSTILLA
Opposizione non congiure: se il problema fosse di metodo e di forma, potremmo lasciare il motto come nostro simbolo. Ma il vero problema viene quando si tratti di dare un contenuto al metodo, di definire l'opposizione. Il partito liberale non sarà il partito di opposizione. Il partito liberale ha le sue clientele e i suoi privilegi da difendere. Si muove, si agita, discute per collaborare. La voce di Albertini risuona senza eco. La Stampa non può parlare di partito liberale del lavoro quando le organizzazioni operaie sono stroncate. Perché sorga un'opposizione costituzionale bisogna che una costituzione vi sia. In Italia ritornare allo Statuto significherebbe soffocare e impedire la formazione dei partiti. Le parole di Monti suonano come un anacronismo, perché in Italia tutte le opposizioni hanno dovuto ignorare lo Statuto: anzi governo e Monarchia per primi noti sono stati costituzionali. Le chiarificazioni che abbiamo proposte altra volta al pensiero e alla tattica di un partito liberale non possono riferirsi (né sarebbero intesi) agli uomini del liberalismo che ebbe e ha vigore in Italia. Questi non hanno idee alle quali debbano conservarsi fedeli ed esauriranno le loro attitudini di politicanti nell'adesione al fascismo, che ha ereditato gli stessi sistemi arrivistici e confusionari. Questa è l'ispirazione nascosta in tutte le recenti mene della Direzione del Partito; la realtà mostrerà presto come il diverso giudizio di Monti e di Albertini si fondi su una illusione e su una speranza. Sembrò che il Partito potesse trovare la sua fisionomia (e sarebbe stato un partito conservatore) nell'antitesi Fascismo-Monarchia. Noi non accarezziamo queste illusioni statutarie. Comunque anche se Mussolini vorrà diventare imperatore non avremo una rivoluzione di princìpi. Il Presidente viene rivelando le sue più sconcertanti attitudini di attore e di tribuno nella conoscenza che ha, perfetta, dei costumi italiani plateali, e nella capacità di piegare i caratteri à liberali e socialdemocratici coi sistemi, rimessi a nuovo, degli ambasciatori di Giugurta. Egli ha imparato il trasformismo da Giolitti e ce ne da un'edizione romagnola, senza stile, dannunziano, in cui, al posto della diplomazia e di certa austerità piemontese, prevale il gesto dell'italiano. Comunque si svolgano in Italia le cose del regime e del fascismo, il tema più accentuato per il periodo presente sarà: Mussolini domatore e diseducatore, pronto a stroncare le opposizioni e a darci l'Italia pacificata della retorica piccolo-borghese guerraiola. Invocando la costituzione contro quest'uomo faremo il suo giuoco; lo fortificheremo nella sua popolarità teatrale: un Mussolini legalitario sarebbe purtroppo la palingenesi definitiva di questa nostra patria, stanca di lotta politica e di serietà, non desiderosa che di cortigianeria. Gli uomini del partito liberale oggi non aspirano che a proclamarlo il loro capo, a mercanteggiare il loro consenso alla sua forza sulla base di compensi personali. Perché Mussolini rimanga prigioniero di se stesso e del fascismo, perché sia costretto ad assumere le sue responsabilità (e a cadere con esse: altrimenti la situazione non verrà liquidata e dovremo cercare il prodittatore) non bisogna offrirgli né l'aiuto delle congiure romantiche e sterili né la garanzia di un'opposizione costituzionale. E questi discorsi sono troppo vaghi e programmatici: il nostro compito è di restar ad elaborare le nostre idee e le nostre antitesi; le forme dell'opposizione liberale le discuteremo quando interverrà l'elemento risolutore e maturo della situazione, quando il movimento operaio, superata la crisi della disoccupazione si schiererà per la battaglia, armato della sua intransigenza e della sua forza irresistibile. P. G.
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