POSTILLE
Dichiarazione d'amorePartire... obliare... sognare forse? Questo è il monologo che non sarò solo, credo, ad aver mormorato più d'una volta, rivolgendo l'animo con nostalgia profonda ai lontani e favolosi lidi d'un paradiso perduto, e per un istante ritrovato nella fantasia - o addirittura sulla carta geografica, il più bel canovaccio da sogni che l'ingegno umano ci abbia donato. Partire. Lasciare questa vecchia Europa impastata di morte e di sangue, dove ogni monte, ogni fiume, ogni pietra e carica di ricordi d'odio. I nazionalismi esasperati ci lacerano, la politica ci avvelena, ci soffoca, ci brucia. Sento dire che è grande, che è invidiabile sorte questa che ci è toccata, di confondere la fiammella della nostra vita a codesta gran fiamma, a codesta fornace, che è supremamente bello "vivere ardendo e non sentire il male". E sarà. Ma lascio ad altri tali eroici furori: io, poverino, non mi sento di tempra siffatta. Partire, obliare. Cercare sotto altri cieli il nuovo Ilisso. Farci liberi coloni oltremare, nelle aperte pianure senza vestigia archeologiche, senza memorie illustri, in terre le quali altra storia non hanno che la storia naturale, dove i confini ci sono ma non si indovinano, noti soltanto ai lontani, che li hanno segnati su un parallelo o su un meridiano senza esserci mai stati, confini custoditi dagli animali selvatici, dalle foreste e dalle steppe inviolate. Circondarci di sani figlioli che non andranno all’Università e non porteranno coltelli inamidati, che non dipenderanno dal telefono né dalla ferrovia... ***
Ma tutto ciò non è vero: è ancora un detrito di letteratura che fermenta decomponendosi in fondo al nostro cuore pieno di sentimenti e di velleità d'accatto. In verità, se potessimo per un momento diventare, corpo ed anima, abitanti del pianeta Marte, potremmo certo osservare le faccende del nostro vecchio mondo con lo stesso interesse divertito col quale qui in terra osserviamo le guerre delle formiche. Anzi, ne trarremo forse un argomento a riprova della sapienza divina: creature così piccoline e sanno farsi tanto male! Ma già i non remotissimi Americani, che guardano un po’ le cose nostre (a meno che si tratti di accaparrarsi petrolio o di riscuotere dollari) con occhio d'abitanti di Marte, ci dànno un tantino di nausea... Chi si sente di fare sul serio l'Americano? Noi siamo, povere creature, come i gatti, che soltanto da piccini si possono far cambiare di casa: dopo è troppo tardi, e, se non scappano perdutamente, vagano sconsolati nella nuova dimora, con miagolii tristi e paurosi. Non impunemente noi abbiamo sorbito il veleno della intensa e complicata vita civile; insensibilmente abbiamo preso non so che contagio dal contatto delle vecchie mura intrise e patinate di storia nostra - dàlli all'untrice! - Ormai questa essenza ci si è distillata dentro, e in poche bocce di sangue sono i semi di millenni di civiltà che neppure conosciamo, ma che operano in noi silenziosamente, continuamente, ineluttabilmente. Siamo incatenati a questi luoghi, non possiamo respirare altra aria che questa, noialtri cocainomani della civiltà, della cultura e della politica! Non possiamo strapparci da questo vecchio suolo. Conoscete forse una canzone più disperatamente napoletana di questa? "Me voio scurdà 'o cielo, tutt'e canzone e 'o mare, me voio scurdà Napule..." A colui medesimo che la canta, essa dice: "Ci sei nato, e sei napoletano per la vita!". Chi bestemmia, rende omaggio a Dio. Siamo segnati per la vita dal marchio europeo, abbeverati di questa atmosfera, e la nostra stessa imprecazione è un segno supremo d'amore, è un grido, fatto ròco e stridente dalla violenza della passione, di questo amore infiltrato nelle ossa, nella carne, nel sangue. Non è razionale? Non è limpido? non è classicamente composto? e perciò non sarebbe veramente umano? Ma, da quando Nietzsche distrusse la leggenda della olimpica serenità ellenica, credete voi ancora alla umanità sinonimo di equilibrio, di misura, di riposante curitmia? No, no. E' torbido, è confuso, è tirannico amore, e perciò verissimo, umanissimo amore. La volontà è impotente a troncare questo legame. Legame immediato, recondito, invisibile, fatto d'amaro e di dolce, di disgusto