LA RIFORMA DELLA BUROCRAZIA

    Da quando abbiamo cominciato a leggere i giornali per la prima volta ed a seguire la politica, almeno come spettatori, abbiamo sempre sentito parlare della necessità della riforma della burocrazia.

    In teoria tutti sono sempre stati d'accordo, e forse su nessun argomento si potrebbe compilare una più completa raccolta di luoghi comuni. La riforma doveva tendere a "snellire", a "sveltire" l'organismo burocratico (come se si potesse snellire, per esempio, un ippopotamo); gl'impiegati dovevano essere pochi e ben retribuiti; sopprimendo controlli inutili e inefficaci, semplificando i servizi, si sarebbero potuti diminuire gl'impiegati, troppo numerosi, e con le economie così ottenute, concedere stipendi sufficienti ai rimasti per condurre una vita decorosa. Inoltre gl'impiegati dovevano godere di una certa autonomia ed essere responsabili dei loro atti.

    Questi saggi ed ovvii principi erano finora rimasti sulla carta, e quando si veniva all'attuazione della cosiddetta riforma burocratica, tutto si riduceva a un cambiamento degli organici degl'impiegati, con relativo aumento della spesa, e la macchina continuava a funzionare con gli stessi organi e gli stessi attriti di prima.

L'applicazione del criterio: "pochi e ben retribuiti"

    Ora però è stato pubblicato l'atteso Decreto 11 novembre 1923, N. 2395 che riguarda tutte le amministrazioni dello Stato.

    Si ingannerebbe chi credesse che questo decreto, il quale occupa con gli allegati 127 grandi pagine, rappresenti l'attuazione della invocata riforma dell'amministrazione. Esso riguarda unicamente l'"ordinamento gerarchico delle amministrazioni dello Stato", cioè costituisce un nuovo e vasto tentativo di sistemare definitivamente la posizione degl'impiegati, fissandone gli organici e gli stipendi.

    La relazione che precede il decreto riconosce che il provvedimento "risolve soltanto una parte del problema dell'organizzazione degli uffici dello Stato" E aggiunge: "Esso dovrà essere integrato da successivi provvedimenti relativi alla organizzazione tecnica di detti uffici e fondati su una analisi concreta degli attuali metodi di lavoro. Quindi gli organici proposti dalle varie Amministrazioni devono considerarsi come organici relativi alla organizzazione attuale e suscettibili di riduzione".

    Questa riduzione dovrebbe essere fatta, secondo il decreto, nella misura del 5% nel numero dei posti entro il 30 giugno 1925 e di un altro 5% entro il triennio successivo.





    Per ora, non tenendo conto del personale degli ufficiali e dei sottufficiali, i nuovi organici del personale civile, fissati in 110.447 posti, presentano una differenza in meno di 5.054 posti in confronto al personale in servizio alla data del decreto e una differenza in più di 6.804 posti in confronto degli organici 1914. E siccome la riduzione del 5% sul numero dei posti entro il 30 giugno 1925 e di un altro 5% nel triennio successivo é una cosa rimandata al futuro e che si può aspettare a giudicare quando sarà stata effettuata, possiamo dire che, tenuto conto dell'aumento della popolazione dal 1914 al 1923, (calcolato su circa 3 milioni, escluse le Provincie annesse), il rapporto fra il numero degl'impiegati stabilito coi nuovi organici e la popolazione del Regno non presenta sensibile variazione in confronto alla situazione del 1914. Infatti il rapporto é in entrambi i casi, fra 28 e 29 per 10.000 abitanti. Per questo riguardo, dunque, si può dire che se gli impiegati erano giudicati troppi nel 1914, sono proporzionalmente troppi anche nel 1923 (senza tener conto dell'eccedenza del personale attualmente in servizio in confronto ai nuovi organici).

    Circa la retribuzione, alcune classi, e particolarmente i magistrati e i professori universitari, hanno avuto un trattamento decoroso, ma i gradi inferiori, e specialmente gli infimi non avranno diminuzione nella retribuzione, soltanto perché una disposizione del decreto stabilisce che diminuzione non ci possa essere per il personale già in servizio, altrimenti il trattamento loro fatto dal nuovo decreto sarebbe inferiore a quello di cui godevano (o soffrivano) precedentemente.

