LA SITUAZIONE
ECONOMICA TEDESCA

    È difficile formulare un giudizio breve e completo, quale mi si chiede.

    I fenomeni economici sono, per loro natura, fenomeni complessi. E, in Germania, vi si aggiunge la complicazione di una crisi.

    Su tutto poi (ad opinione di chi scrive) una crisi di civiltà, estesa a tutto un tempo e tutto il mondo.

    Qui appresso si tenta appena uno schema.

    L'organismo produttivo tedesco é uscito dalla guerra sostanzialmente intatto. Poco o nulla é stato colpito nel suo impianto (la Germania non conobbe l'invasione); meno che mai nel suo metodo. Per noi un'industrializzazione forzata - prodottasi nel corso delle ostilità, pel tecnicismo della guerra - é stata motivo di profonde novità nella distribuzione della mano d'opera. Tali frette e travestimenti furono sconosciuti o quasi, in Germania.

    Una continuità nelle forme d'applicazione al lavoro, congiunta ad un abile e preesistente impianto produttivo, mantenne la Germania in tutto vigore (col concorso di altre cause) fino alla cessazione delle ostilità.

    La Germania non ha sofferto l'umiliazione di una sconfitta in campo; che può scuotere profondamente l'opinione propria di ciascun popolo, ed influire sul suo carattere anche economico.

    Nessuna influenza ebbe il parvente mutamento costituzionale (Repubblica invece dell'Impero). E' inutile soffermarsi sulla superficialità di quella trasformazione; che non corrispose ad alcun travaglio interiore.

    Certo, gravi diminuzioni subì la Germania, per effetto delle ostilità, nella sua ricchezza-capitale. Ma in ciò divise la sorte di tutti gli altri Stati in guerra, vinti e vincitori.





    Né la perdita delle colonie la mise in condizioni più sfavorevoli, almeno per il momento. L'impero coloniale tedesco era una novità, rimontante a qualche decennio; partita da sfruttare per il futuro, ma non ancora entrata attivamente nella sua vita economica.

    La perdita della flotta commerciale, infine, fu meno aspra e grave di quanto apparisse. Coincise infatti (per fermarsi ad un solo aspetto) con la crisi mondiale del tonnellaggio; che impoverì appunto i possessori di flotte.

    Questo, in un rapido e saltuario sommario; dal quale risulta che la Germania (malgrado la mole apparente della sconfitta) uscì relativamente intatta dalla guerra, in quello che oggi costituisce il centro d'un organismo economico: il congegno produttivo.

    Tutto questo fu sentito esattamente, con la precisa ed empirica valutazione economica, in Germania e fuori Germania. All'estero cominciò infatti l'acquisto di marchi su larga scala (attraverso il quale, per un fenomeno beffardo, gli alleati hanno rimesso quanto credettero imporre o ricavare dalla Germania); e ricominciarono le ordinazioni di merce tedesca, sovrana un tempo dei mercati.

    Il sistema produttivo tedesco, a sua volta, cominciò subito a funzionare e ad esportare.

    All'interno dunque, ed all'estero la Germania superò la guerra in un'efficiente e quasi immutata situazione di credito. La sua valuta divenne valuta di speculazione ottimista all'estero; la sua produzione venne subito ridomandata. A far desiderare questa produzione contribuiva (oltre alla tradizionale bontà del prodotto) il basso corso del marco, valuta da dumping.

    Dunque: la Germania riprese la sua vita economica sotto i migliori auspici, e - relativamente - in una posizione di privilegio.

    Oggi, é lecito dirlo: Al fine delle ostilità, se vi fu dell'ottimismo economico e finanziario in Europa, lo fu verso la Germania. Furono e sono vittime di quell'ottimismo (che prese una diffusione popolare) migliaia di poveri risparmiatori, che acquistarono marchi.





    Fu erroneo quell'ottimismo? Non crediamo. Difficilmente si producono, nel campo del credito, suggestioni collettive di tal natura; e - per dippiù - prolungate per tanto tempo. La Germania era veramente uscita bene dal conflitto, e poteva veramente prosperare. E quel credito, diffuso in tutto il mondo, era un fenomeno economico motivato.

    Che cosa capovolse, fino al punto ove oggi siamo, quello stato di cose?

    Le recriminazioni sono superflue. Forse (ed anzi, senza forse) la coalizione degli Alleati corrispondeva a sua volta a fondamentali esigenze economiche, non soddisfatte dalla guerra; e fors'anche: da questa aggravate per qualche nazione. La Francia, per esempio, che mentre non debellò il suo nemico dal lato economico, si rovinò finanziariamente nel corso delle ostilità.

