LETTURE

    Sindacalismo nazionale

    MARIO VIANA - Sindacalismo - Laterza 1923

    Benché il Viana dichiari in principio del suo libro che egli vuole offrire una esposizione serena ed imparziale de la storia, de la dottrina, de la pratica dei singoli movimenti, si lascia poi prendere al fascino del sindacalismo nazionale.


    L'errore iniziale di questo libro sta ne 1'inesatta valutazione de le corporazioni medievali.

    Il corporativismo medievale si differenzia profondamente, ne la forma come ne la sostanza, dalle organizzazioni sindacali odierne. Il corporativismo medievale integrava, anzi sostituiva persino lo Stato, perché lo Stato era, il più de le volte, debole, incapace ad imporre i suoi diritti a tutti i cittadini; onde la necessità di organi che avessero funzioni di imperio, che esercitassero l'amministrazione de la giustizia, ecc., là dove non arrivava la forza de lo Stato.

    Ma l'organizzazione sindacale odierna poggia le sue basi e la sua ragion d'essere su due fattori sociali creati da la Rivoluzione economica de 1'800, che non esistevano per niente nel Medio Evo. E questi fattori, hanno dato un'impronta caratteristica a l'epoca contemporanea; con la trasformazione economica che seguì la Rivoluzione francese la società nostra ha assunto una forma industriale-capitalistica. Insieme a ciò bisogna tener conto de l'intervento de la macchina come fattore de la produzione.

    Da questi fatti essenziali sorge la necessità di organi adatti a le nuove esigenze de la vita sociale; su questi due fatti germina il sindacalismo.

    L'individuo ne l'offerta di lavoro viene ad essere isolato di fronte a l'imprenditore, onde la necessità di aggregati professionali, per soccorrere gli individui nei contratti di lavoro.

    Ed il sindacalismo diventa così uno dei più vasti, più complessi ed appassionanti problemi sociali.

    Il sindacato, nel flusso e ne l'oscillare de la domanda e de l'offerta del lavoro, sul libero mercato, ha una funzione importantissima: permettere agli operai una libera discussione de l'offerta di lavoro, in una libera contrattazione. Il sindacato deve difendere gli interessi professionali del proletariato, contro il patronato. Così concepito bisogna riconoscere che esso è e resta sempre un organo di lotta, di collisione di interessi; così concepito conduce inevitabilmente a lo sciopero, giacché "lo sciopero non è una teoria, non è un'idea: è un fatto che non si sopprime altro che sopprimendo le cause che lo determinano"; ma sciopero economico, limitato tra due gruppi in conflitto di interessi, non sciopero generale e tanto meno politico.





    Il mondo traversa un periodo di crisi intensa e di profonde trasformazioni sociali; ed è solo attraverso un sindacato libero che le masse possono tendere ad una migliore regolarizzazione dei contratti di lavoro.

    Non è un movimento antistatale quello che noi sosteniamo, ma un movimento unicamente economico.

    Il sindacato libero può e deve sussistere; esso svolgerà un'opera magnifica ed innegabile di valorizzazione sociale. Lo Stato deve restare osservatore estraneo, pronto ad intervenire nel conflitto solo quando occorra frenare le nocive e pericolose esuberanze di individui e di gruppi; solo quando il sindacato diventa organo politico e distrugge la libertà di lavoro.

    La crisi che travaglia la società attuale ha svisata la esatta valutazione dei fenomeni sociali; dovunque spirito di insofferenza e di insubordinazione, distrazione di disciplina, negazione de l'autorità, tentata demolizione di istituti vitalissimi, arbitrio e violenza.

    Ora la legalità minaccia di essere sommersa; lo Stato appalesa la sua incapacità a portare la nota unificatrice ne le multiformi manifestazioni de la vita odierna.

    Così è spiegabile l'antitesi profonda che da taluni si è vista tra Stato e Sindacato; come il tentativo di ricostituzione sindacale de lo Stato, sostenuto dai propugnatori del Sindacalismo Nazionale, tra i quali va annoverato il Viana.

    Da una parte si preconizza il Sindacato, "Stato ne 1o Stato", che deve svuotare progressivamente lo Stato de le sue funzioni vitali e travasarle in, sé; da l'altra lo Stato sindacale, o lo Stato dei Sindacati, o lo Stato quale punto di sbocco e di approdo del Sindacalismo.

    Da queste due diverse premesse discendono due diverse conseguenze:

    L'una che il sindacato è contro lo Stato; l'altra che "il sindacato... deve contenere la sua azione collettiva ed organica dentro la disciplina nazionale movendosi nell'ambito dello Stato e di questo diventare lo strumento direttivo e non focolaio di rivolta intento a dissolvere ogni energia economica e sociale".

    La riorganizzazione sindacale de lo Stato ci condurrebbe in epoche sorpassate; la unità politica operata in secoli continui di lotta soffrirebbe di nuovo un processo disgregativo.





    A me pare che in tal modo l'originaria funzione del sindacato sia snaturata; nel sindacato, ripeto, io vedo ancora e sovra tutto, un organo di lotta, lotta exstrastatale, lotta che non deve toccare le basi essenziali de lo Stato ma che deve localizzarsi sul libero mercato, tra imprenditori e salariati.

    Sindacati liberi, concorrenti, organi efficaci di progresso tecnico e di incremento de la produzione.

    Per ciò non Stato sindacale, ma (mi sia qui permesso adoperare una frase che, pur avendo un sapore parodistico, riesce molto efficace) "liberi sindacati" in "libero Stato".

    Lo Stato deve rimanere estraneo a le competizioni sindacali.

    Come la Chiesa il "maggiore fenomeno oggi vigente di sindacalismo", vive di una vita tutta propria, senza venire a conflitto con lo Stato, così il Sindacato deve e può vivere libero, quando si limiti a portare la sua bisogna sul mercato, senza che lo Stato intervenga a snaturarne od intralciarne il cammino, ove esso ripeto, sia diretto a la migliore regolarizzazione dei contratti di lavoro, a l'incremento de la produzione, ed a creare operai appassionati de la produzione.

CARLO ALVINO.