    La formula "pochi e ben retribuiti" ripetuta anche recentemente dall'on. Mussolini, ha avuto la seguente applicazione: Molti (se è vero che erano molti nel 1914), dei quali alcuni pochi ben retribuiti, altri in condizioni poco diverse da prima e molti retribuiti peggio di prima.

Ruoli aperti e ruoli chiusi

    Nel nuovo ordinamento gerarchico due caratteristiche sono specialmente da porre in rilievo: l'abolizione dei ruoli aperti e l'equiparazione dei gradi degli impiegati a quelli dell'esercito.

    Riguardo al primo punto, la relazione del decreto modestamente così si esprime: "L'ordinamento adottato accoppia i pregi del sistema dei ruoli chiusi in vigore fin dal 1919 a quello dei ruoli aperti che gli succedette ed evita i difetti relativi a ciascuno di essi". Se effettivamente questo risultato fosse stato raggiunto, ci sarebbe da stupirsi che tante dispute e tanti provvedimenti diversi si siano avuti in passato, quando così semplice era la via per assommare i pregi ed eliminare i difetti dell'uno e dell'altro sistema.





    Per chi é profano ai misteri della scienza degli organici burocratici, diremo brevemente che il sistema dei ruoli chiusi consiste nello stabilire per ogni grado della carriera un numero fisso di posti, al quale non si può accedere da gradi inferiori, se non vi siano posti vacanti (per morte, collocamento a riposo ed altre cause): invece il sistema dei ruoli aperti consiste nello stabilire lo stipendio di base per ogni grado, i periodi fissi e l'importo di ogni aumento successivo di stipendio nello stesso grado, indipendentemente dal numero dei posti, che non è fisso.

    La relazione al decreto così espone gli inconvenienti dei due sistemi: "Il sistema dei ruoli chiusi aveva dato luogo ad inconvenienti sopratutto perché si adattavano con notevole frequenza variazioni agli organici, ora in una, ora in altra Amministrazione. Mancava al personale la possibilità di ottenete miglioramenti periodici di stipendio, all'infuori dei limitati aumenti sessennali, e il conseguimento di stipendi più elevati dipendeva perciò essenzialmente dalla disponibilità di posti nelle classi e nei gradi successivi. Quando la vicenda delle carriere per effetto delle normali cessazioni del servizio, non determinava le vacanze necessarie per gli avanzamenti, si provvedeva, per soddisfare le richieste del personale, a modificazioni di organici, anche indipendentemente dalle reali necessità del servizio.

    "Il sistema dei ruoli aperti che parve efficace rimedio a questi inconvenienti consentì al personale di conseguire, senza passaggio di grado, aumenti periodici a scadenze determinate, e perfino di oltrepassare, con gli aumenti stessi, lo stipendio minimo del grado superiore. Inoltre, con detto sistema, per dare agli aumenti il maggiore possibile sviluppo, la scala gerarchica fu ridotta a un numero ristrettissimo di gradi. Si palesarono subito gli inconvenienti di siffatto ordinamento. La soppressione dei gradi e la possibilità di una lunga serie di aumenti, dipendenti, in fatto, unicamente dalla anzianità, tolse al personale ogni stimolo a distinguersi nell'adempimento del proprio dovere. La carriera, intesa come avanzamento di grado, venne quasi completamente a mancare, considerata la proporzione necessariamente limitata dei gradi direttivi rispetto a quelli inferiori. Da un lato la demoralizzazione del personale fu grande e dall'altro la possibilità da parte dell'Amministrazione di operare nel personale le giuste e necessarie selezioni fu di molto ridotta. Nell'insieme la condizione di funzionamento dei servizi ne risultò aggravata".

    Il sistema adottato dal nuovo decreto consiste nel fissare il numero dei posti per ogni grado, in modo che non si possa accedere al grado superiore se non vi sono disponibilità (ruoli chiusi); ma nello stabilire, per ogni grado, aumenti di stipendio fisso dopo determinati periodi (ruoli aperti).





