POSTILLE
LA GUERRA E LE DEMOCRAZIESi discute sui meriti e sui demeriti della democrazia e della dittatura. Già Lloyd George ha osservato che nella grande guerra hanno vinto le nazioni a regime democratico e perduto quelle rette con una forma di governo più o meno autocratica. E anche in Italia si oppone alle accuse dei fascisti contro la debolezza dei governi democratici precedenti al nuovo regime, il fatto che sotto il regime antico l'Italia ha potuto superare la prova tremenda e decisiva della guerra. Dopo la vittoria però abbiamo assistito a un curioso fenomeno di rovesciamento. Nelle nazioni sconfitte gl'imperi sono crollati e sono stati sostituiti dalle forme di governo più democraticamente perfette (repubblica, suffragio universale diretto, rappresentanza proporzionale). Invece nei paesi vincitori (a parte l'Inghilterra che per ragioni storiche e geografiche meno subisce l'influenza di mutamenti del continente) si nota il sopravvento, almeno temporaneo, delle idee e delle forme antidemocratiche. La conclusione che si può ricavare dall'osservazione di questo fenomeno parrebbe abbastanza semplice e facile. La democrazia è la forma di governo delle nazioni deboli, imbelli e pacifiste, o per natura, o per temporanee contingenze; invece la dittatura, il governo antidemocratico sono la forma naturale di governo delle nazioni forti e vittoriose. Ma quella conclusione ha probabilmente solo l'apparenza della verità. Come la Germania imperiale di Guglielmo II ha rivelato alla fine sotto la sua imponente armatura di ferro la sua intima debolezza, così non è la maniera forte, né la ricchezza di armamento che conducono di per sé alla vittoria. Non ha la vittoria definitiva chi è meglio attrezzato per la guerra, chi è persuaso dalla propria pretesa superiorità sull'avversario e del conseguente diritto di sottometterlo, chi ha insomma la mentalità militaristica e imperialista, connessa con le forme di governo autocratiche: vince invece la nazione che sa valutare i rischi e la gravità della guerra e non vi si getta a cuor leggero, perché sa che essa stessa ne deve sostenere il terribile peso e ne deve sopportare le conseguenze; ma quando l'ha intrapresa, sa pure che difende non gl'intessessi di una dinastia o di una casta, ma il suo proprio avvenire, la sua propria vita. E perché la nazione possa avere questa coscienza, è necessario che essa si senta padrona dei propri destini, che il suo governo sia quello che essa stessa si è scelto, e non una cosa staccata, lontana da lei: è necessario, insomma, che la nazione sia retta a regime democratico. OBSERVER.
IL MONUMENTO NECESSARIOIn che propriamente consista la riforma Gentile non saprei dire; del resto non mi interessa. Mi basta considerare il filosofo dell'Atto Puro sotto forma di mito per facilmente intendere dove miri la sua botta che vorrebb'essere, sembra, palingenetica. E allora lo sbigottimento della classe insegnante, il quale d'altronde è affatto giustificabile, mi darebbe ragione di intimo diletto. Un villaggio di Zulù che ha accolto come il Messia il conquistatone bianco s'immagini di quale spavento sarà pervaso quando l'ordine venga emanato inderogabile di assumere, pena la vita, usi costumi e abitudini dei nuovi dominatori entro 15 giorni; e rinnegare, s'intende, i primitivi amuleti e i barbari riti. Si calmino signori maestri, signori professori! Gli Zulù sulle prime tentano lo sciopero bianco, ma la nativa astuzia li fa tosto persuasi che un metodo conciliativo esiste, meno pericoloso; intendono, cioè, che i nuovi riti non richiedono come ogni rito del resto, che un'adesione meccanica. Il ritmo solo è mutato. Prima eran tre quarti di tempo, il valzer; ora è il foxtrot, due quarti. Ma il tono è pur sempre lo stesso; l'elmo è pur sempre di Scipio. Anche ai feticci si cambia solo la foggia, il nome. Basta un po' di vernice e Silvio Pellico ti diventa, che so io? Cesare Battisti... Ma, queste, malgrado l'evidenza, non sono che anticipazioni campate in aria. Quel che oggi conta per la singolarità della coincidenza con quest'alba d'anno scolastico, nuvolosa di dubbi e d'incertezza, è l'inaugurazione del monumento al Cuore, bianco e animato blocco, girante sulla terra tra le verdure ordinate dell'aiuola pubblica. Ara propiziatrice ai nuovi numi? Oh! tutti vi han fraternamente palpitato d'attorno, uomini d'ieri, uomini d'oggi! Mancava all'Italia questo monumento esteriore, artistico, come si dice. (Quell'altro enorme di file di carta stampata Casa Treves sa pur quel che valga...). Ogni bimbo adesso, ogni bimbo italiano, ogni Balilla potrà riconoscersi nella famigliar frotta che in ritmo di balletto bistofiano si snoda per il marmo, pensosa già dei futuri destini della patria. E allo spettacolo di tanto diffuso civismo, fremerà nella tomba. Quegli che ne fu il propugnatore, il gran Sacerdote. Noi siamo un grande popolo, una grande nazione: tutto fremiti, tutto palpiti, entusiasta. Tutto cuore. C'è gente di buon sangue tra di noi: sangue romagnolo. G.A.
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