e di desiderio, di ribellione e d'abbandono, profondo e opaco come una forza della natura, che c'è e ti s'impone prima che tu abbia nemmeno tentato di renderti ragione dell'esser suo. Verranno poi i razionalisti a sistemare tutto ciò in ben ordinate catene dì deduzioni. Per queste costruzioni e giustificazioni c'è sempre tempo: le Danaidi della ragione ragionante hanno qui il loro compito non ignobile, di motivare tappa per tappa l'accettazione della vita e renderla omogenea, digeribile, trasparente, accettabile senza umiliazione della nostra coscienza orgogliosa e insaziabile. Io dichiaro la guerra – diceva Napoleone. – Penseranno poi i miei legali a trovarne le ragioni giuridiche. Napoleone era la vita, i giuristi erano la scienza. O piuttosto Napoleone era una scienza superiore ed ironica, che conosceva bene la scienza stessa e i suoi ministri. ***
Dunque niente addio, vecchia Europa, vecchia terra maledetta ed amata. Tutt'al più, chi più dispera partirà per dare un nuovo cielo ai suoi figli o appena ai figli dei figli. Ma nessuno di noi potrà, lontano, esser altro che un profugo pieno di oscuro rimorso e d'inconfessato terrore. Odi et amo. Questo sentimento profondo e contraddittorio mi dice che sono davvero europeo e, ahimè, figlio del secolo. LUIGI EMERY
Gli IngegneriBisogna sapersi rallegrare delle cose in apparenza più ostiche. Gli studenti d'ingegneria ormai lo sanno; laureati a pieni voti, il meglio che gli possa capitare è di farsi commessi viaggiatori di articoli di mode, o commercianti di liquori, o rappresentanti e piazzisti per qualche nuova invenzione. Si potrebbe osservare che molti non meritano di più, se ci s'erano iscritti per assicurarsi il posto in batteria invece che in trincea; ma poi, a guardar bene, si vede che è proprio una fortuna. Era gente sicura del fatto suo, perché "tecnica"; teneva in pugno, con la manuale scienza del Hütte, il cuore della civiltà presente e le radici del tempo avvenire, la vita si faceva per loro limpida e schietta, come un campo saturo di beni riposti da far fruttare suscitando le latenti energie; il ritmo della loro azione era magico: di ogni cosa essi avevano il segreto e la padronanza, attonita restando la povera gente irreale, che altrove aveva messo le speranze ed i sogni. Il successo confermava quasi punto per punto tale loro prospettiva; s'era mediocre, era colpa dell’incomprensione e degli altrui ritardi, dei mezzi insufficienti, dell'opinione restia: tutti retrogradi mali a loro estranei che si sarebbero fugati propagando la scienza, a furia di luci fredde e di raggi Röntgen. Non Avenarius, Mach e Poincaré: ma l'ostilità alla loro professione, l’impossibilità della carriera e l'indifferente negazione dei loro propositi impone una revisione del valore di quella scienza cui s'erano, con cieca praticità, affidati. Non una teoria dell'idealismo, ma il crollo di quella realtà esterna che s'erano foggiata quale gentilmente complice materia delle loro imprese fruttuose, il mutarsi nel loro confronto d'un mondo che doveva esser fisso e inalterabile nelle leggi li convinse d'una realtà più profonda che devono conquistare in sé pezzo per pezzo, ribelle alle formule, imprevedibile e proterva. E’ finito il tempo della leggiadra alchimia; nel segreto dell'algebra non stanno più in potenza i tesori. Quando tutti gl' ingegneri si saranno ammuffiti a tirar le somme su i registri, o si saranno impuzzoliti nei magazzini tra i barili di sardelle e di grappa, a vincere l’odiosa stanchezza saranno forse finalmente capaci d'amare, gioventù sotterrata, la loro antica scienza. U.M. di L.
Regime plebiscitarioC'è in Italia, oggi, una situazione paradossale. E si può esprimere in questa formula: che noi, sostenitori del suffragio universale, della proporzionale, del governo di maggioranza, difendiamo - coscientemente od incoscientemente - i sistemi meno plebei e più aulici di governo: e che il Presidente del Consiglio, i suoi collaboratori, i suoi giornalisti, tutti assertori delle élites e dell'avvento di una nuova aristocrazia, vanno cercando indefessamente 1'applauso della folla, la popolarità a qualunque costo, e dimostrano di tenerne conto come di una preziosissima consacrazione. GIOVANNI ANSALDO
|