    Il sistema è apprezzabile come tentativo; ma non elimina gl'inconvenienti principali dei ruoli chiusi, perché il personale continuerà, come nei ruoli chiusi, a sperare nella morte dei più avanzati in grado per occupare il loro posto e premerà per ottenere modificazioni di organico atte ad accelerare la carriera, e va perduto il principale vantaggio dei ruoli aperti, che è quello di consentire, anche agli impiegati non atti alle funzioni direttive, (che sono la gran massa), aumenti di stipendio convenienti, indipendentemente dall'ascensione ai gradi superiori.

La perequazione degli stipendi

    Veniamo ad esaminare la seconda caratteristica del decreto. A proposito di essa dice la relazione: "la caratteristica fondamentale, di cui non si può disconoscere la importanza, consiste nel fatto che gli stipendi non potranno essere più stabiliti separatamente per il personale di ciascuna Amministrazione, come sinora è avvenuto, con l'inevitabile conseguenza pratica di gravi ed ingiuste sperequazioni, ma sono determinati in unica misura per ciascun grado, senza la possibilità di provvedimenti che riguardino particolari categorie di personale.

    "Mai prima di ora si ebbe un provvedimento generale che regolasse in modo così completo il trattamento economico di tutto il personale civile e militare, dipendente dallo Stato".

    Si sarebbe insomma ottenuta finalmente la "perequazione" di tutte le carriere dei dipendenti dello Stato, civili e militari. Infatti altrove la relazione dice: "La perequazione delle probabilità di carriera tra impiegati addetti a servizi diversi si è ottenuta con sufficiente approssimazione".

    Una prima questione che si presenta è quella di stabilire se la perequazione fra carriere di addetti a servizi diversissimi, come il servizio militare, la scuola, la giustizia e l'amministrazione dello Stato, sia una cosa possibile e desiderabile.

    Se si dovesse considerare la burocrazia con gli stessi strumenti logici coi quali si misurano tutti gli organismi viventi di questo mondo, non pare dubbio che la risposta sarebbe negativa. Infatti, per sfiorare soltanto l'argomento, i gradi della gerarchia militare, ai quali quelli degli altri impiegati sono stati ragguagliati, hanno un'origine e una funzione che dipendono dalla costituzione speciale dell'esercito: c'è il capitano, perché esiste la compagnia, il colonnello perché è necessario che il reggimento abbia un capo, e così via. Quindi, se si prendesse per base il criterio, che non può essere accusato di mancanza di logica, di adattare gli ordinamenti gerarchici alle funzioni di ogni amministrazione, nulla parrebbe più assurdo della fissazione di un'unica tabella generale dei gradi gerarchici, ai quali non può corrispondere, nella maggior parte dei casi, una speciale funzione. E siccome gli errori di logica si scontano sempre, è già stato segnalato il pericolo che, in conseguenza della creazione di gradi superflui per le necessità dei servizi, venga a complicarsi e a essere rallentato anche maggiormente l'andamento delle funzioni amministrative. Se, come avviene nell'esercito, ognuno, che occupa un grado, si sentirà in diritto di comandare a tutti quelli che occupano i gradi inferiori, da un lato potrà derivarne la conseguenza di frazionare eccessivamente ed inutilmente le mansioni e le responsabilità, per dare a ogni capo il suo ramo o reparto di servizio, e dall'altro lato, ogni affare, nella sua trattazione, potrebbe venire a dover percorrere un numero di gradini ancora maggiore dell'attuale. Questi però sono dubbi e ipotesi che, per quanto ragionevoli, potrebbero anche, almeno in parte, essere dimostrati infondati dall'applicazione del nuovo ordinamento.





    E del resto, è doveroso riconoscere che, anche se essi avessero sicuro fondamento, non basterebbero per far condannare senz'altro il tentativo di regolare con un tipo unico gli ordinamenti dei diversi dipendenti dallo Stato.

    Forse soltanto chi fa parte della burocrazia può valutare quanto sia radicato negli impiegati il concetto della "perequazione", come aspirazione costante dei dipendenti di Stato trattati meno bene. Secondo la psicologia dell'impiegato, tutti coloro che sono entrati al servizio dello Stato con uno stesso titolo di studio, se non hanno demeriti, dopo uno stesso numero di anni, devono giungere a uno stesso stipendio. Se questo risultato fosse ottenuto col nuovo ordinamento, sarebbero in gran parte eliminate le cause fondamentali delle croniche agitazioni degli impiegati. E il merito del decreto sta principalmente nell'aver tenuto conto di questo elemento fondamentale della psicologia dell'impiegato. Anche se il tentativo dovesse fallire, forse meritava di essere fatto.

