POSTILLE
Nemmeno la SpagnaNemmeno la Spagna cattolicissima é pronta a dar consolazione al cuore angosciato del Pontefice. Il Re Alfonso è venuto e s'è prostrato; ma nell'atto d'omaggio non ha voluto che si sentisse pesare neppure un'oncia d'umiltà; nella lunga e infiammata allocuzione ha cercato che non ci fosse neanche l'eco delle parole di pace che tante volte, dal 1914 in qua, son state ripetute al mondo dall'alto della Santa Sede. Nella bocca del suo Re la Spagna non é una nazione fedele che si sente parte della Cattolicità e accetta e invoca a suo ammaestramento la parola del Vicario sacro; ma quella che dei miracoli della Vergine e degli spasimi delle Sante crea il fastigio delle sue glorie, e aspira a nuove Crociate per la non mai sazia sete dei terrestri onori... Lasciamo andare che quando i più recenti fasti d'arme son come quelli del Marocco ci vuol tutta l'incoscienza di un Re cavaliere per parlar di glorie militari. Ma in tutta l'aspra e corrusca lirica del discorso reale, che é un bello squarcio, s'incastrano certe richieste precise che han quasi il senso d'intimazioni. Anche gli hidalghi mirano al sodo. "Faccio appello a Vostra Santità perché con le Sue esortazioni di indiscussa autorità e sempre venerata dai cattolici di Spagna, si raggiunga, salvando i limiti del legittimo amore di ciascuno alla sua propria regione, il bene comune di tutte, fuse nella suprema unità della madre Spagna". "Né posso omettere di dirVi con quale sentimento di orgoglio io sarei fiero di poterVi dimostrare la mia gratitudine quando la Santa Sede, nei contrasti dei diversi interessi fra le Nazioni, dimostrasse la predilezione che Essa sente per il popolo Spagnuolo". E ancora (ma che cosa si direbbe negli Stati Uniti se Re Giorgio s'immischiasse nelle loro faccende?) "Come preghiera nella quale io pongo tutto il mio cuore e credo di raccogliere anche i desideri di tutta la razza, ardisco impetrare da Vostra Santità che il mondo Americano, il quale forma quasi una certa (?) parte dei cattolici dell'Orbe, abbia una rappresentanza più numerosa nel Sacro Collegio". Ecco che cosa si fa la religione nella passione dei potenti, o dei presuntuosi di potenza: arnese d'imperialismo, "instrumentum regni". Le parole della risposta del Pontefice son dolcissime e pur nella commozione luccica una pacata ironia. Al Re mondano che, come narrano i giornali, ama, delle belle attrici, le belle braccia; alla Nazione che vive nel sogno, e sogna che ne' suoi dominii non tramonta mai il sole, dicendo con quanta cordialità e con quanto ardore bramerebbe di vederli "possibilmente contentati", rammenta che é "cosa estremamente difficile quaggiù". All'evocatore di eccidi e di stermini, al popolo fanatico che spediva regicidi a Guglielmo il Taciturno "estando firmes con el exemplo de nuestro Salvador Jesu Christo y de sus Santos", oppone: "E se vi sono anche laggiù poveri e pur sempre cari, figli nostri, che non vogliono accostarsi al Cuore Divino, dite loro che non per questo noi li escludiamo dalle nostre preghiere e dalle nostre benedizioni, ma che proprio per questo rivolgiamo a loro con più vivo sentimento di paterna pietà il pensiero e l'affetto nostro, come alle pecorelle lontane li rivolgeva il Pastore Divino, sospirando l'unità dell'ovile". Con questo tono, di fronte a qualunque insidia astuta o rabbiosa, la Chiesa trionfa. Se si seguita di questo passo, via via che a popoli interi si raccoglieranno su i gradini del Soglio, i restituiti fedeli minacciano di far spuntare giorni ben amari; rivendicando ognuno le sue benemerenze come fonti di sopruso e cercando di trarre a' suoi interessi la suprema autorità Cattolica. La sicurezza umana del Papato si appoggia solamente sul contegno dei nemici più ingenui; non é forse lontano il giorno in cui il Papa, per imporre certe forme di ritegno ai troppo potenti e accaparranti amici, troverà aiuto in una galvanizzata e pugnace Massoneria. U. M. di L.
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