    È quindi superficiale dar la colpa, sic et simpliciter, alla Francia, per esempio. Anche essa non ha altre soluzioni disponibili.

    Siamo piuttosto di fronte ad una di quelle situazioni reciprocamente obbligate; nelle quali non v'è via per equilibrate conciliazioni, in quanto v'è di mezzo un elemento inconciliabile. Tempo di crisi, insomma; ed - aggiungiamo - crisi di civiltà.

    Le belle accademie democratiche (conferenze internazionali, discorsi e libri dei premiers ecc.) avevano perciò questo vizio: di lavorare sull'assurdo.

    La causa dunque del capovolgimento della situazione tedesca stette appunto nell'atteggiamento degli alleati (ricredutisi in parte troppo tardi); i quali, per esigenze che d'altro canto neppure essi avrebbero potuto diversamente soddisfare, pensarono che fosse possibile far della Germania, per decenni, il serbatoio economico per le necessità europee.

    In questa illusione economica, li aiutarono infiniti elementi ideali e sentimentali; i quali però nulla hanno a che fare con l'economia, e coi suoi convincimenti ed anche istinti. Così, per esempio, la giustezza da un punto di vista etico di far gravare sulla Germania il peso della guerra, e le sue conseguenze.





    In Germania - ove la cosa era guardata dal punto di vita perfettamente opposto; e cioè utilitario ed ottimista - non si credette nei primi tempi a questa irrevocabilità di posizioni. Si sperò infatti, unanimemente, che gli alleati recedessero all'eccesso delle loro pretese; e si attese (per un certo tempo, forse anche in buona fede) che si trovasse una formula conciliativa delle esigenze dei vincitori con l'autonomismo economico tedesco.

    Poi, persistendo la pressione alleata - ed anzi aggravandosi - si produsse quel fenomeno che abbiamo già analizzata estesamente ed esaurientemente altrove (1); e sul quale non ci ripeteremo. È cioè la separazione dell'economia privata - poggiata su d'un organismo produttivo che vedemmo intatto e formidabile - dall'economia di Stato. Si tentò insomma di lasciare quest'ultimo (debitore giuridico) alle prese, col suo nudo congegno costituzionale, con gli alleati; mentre la grande industria e la grande finanza - seguite via via anche dai satelliti e dai mediocri - si organizzò un'economia a parte, in diserzione.

    Circa il profilo di questo fenomeno mi richiamo a quanto ho scritto in R. L., n. 39 (Finanza e economia).

    I risultati di questo tentativo sono ruinosi e preoccupanti, per la Germania e per l'Europa tutta. Possono così riassumersi:

    La Germania é entrata ora effettivamente in una crisi economica gravissima, quale non le apparteneva affatto alla cessazione delle ostilità.

    La circolazione monetaria - divenuta, nel senso più partitivo, circolazione di Stato - non riflette affatto l'economia nazionale. Quest'ultima é travestita, tutta o quasi, in valuta estera; o é stagnante in altre forme di investimento, (tipico delle ore di panico, il mercato dei gioielli, degl'immobili, ecc.).





    Lo Stato ha quindi una finanza senza alimento economico. Deve perciò solo moltiplicare all'infinito la circolazione (che, ormai serve ad esso soltanto) per far fronte con l'aumento di numerario alla svalutazione progressiva.

    Questo mezzuccio ha però dei limiti, come tutte le inflazioni monetarie. La circolazione monetaria é un congegno simbolico di ricchezza, ma non é ricchezza. Onde, solo per pochissimo tempo - in virtù del credito dello Stato -può sostituirsi alla ricchezza-capitale, che deve rappresentare.

    Superato il punto critico, la rovina é precipitosa. In Germania vi si é arrivati.

    Chi crede veramente che la curva di ribasso del marco (che ha ormai raggiunto delle cifre aritmeticamente imponderabili) corrisponda alla decadenza economica della Germania? Sarebbe un assurdo. Se così fosse, in quel paese non vi sarebbero che frazioni infinitesimali di ricchezze; e probabilità di vita eccezionali. Invece (bene o male) vivono tutti; e non si é giunti ancora alle convulsioni della fame.

    Lo Stato dunque - ch'è il debitore giuridico, sul quale contano gli Alleati - si é avulso dall'economia nazionale.