    Basta però fermarsi un solo istante sul problema, per comprendere quanto la soluzione ne sia ardua.

    Come si può paragonare il valore e l'importanza di un ufficiale con quella di un professore o di un magistrato? Con tutte le migliori intenzioni, è facile sbagliare, senza tener conto che per fini politici si può sopravvalutare una categoria, per esempio quella militare, specialmente in tempi di nazionalismo, in confronto alle altre. Ed è già stato accennato sui giornali che il decreto per la "perequazione" è cominciato con una sperequazione a favore del personale militare.





    Altri esempi si possono citare, per dimostrare che o a causa dell'impossibilità di raggiungere l'uguaglianza fra cose di natura diversa, o per imperizia o partigianeria dei compilatori delle tabelle di classificazione, il ragguaglio fra i diversi personali non corrisponde al valore attribuito ordinariamente alle diverse funzioni.

    Per citarne uno, di questi esempi, se si chiedesse a diverse persone, non interessate, come debba essere graduato il valore rispettivo di un professore, di un veterinario e di un cancelliere, credo che la risposta, unanime o quasi, metterebbe al primo o almeno al secondo posto il professore e all'ultimo il cancelliere. Invece, esaminando le tabelle, vediamo che i professori di ruolo A possono arrivare al massimo al gruppo 8° (corrispondente a maggiore) e quelli di ruolo B al grado 9° (corrispondente a capitano); mentre per i veterinari il 43% dei posti é assegnato ai gradi superiori all'8° e dei cancellieri circa il 10% giunge al 7° grado (tonente colonnello) e complessivamente il 22% dei posti è ripartito fra i gradi 8° e 6°.

    Perfino nei personali più facilmente assimilabili, come i ragionieri, si notano sensibili differenze di trattamento, essendo, per esempio, l'organico di quelli dipendenti dal Ministero dell'Interno molto meno favorevole di quello dei ragionieri dipendenti dal Ministero delle Finanze.

    Tali disparità, siano esse dovute a impossibilità di far cosa perfetta in materia così vasta e complessa, o ad errori degli ideatori delle tabelle, non potranno non generare malcontento nei danneggiati e il malcontento, se anche non si manifestasse subito, a causa dell'attuale regime, darà luogo in tempo, più o meno prossimo, ad agitazioni non dissimili dalle antiche; ed allora, o l'ordinamento decretato sarà mantenuto, e continueranno quindi le ingiustizie, cause delle antiche agitazioni che si volevano eliminare, oppure le tabelle saranno ritoccate, e allora verrà a mancare lo scopo principale del nuovo mastodontico ordinamento.

    Concludendo: il numero degl'impiegati continuerà a essere proporzionalmente eccessivo, come era nel 1914; la spesa avrà un sensibile aumento immediato, e saranno probabilmente dimostrati illusori i calcoli circa future economie che farebbero diminuire e perfino scomparire il maggior onere.

    I pieni poteri concessi al Governo per la riforma della burocrazia, anziché servire a "snellire" l'organismo burocratico, hanno avuto per risultato, anche a causa dell'incompetenza e della venerazione per la gerarchia professata dai nuovi governanti, di lasciar mano libera all'alta burocrazia, la quale se ne è servita per migliorare economicamente le proprie condizioni e per costruirsi al disotto una scala atta a porre maggiormente in rilievo i gradi supremi. Da questa enorme costruzione di gradi superflui, l'edificio è rimasto anche più appesantito, e se forse potrà guadagnare in compattezza e omogeneità, tanto maggiormente si consoliderà per la burocrazia il carattere di casta chiusa, non fusa con la vita della nazione, ma ad essa sovrapposta come un potere estraneo, "enorme e misterioso", come l'ha qualificato il capo del Governo, e, aggiungiamo noi, inceppante e oppressivo.

OBSERVER.