    Ma di questa situazione assurda soffrono più particolarmente le classi medie e povere; le quali (per intuitive ragioni di collocazione sociale e di uso dei congegni economici) non possono astrarsi dall'organismo finanziario dello Stato, né possono crearsi un'economia a sé -con propri simboli e proprie compensazioni -; e restano attaccate alla valuta interna, esse che vivono di un'esclusiva vita frazionale.

    La diserzione dei grandi capitali, e la loro collocazione fuori patria, (sia pure se non fatta in odio alle masse, ma agli ex nemici) va fatalmente a ricadere sulle classi medie; per l'inscindibilità dei fenomeni economici con la loro sede d'origine.

    Perciò la crisi delle riparazioni si é cambiata in una crisi sociale e interna.





    Inoltre: quali che siano i mezzi tentati per separare l'economia privata da quella dello Stato, sta pur sempre il fatto che l'espatrio dei capitali, o il loro ristagno in investimenti sterili, finisce a lungo decorso con indebolire il sistema produttivo tedesco, per quanto saldo e fondato esso sia. Ci si riduce ad una produzione senza alimento, ad un consumo senza reintegrazione.

    Quindi, il salvataggio dell'economia privata tedesca, é un salvataggio per modo di dire, perché non può durare a lungo, né ripetersi all'infinito. Somiglia piuttosto ad un'alienazione una volta tanto. E dopo?

    Con tali malattie economiche, nessun affidamento può farsi sui tentativi del Governo tedesco di stabilizzare la sua circolazione; di crearne una nuova, etc. A lungo andare, deve considerarsi senza nessuna promessa anche quel Marco Rendita, di cui oggi tanto si parla. Già esso nasce su di un controsenso: la garanzia immobiliare; la quale mai fu base adatta per la ricchezza mobiliare per eccellenza, qual'é la valuta.

    Basta questo rilievo (senza esami di dettaglio; qui inopportuni) per comprendere che non é una moneta sana, una moneta normale. Magari, se bene amministrata e cautelata, potrà resistere nella cerchia d'un uso di eccezione: ma questo non ha nulla di comune con l'equilibrio economico.





    La Germania è dunque in piena crisi finanziaria, economica e sociale. E, nell'assurda ipotesi che cessasse in questo momento ogni coazione e ogni esigenza dei vincitori (ipotesi, per ora, da apocalisse) essa si troverebbe già di fronte a problemi, per sè stessi di ardua soluzione; e cioè, fra i principali:

    1°) il riassorbimento e la sistemazione, in qualche modo, della catastrofica circolazione del marco. La Germania non potrebbe scegliere i mezzi comodi della Russia soviettista, col suo rublo; perché né ha compiuto una rivoluzione, né può rassegnarsi ad affrontare un periodo di isolamento assoluto;

    2°) la sistemazione d'una crisi sociale, già ormai determinatasi;

    3°) e di una crisi produttiva ch'era l'unica sua risorsa attiva, dopo la sconfitta.

    Questi problemi resterebbero in piedi, anche se da ora in poi cessassero le esigenze e le rappresaglie dei vincitori; o si riducessero ad un minimo sostenibile: posto che oggi questo minimo vi sia; sul che non anticipiamo giudizi.

    Dunque, nulla di chiaro da prevedere; e, sopratutto, nulla di normale. Ci troviamo di fronte a complesse eventualità, che dureranno ancora per molti anni.

    Questo, dal lato negativo. Perché vi é anche un lato positivo, nella crisi tedesca: e cioè il fatto che la Germania possiede pur sempre quel perfetto congegno produttivo cui si accenna all'inizio di questo scritto; e che (pur nelle constatazioni e congetture pessimistiche) essa non va considerata come un organismo economico sterile e liquidato.

    Perciò - quale che sia l'ampiezza della crisi - essa non si svolge sul nulla economico; ma ha per sfondo un congegno di produzione che é tra i primi del mondo, e che potrebbe tornar in equilibrio in pochissimo tempo. Fin quando non si sia giunti ad una catastrofe distruttiva, v'è sempre in piedi questo valore potenziale ed amplissimo: ed é forse per la sua influenza che finora, nel centro d'Europa, non si é arrivati a convulsioni e ad anarchia.

MARIO GRIECO.

(1) Vedi più particolarmente: "Il Tempo" N. 5 del 1922: "La crisi del marco" - Il Mondo numeri 201, 271 e 281 a. c., collana di articoli sulla Crisi tedesca. - "Civitas" numeri 5 e segg. a. c., "Note sulla Crisi contemporanea".